"V per Vendetta" di James McTeigue
Warner, 17 Marzo 2006 – Discutibile
In una Gran Bretagna dominata da un regime totalitario, una giovane donna viene salvata da un uomo mascherato conosciuto semplicemente come “V”. Sorprendentemente carismatico e feroce, V scatena una rivoluzione per sollevare i suoi concittadini contro la tirannia e l’oppressione…
Tratto dallo straordinario fumetto disegnato da David Lloyd e scritto da Alan Moore (il cui nome però non compare nei titoli), V per Vendetta è anni luce distante dai precedenti film dei fratelli Wachowski, che ne sono gli autori pur lasciandone la regia al loro assistente McTeigue. Frutto di una gestazione iniziata una decina d’anni fa, la sceneggiatura dei Wachowski è solo un pallido riflesso di quello che è il fumetto da cui è tratta. Dovendone semplificare la vicenda e volendone stemperare i toni politici, infatti, è andata persa gran parte della forza che la storia ideata da Alan Moore aveva nelle pagine disegnate, e per quanto alcuni dei cambiamenti qui apportati funzionino egregiamente, le parti migliori della pellicola sono quelle in cui situazioni e dialoghi del fumetto vengono riproposti fedelmente sullo schermo.
Il 5 novembre 1605 è la data in cui un gruppo di cospiratori cattolici avrebbe voluto far saltare in aria il palazzo del Parlamento, uccidendo Re Giacomo I d’Inghilterra. Guy Fawkes era l’uomo destinato a dar fuoco a due tonnellate e mezzo di polvere da sparo nascoste nelle cantine del palazzo.
Il 5 novembre di più di 400 anni dopo, un uomo con indosso una maschera da Guy Fawkes fa saltare in aria il Tribunale di Londra e minaccia di ripetere il gesto esattamente un anno dopo con il palazzo del Parlamento. Una giovane donna finisce per aiutarlo, senza neanche sapere per quale motivo. Sarà lo stesso terrorista, che si fa chiamare V, a spiegarle perché si sta ribellando al governo nazistoide che ha preso il potere in Inghilterra dopo che una terribile epidemia ne ha decimato la popolazione…
E’ evidente, in questo adattamento, l’amore che gli autori hanno per il materiale d’origine, perché è chiaro il tentativo di mantenere invariati più elementi possibile pur cancellando totalmente il significato del fumetto. Purtroppo, però, a questo punto sarebbe forse stato preferibile dimostrare maggiore coraggio e staccarsi un po’ di più dall’originale, perché privati del loro background alcuni personaggi appaiono superflui, e si ha l’impressione ci sia un po’ troppa carne al fuoco perché la narrazione possa essere davvero efficace. Il racconto, per nulla d’azione e anzi basato soprattutto sulle parole, rischia di alienare il pubblico giovanile cui la produzione aveva pensato di indirizzare la pellicola, e McTeigue dimostra di non essere un regista sufficientemente capace da sostenere con la sua immaginazione i lunghi monologhi di V.
Interpretato da Hugo Weaving e doppiato da Gabriele Lavia, V è ai nostri occhi poco più che una maschera con dietro una voce impostata. E se appare geniale la scelta per il ruolo del leader fascista del John Hurt che nel 1984 di Michael Radford interpretava il piccolo uomo che tentava di ribellarsi al regime totalitario immaginato da George Orwell, chi davvero sorregge il film è Natalie Portman, in un ruolo che conferma la sua costante crescita come attrice. Eppure, l’unico momento realmente poetico della pellicola non appartiene a lei, ma alla storia di Valerie. Imprigionata a causa della propria omosessualità, Valerie è la perfetta misura del regime di oppressione in cui è caduta l’Inghilterra, ed è un perfetto esempio del perché bisogna ribellarsi.
«A mali estremi, estremi rimedi», rispose Guy Fawkes quando Re Giacomo gli chiese le ragioni dietro il Complotto delle Polveri. Purtroppo, però, il V dei fratelli Wachowski ha perso completamente lo spirito anarchico che contraddistingueva il personaggio di Moore così come il vero Guy Fawkes: la sua non è più una lotta contro il Potere, la sua V non sta più per Verità, ma per Vendetta. E qui sta il punto centrale del film: una pellicola che avrebbe potuto essere politicamente sconvolgente, finisce per essere poco più che un giocattolo difficilmente emozionante. Al di là della realizzazione comunque non perfetta, sono gli intenti che fanno difetto al progetto. Peccato, perché davvero non c’è ragione per cui il 5 Novembre dovrebbe essere dimenticato.
Titolo: V per Vendetta (V for Vendetta)
Regia: James McTeigue
Sceneggiatura: Larry Wachowski, Andy Wachowski
Fotografia: Adrian Biddle
Interpreti: Natalie Portman, Hugo Weaving, Stephen Rea, John Hurt, Stephen Fry, Tim Pigott-Smith, Rupert Graves, Roger Allam, Ben Miles, Sinéad Cusack, Natasha Wightman, John Standing, Eddie Marsan, Clive Ashborn, Emma Field-Rayner
Nazionalità: USA, 2005
Durata: 2h. 02′
Discutibile???? Cassani ma vai a cacare e guardati la corazzata potemkin… comunista cinefilo del cazzo
E’ divertente vedere come ci sono persone che credono che “comunista” sia un insulto…
ma guarda che comunista è un insulto…ci mancherebbe anche che non lo fosse
E io che pensavo fosse un indirizzo politico…
Ma anche cinefilo: è un insulto gravissimo!
E’ vero, non me n’ero reso conto. Vado a bruciare la mia collezione di DVD di film in bianco e nero…
Interessante notare il fatto per cui chi, a causa del limitato quoziente intellettivo, non riesce ad esprimere il suo disappunto attraverso una qualche forma di critica articolata si butti immediatamente sull’insulto gratuito (in questo periodo comunista va alla grande) non rendendosi conto di maniferstare così solo la propria inettitudine all’untilizzo della materia grigia.
Ma poi, cosa c’entra “comunista” qui?Lo usa solo per sentito dire?Ne conosce il significato?
Vorrei tanto che il sig. roberto rispondesse…
Me lo chiedo anch’io, Mario. Anche facendo finta che a me il film non sia piaciuto per motivi politici – cosa che non è e penso si capisca bene dalla recensione che ho scritto – la cosa più logica sarebbe pensare che io sono di destra, perché questo film è fortemente critico nei confronti dei regimi nazistoidi, quindi promulgando implicitamente un regime più o meno sinistrorso. A meno che qualcuno non pensi che il film è a favore di un nebuloso concetto di “liberismo”, che la politica italiana da qualche anno tenta di spacciare come diretto opposto del comunismo. Ma cosa c’entri Ejzenstejn, in tutto questo, davvero non lo so…
Secondo me la risposta è semplice, Alberto: siccome non apprezzi a dovere i film che piacciono ai gggiovani, diventi automaticamente un comunista retrogrado che rimpiange i classici di un volta e i mattoni impegnati. Un cinefilo secchione del cazzo, insomma. E’ un’associazione naturale. Non puoi essere un fascista secchione cinefilo, ecco. Stonerebbe.
Per essere accettato dalla X-generation, potresti cominciare a concludere le tue recensioni con frasi tipo: “il tutto IMHO”.
E se invece scrivessi con il linguaggio SMS?
“Secondo me la risposta è semplice, Alberto: siccome non apprezzi a dovere i film che piacciono ai gggiovani, diventi automaticamente un comunista retrogrado che rimpiange i classici di un volta e i mattoni impegnati. Un cinefilo secchione del cazzo, insomma. E’ un’associazione naturale. Non puoi essere un fascista secchione cinefilo, ecco. Stonerebbe.”
Probabilmente è così ma quanta tristezza…stanno rovinando una generazione: instillano l’odio verso chi la pensa in modo diverso, la cultura e l’intelligenza danno solo fastidio, la pacatezza nell’espimere le proprie opinioni è da sfigati e perdenti, si è persa ogni forma di rispetto e deferenza verso qualsiasi autorità (familiare, intellettuale, civile). Come siamo arrivati a tutto questo? Il futuro è sempre più buio.
Tengo a precisare che queste parole vengono da un 25enne…
PS: a dimostrazione di quanto detto faccio notare come i modi “fascisti” del nostro roberto siano palesemente in contrasto con i concetti espressi dal film a lui tanto caro.
Ci si è arrivati con un lungo e paziente lavoro di instupidimento del pubblico e di annientamento delle opinioni. Un ospite al programma di mezzogiorno di Corrado Augias su Rai 3 qualche settimana fa ha fatto notare come una volta – ma in realtà fino a pochi anni fa – ci si vergognava di non sapere le cose, invece oggi l’ignoranza viene ostentata in ogni situazione e di conseguenza la cafonaggine la fa da padrona, visto che sono due cose che vanno di pari passo. Ma non so quanto tutto questo sia una cosa voluta da chi ha iniziato il processo, probabilmente non è una situazione che si poteva prevedere neanche pensandoci. Però più i modelli presentati – nella realtà e dai media – sono “bassi” più al pubblico è facile pensare di potersi adeguare, quindi il pubblico diventerà più “vuoto” per potersi adeguare, e di conseguenza i modelli finiranno per abbassarsi ancora di più… E come dici giustamente, chi si discosta da questo circolo vizioso è un sfigato.
Il problema è come interrompere questo circolo vizioso.
A me francamente sembra impossibile, se come dici tu (e penso anch’io) la società si stà sempre più adeguando a questi modelli “bassi” e, in termini di sforzo cerebrale, comodi, cosa può fare invertire la tendenza? Cosa costringerà gli italiani a mettere in moto il cervello quando non solo non è necessario ma nemmeno auspicato? Il mio timore è che questo stato di ibernazione mentale sia voluto se non altro perchè qualcuno potrebbe guadagnarci.
Sicuramente pochi hanno interesse a cambiare la situazione attuale, perché come dici molti ci guadagnano sopra, ma non credo sia una situazione cui si è arrivati in maniera premeditata.
Per cambiare le cose bisognerebbe innanzitutto cacciare i fannulloni e i caciaroni dalla Tv, poi cacciare gli analfabeti dai giornali e ghettizzare le riviste-spazzatura alla Alfonso Signorini. A quel punto, venendo a mancare gli esempi da mani nei capelli gli ignoranti si renderebbero conto della loro inadeguatezza e quantomeno andrebbero a nascondersi. Ma visto che, appunto, questa situazione è economicamente fruttuosa per molti non c’è modo di convincerli a cambiare le cose. E posso capirli, francamente.
Intanto un sontuoso saluto al comunista cinefilo del cazzo!
Che dire…Caro Roberto, apprezzi i modi diretti giusto? SCHIACCIATI!
Proseguendo; ovviamente non si può che concordare sul fatto che la pellicola non sia poco più che un’immagine sbiadita di quella che è la storia scritta dal grandissimo Moore.
Tuttavia – sarà che è passato del tempo da che lessi la graphic novel e potrei quindi avere un ricordo distorto della stessa – non mi sento di bocciare così profondamente il film; è vero, il cambiamento di alcuni passaggi impoverisce la sceneggiatura da un lato quanto la “snellisce” da un altro. Sarebbe stato interessante vedere riprodotta fedelmente la magistrale sequenza del sequestro di Prothero e bambole annesse che qui viene invece liquidato con un “banalissimo omicidio sotto la doccia”…
Alberto condivido in pieno il tuo giudizio sulla Portman la cui interpretazione merita davvero
Quali sono i personaggi che definisci superflui privi del proprio background?
Chiudo, se posso dicendo la mia sulla piccola discussione interna: la dialettica non è qualità di così ampia diffusione, ce ne si faccia una ragione.
In ogni caso, la storia di V for Vendetta è quanto mai attuale…
Hai ragione, Fauno: la dialettica (ormai?) è cosa rara.
Comunque, in effetti il film non è da bocciare completamente perché è evidente uno sforzo di adattamento e aggiornamento della storia e delle tematiche, ma secondo me ci voleva ancora più coraggio per staccarsi ulteriormente. Ma è chiaro che non ce lo si può aspettare da un prodotto hollywoodiano dei Wachowski, tant’è che – come dici – alcuni dei momenti più forti sono rimasti fuori dal film.
I personaggi del fumetto hanno tutti una loro storia, precedente all’inizio del fumetto e che si sviluppa durante il racconto, e sono storie che ovviamente prendono del tempo e che quindi era impossibile riproporre sullo schermo. Tenere i personaggi ma non raccontare la loro storia li rende monodimensionali, e questo succede praticamente con tutti i personaggi di contorno, compreso il Leader e lo stesso Finch. Però purtroppo non ho un ricordo così preciso del film da dire con esattezza a quali personaggi mi riferivo nella recensione.
Effettivamente ora che mi ci fai pensare, il personaggio la cui storia nel fumetto ha un peso non indifferente mentre nel film non viene praticamente neanche utilizzato in nessuna scena pensata apposta per lui e proprio il leader!
Ricordo che Moore espone dettagliatamente il pensiero del cancelliere e ciò permette al lettore di poter leggere più chiaramente gli eventi e la situazione socio-politica immaginata dallo scrittore. Nel suo essere folle ha comunque una logica e se vogliamo anche una morale a cui rispondere. Il corrispettivo della pellicola invece è esattamente un dittatore “piatto”; è messo lì a fare il cattivo di turno e stop.
Grave perdita effettivamente…
Inoltre mi è venuta in mente ora la scena del monologo di V con la signora “Giustizia”…Peccato questa scena non sia stata riprodotta; davvero esemplare.
Beh…Del resto ho SEMPRE pensato che per qualsiasi film tratto da opere letterarie non ci sia proprio partita…
Potremmo stare ore a discutere per esempio delle scempio apportato alla saga di Harry Potter oppure di “Watchmen” (che nonostante tutto ho trovato accettabile; compreso il finale completamente diverso), per non parlare poi di “Lord of the Rings”. Alcuni passi del libro completamente riscritti, carattere di alcuni personaggi anche piuttosto importanti, ribaltato…E’ chiaro che mi riferisca alla pura e semplice fedeltà tra pellicola e carta; tralascio i pareri tecnici sui film, infondo sono solo un appassionato, non un esperto.
…Ogni volta che un film tratto da libri o fumetti escono al cinema li aspetto al varco… 😀
Il Leader è forse il personaggio più svilito, nella versione cinematografica, ma posso capire la volontà dei Wachowski di tralasciare determinate cose. Certo, però, che avrebbero potuto sbattersi che crearne uno che fosse un po’ meno stereotipato.
Comunque il discorso sugli adattamenti è vecchio quanto il cinema. Un adattamento che stravolga il testo originale può dar fastidio, ma alle volte genera un film migliore di quello che altrimenti sarebbe stato (come nel caso di “Shining”). D’altra parte, un adattamento troppo calligrafico non serve a nullla e non è detto renda un buon servizio al libro (“The Road”). Il film è una cosa diversa dal testo scritto (come ben sa proprio Alan Moore), il linguaggio è completamente diverso e non è detto che una cosa che funziona sulla pagina funzioni anche sul grande schermo. Il punto sta nel trovare il giusto compromesso, bisogna trovare il modo più efficace di rappresentare lo spirito del testo sullo schermo, il che vuol dire avere il coraggio di prendersi delle libertà quando serve (il finale di “Watchmen”) ma non staccarsi dal testo solo perché se ne ha voglia. Truffaut cercava di mettere se stesso nell’adattamento pur sforzandosi di rimanere fedele al romanzo (anche nel caso di un libro d’importanza capitale come “Fahrenheit 451”), Hitchcock del romanzo non gliene fregava nulla.
Poi i lettori/spettatori si possono comportare come vogliono – mia sorella si rifiuta di vedere film tratti da romanzi che ha amato perché qualunque cambiamento la fa arrabbiare – però secondo me è sbagliato aspettarsi la completa aderenza tra romanzo e film. Dei cambiamenti è normale, sensato e spesso necessario, che ci siano; l’importante è che questi cambiamenti abbiano un senso. “Le Ali della Libertà”, ad esempio, è un grandissimo film che si prende un sacco di libertà rispetto al racconto da cui è originato, e lo fa proprio perché altrimenti non avrebbe potuto funzionare al meglio come film. Non è tanto il “quanto è diverso”, insomma, ma piuttosto il “quanto sono sensate le differenze”.
A mio modesto parere, se il signor Cassani fosse comunista il film gli sarebbe piaciuto!
V è molto comunista.. non credete? o forse io ho una visione sbagliata del comunismo?
Il personaggio di V è assolutamente anarchico, anche se nel film la cosa è meno sottolineata. Nel fumetto c’è un lungo dialogo tra V ed Evey, che non ricordo se è riportato anche nel film, in cui V le spiega la differenza tra anarchia e caos. E’ ovvio che a prima vista l’intento di V sia di dare il potere alle masse, e quindi di indirizzare l’Inghilterra verso il comunismo, ma la sua idea è invece quella di svegliare la gente e darle un senso di responsabilità. Solo che essendo i Wachowski e McTeigue non esattamente degli autori sottili, la cosa non è chiarissima.
Ho letto la critica e anche i conseguenti commenti che mi hanno incuriosito non poco, spingendomi a dire anch’io la mia. Per quanto riguarda la pochezza e l’ignoranza che tutt’oggi regnano sovrane e incontrastate, ahimé, non c’è molto altro da dire. Mala tempora currunt, come dice il saggio! Per quanto riguarda invece il film in questione, che resta uno dei miei preferiti, vorrei solo farti notare, caro Alberto, che non tutti quelli che si sono accostati a questa pellicola hanno letto i fumetti da cui è tratta. Io stesso non ho mai letto nulla né sapevo dell’esistenza di questo personaggio prima del film in questione. Mi sembra che la tua critica, al di là delle stupide etichette che ti hanno affibbiato addosso, risenta un po’ troppo duramente del confronto che fai con l’originale fumetto. Si vede che lo hai letto e lo hai apprezzato, e ciò, secondo il mio modesto parere, non ti fa più essere obiettivo verso un lungometraggio che trovo abbastanza ben fatto, infarcito di dialoghi efficaci (ad averceli nel cinema italiano!), con un messaggio di fondo di ribellione contro la dittatura che poche altre volte ho potuto vedere in un film da blockbuster! E’ ovvio che non ci si poteva spingere troppo verso un film politico: non è questo il contesto, non è questa la mira dei produttori. Ma già soltanto il fatto che un film così detto di “cassetta” rechi un messaggio profondo (quant’anche banalizzato) per me resta un risultato più che valido. Alcune sequenze, in ogni caso, restano di pregevole fattura, e concordo con te nell’elogiare l’episodio di Valerie, che resta, insieme alla scena finale dell’invasione delle maschere, quella più efficace e pregnante. Ripeto, secondo me il film non è stato guardato con quell’occhio di “grado zero” che sarebbe servito. Ne viene fuori una critica piuttosto freddina e distaccata. Ma è giusto rispettare le opinioni di chiunque, intendiamoci. Magari, un giorno o l’altro, mi comprerò il fumetto e lo leggerò anch’io! E d’improvviso questo “V per vendetta” mi apparrà scialbo e scolorito rispetto alle pagine stampate. Del resto, quando si compie un’operazione di trascrizione dalla pagina alla pellicola (salvo rari casi tipo Il nome della Rosa e quasi tutti i romanzi di King, secondo me!) si sa e si dice: “Ma il romanzo era un’altra cosa!”. Grazie.
Guarda Giuseppe, io sono il primo a dire – e l’ho scritto anche nei commenti qui sopra – che un’opera cinematografica derivata dev’essere giudicata a sé stante e non solamente rispetto all’originale. Però – e anche questo l’ho scritto qui sopra – dal punto di vista critico non si può ignorare quanto le modifiche fatte rispetto all’opera originale effettivamente funzionino e quale sia il senso di queste modifiche. Prova a pensare a un film tratto da un evento reale: gli avvenimenti vengono modificati per far sembrare un eroe una persona che in realtà è un criminale (è un esempio eccessivo, ma penso renda l’idea). Dal punto di vista critico non sarebbe corretto non far notare questo spostamento, ma non lo sarebbe nemmeno bocciare il film solo per la presenza di questo spostamento. Si può però argomentare sulla sensatezza e sul significato di questo spostamento. E’ qui che “V per Vendetta” è “discutibile”: non sul messaggio né sulla confezione, ma sull’utilità ed efficacia del lavoro “autoriale” che ne sta alla base.
Oltre a questo, è giusto anche notare quanto le cose che nel film funzionano siano merito del film o dell’opera originale. Nel caso di “V per Vendetta”, a parte il finale inedito e l’efficace costruzione visiva di alcune scene, tutte le cose migliori sono state prese di peso dal fumetto di Moore e Lloyd. Non sarebbe corretto dare a regista e sceneggiatori il merito per l’efficacia di dialoghi e situazioni creati da altri. In questo senso non si può prescindere dall’opera originale. A maggior ragione quando l’opera originale ha l’importanza che ha questa, che insieme con “Watchmen” e “Il ritorno del cavaliere oscuro” è l’opera più importante della storia del fumetto moderno (cosa che ovviamente in Italia si ignora, trattandosi “solo” di fumetto). Qui il problema, a questo riguardo, non è tanto che “il romanzo è un’altra cosa”, ma proprio l’opposto, ossia che nei momenti migliori il “romanzo” è identico.
E’ vero comunque che la mia recensione è piuttosto fredda, ma lo è perché questa è esattamente l’impressione che mi ha lasciato il film. E questo dipende non solo dalla mancanza di “forza” della maggior parte del materiale originale creato dai Wachowski, ma anche e soprattutto per la scelta (imposta?) di non affondare il colpo. E’ vero, come scrivi, che per gli standard dei blockbuster hollywoodiani è comunque un film profondo, ma all’interno di quegli stessi standard si era mosso David Fincher per realizzare “Fight Club”, che è un film molto più sottile politicamente ma altrettanto sovversivo di questo, e molto più “forte” e vitale di questo da punto di vista espressamente cinematografico.
Spero di aver argomentato in maniera sufficientemente chiara i ragionamenti che mi avevano portato a scrivere questa recensione.
Credo che si debba partire dal presupposto che la graphic novel di Moore sia un lavoro di altissima levatura, che travalica di molto la comune concezione di “fumetto” e stenta a trovare eguali perfino in campo letterario, perlomeno per ciò che concerne la contemporaneità naturalmente.
Potrebbe essere quindi valido e più che lecito il dubbio di Giuseppe inerente la difficoltà da parte del Critico di poter scindere la trasposizione cinematografica dall’originale “letterario” nell’attuare un confronto.
Secondo me però in questo caso non è così: il Cassani ha esplicato benissimo i punti di forza ed i punti deboli del film, e molti dei difetti riscontrati apparirebbero tali a prescindere dalla nobile origine: il film ha effettivamente alcune parti risolte non al meglio, oserei dire più per una pecca di regia che non di sceneggiatura. Oltre a ciò, mi sembra palese che la recensione NON abbia stroncato la pellicola, ma che ponga in evidenza assieme alle pecche anche i meriti di un lavoro complesso e per certi versi coraggioso, considerando che in linea teorica chi si reca a vedere “V” è il medesimo individuo che applaude agli “Avengers”.
Alla fine però, volente o meno, credo che inserire un paragone con il lavoro di Moore divenga d’obbligo, in quanto a molti tra i lettori della recensione interessa sapere proprio che valenza possa avere la trasposizione di un lavoro così importante.
Il problema semmai si può ricondurre al fatto che (sempre in my opinion) i “colori” non possono e non potranno mai essere intesi come un valore assoluto: nonostante io sia concorde con il recensore, l’arancione di “V” ha valenza enormemente superiore al “verde” di The Avengers ad esempio. A ciò concorrono molti fattori, primo tra tutti una sorta di implicita appartenenza ad un “genere”; voglio dire: probabilmente “V for Vendetta” si può intendere come pellicola intrinsecamente “impegnata” ed in tal contesto le vanno imputati tot difetti. “The Avengers” invece è da ritenersi più riuscito con riferimento all’ambito ludico a cui palesemente appartiene.
Tra i due, se dovessi consigliarne uno, sceglierei senza indugio “V” in quanto a mio avviso enormemente superiore.
Forse questo può causare, ad una lettura sommaria della recensione, qualche equivoco. “Forse”, ribadisco: come sempre, opinione personale.
Come scrisse Roger Ebert: ““Il sistema delle stellette è da considerarsi relativo, non assoluto. Quando chiedete ad un amico se Hellboy è un bel film, non gli chiedete se è un bel film rispetto a Mystic River, gli chiedete se è un bel film rispetto a The Punisher. E la mia risposta sarebbe che, se in una scala da 1 a 4 Superman è 4, allora Hellboy è 3 e The Punisher è 2. Allo stesso modo, se American Beauty è un film da 4 stelle, allora Il delitto Fitzgerald ne merita due”.
Probabilmente, non avendo letto l’opera a fumetti che ha ispirato il film, il mio giudizio su questa pellicola è più indulgente rispetto ad altri. Insomma, mi è piaciuto ed anche parecchio…
Indipendentemente dalla qualità del lavoro di adattamento svolto da regista e sceneggiatori, rimane un film abbastanza tosto, impreziosito da un’eccellente interpretazione della Portman, attrice di razza (come poche) e donna di straordinaria e fulgida bellezza (anche con i capelli rasati).
Al di la della storia narrata, del messaggio che il film vuole comunicare e delle ottime interpretazioni della Portman e di Stephen Rea, il film in questione mi colpì anche per la straordinaria attualità, in particolare per la denuncia dell’uso strumentale del terrorismo da parte della politica.
Il fatto che la politica abbia spesso utilizzato lo strumento del terrorismo per raggiungere i propri scopi (dall’incendio del Reichstag all’attentato delle Torri Gemelle), pur essendo storia, tende ad essere troppo facilmente dimenticato. Purtroppo, in occasione di un evento terroristico, la gente comune tende a farsi trascinare dall’emotività, tirando le conclusioni che appaiono più ovvie. Raramente qualcuno si pone domande del tipo: cosa c’è dietro l’atto terroristico puro e semplice? chi ne trae beneficio, direttamente e, soprattutto, indirettamente?
Caro Alberto, non ti nascondo che, avendo rilevato alcune inquietanti analogie tra ciò che viene raccontato nel film e quanto è successo in Italia negli anni di piombo (mi riferisco allo stragismo), questa pellicola ha fatto riaffiorare in me ricordi dolorosi, facendomi provare più di un brivido gelido lungo la schiena…
Donato, io per fortuna non ho vissuto gli anni di piombo e il caso ha voluto che abbia abitato a Los Angeles in un momento quasi perfettamente equidistante tra il caso Rodney King e l’11 settembre, quindi non ho per fortuna mai avuto il terrore come compagno di viaggio (non che stia paragonando la rivolta del ’92 al terrorismo, ma l’effetto psicologico sugli innocenti esterni a conti fatti è stato lo stesso, seppure concentrato in un periodo di tempo molto limitato). E’ chiaro che qualunque film si possa ricollegare a esperienze personali assume automaticamente più efficacia soggettiva, in particolare se legato ad argomenti così forti e inusuali per il cinema attuale. E purtroppo è vero che il cinema non ha quasi mai raccontato la manipolazione della paura da parte dei governanti (anzi, forse mai: continuo a pensare di aver visto abbastanza di recente un film proprio su questo argomento, ma non riesco a focalizzare quale possa essere…), per quanto ad esempio la paura sia al centro di praticamente tutti i film di Michael Haneke. Però al cinema statunitense bisogna dare atto di aver sempre affrontato i casi di cronaca e di politica più eclatanti, di non aver mai svicolati gli argomenti scottanti come invece fa il cinema italiano, quindi non è da escludere che tra qualche anno questo potrà diventare un tema più abituale. Anche se adir la verità ne dubito.
Qualche sporadico excursus del cinema italiano su particolari casi politici e/o di cronaca ci sarebbe, pensando ai vari “Il muro di gomma” o “romanzo criminale” per dire i primi che mi sovvengono, ma anche se ci si arriva, lo si fa spesso con uno o due decenni di ritardo se non quattro (Vajont…). Comunque rispetto agli americani (e non solo) è indubbio che siamo rimasti indietro, forse anche a causa di problemi legati alla produzione, oggigiorno non molto interessata a tematiche sul generis.
A proposito di “inquietanti analogie”, dopo il 2001 anche il film “1997 Fuga da New York” lo si guarda in maniera diversa, ancora più (tristemente) inquietante, appunto… almeno per ciò che concerne la prima parte.
Qualche esempio di cinema “socio-cronachisico” c’è anche nel nostro cinema, certo, ma si tratta di casi rari e quasi sempre isolati, nel senso che non c’è mai un numero di pellicole superiore a uno che va a indagare un determinato evento/situazione. L’eccezione può essere il sequestro di Aldo Moro (tralascerei il Mostro di Firenze per indecenza delle pellicole e la Banda della Magliana perché opere di finzione generate da spinta non sociale), ma ad esempio su Mani Pulite o la P2 non c’è nulla, sugli anni di piombo pochissimo, addirittura i film non di propaganda sul ventennio fascista si contano sulle dita di una mano, così come scarseggiano quelli sui Partigiani (e non parliamo neanche della Prima Guerra Mondiale). Possibile che in quarant’anni il nostro cinema non abbia mai pensato di raccontare di nuovo la storia di Enrico Mattei? Possibile che l’unico film sulle Cinque Giornate di Milano sia diretto da Dario Argento e interpretato da Adriano Celentano? Possibile che il Risorgimento sia un argomento così malvisto dai nostri produttori nonostante la mole di storie che meriterebbero di essere raccontate? In questo la televisione è sicuramente più viva (in fondo “Noi credevamo” è una produzione televisiva, non cinematografica), solo che in genere è anche più sciatta.
Guarda ti dirò, se tali progetti dovessero ora come ora trovare concretezza e fossero in qualche modo riversati al cinema od in TV non ne sarei per nulla felice; sicuramente, come per la Banda della Magliana, gli eventi sarebbero romanzati e le recensioni (ovviamente positive) troverebbero spazio e linfa proprio sulle riviste simil-Signorini.
Basta guardarsi attorno per capire chi tira i fili del “Cinema” e Tv italiana, TV che è rimasta ignominiosamente ad un livello se non becero da fiction anni ’50, a differenza di quella (d’elite magari, ma almeno lì una elite esiste)statunitense.
Per cui non sarei certo io a spendere 8-10 sudati euro per visionare opere di qualche registucolo italiano abituato a portare in sala le solite storie di corna e nevrosi in tutte le salse.
Quello che ci vorrebbe è una nuova “corrente” di autori, gente con le palle magari, non cresciuti a Nutella e tortellini della mamma in una mano e cannabis nell’altra.
Questo è vero, ma è una questione di abitudine. Se il cinema italiano fosse sempre stato attivo in questo senso, avremmo molto meno da temere. E finché non si comincia, le cose non possono certo cambiare.
E’ vero, bisognerebbe che si prestasse più attenzione anche a generi alternativi alla “solita” commedia italiana, non discuto per carità, così come non metto in dubbio che se qualcuno non comincia a muoversi in questo senso, hai voglia di aspettare.
Ultimamente un isolato esempio ci è giunto da “A.C.A.B.” da voi puntualmente recensito, che ho trovato di un livello più che buono per essere un film italiano di quel genere, e che avrebbe forse meritato maggior risonanza al di là dei suoi difetti. Anche Garrone ci ha messo del suo… insomma ogni tanto qualcosa viene tentato.
A questo punto però verrebbe da chiedersi: quante pellicole debbono essere girate per poter affermare che è “cominciato” un corso di film “socio-cronachistici” made in Italy? Come mai sono rimasti sempre casi isolati?
L’idea che mi sono fatto è che la categoria a cui mi riferivo non voglia mai osare virtù dell’arte cinematografica, ma preferisca sempre dedicarsi a film di cassetta o fiction per mentecatti. Per questo mi urtano tanti giovini registi che continuano a proporre le solite crisi di coppia in salsa agrodolce e bla bla bla.
Non so se esistano scuole serie di regia/cinema in Italia, ma davvero mi chiedo cosa insegnino agli studenti; sicuramente so che agli attori NON insegnano una corretta dizione, tanto per passare da mamma Rai non serve e prima o poi ci si passa, ci si passa…
Credo che il coraggio sia la cosa che manca di più ai produttori italiani, da tempo immemore. Non c’è nessuno che davvero decide di correre dei rischi percorrendo strade poco battute, quindi finiscono tutti per fare le stesse cose, ciclicamente. C’è stato un periodo, nei primi anni 90, in cui le commedie non le faceva quasi più nessuno perché il pubblico sembrava non rispondere più con entusiasmo; poi un paio di tipiche commedie all’italiana sono andate bene e allora subito tutti a farne altre. Oggi capita la stessa cosa al contrario: commedie di ogni ordine e grado al cinema, divise di ogni genere in Tv. Se “”Noi credevamo” avesse incassato un mare di soldi, vai tranquillo che adesso avremmo in produzione molti film su Risorgimento e argomenti affini. Ma in questo periodo l’idea generale è che al pubblico l’argomento non interessi, quindi nessuno lo frequenta.
Condivido ogni parola. Soprattutto da noi (in Italia) trovare un produttore disposto a rischiare presumo sia una vera utiopia, basandomi ovviamente su quel che posso vedere da non addetto ai lavori.
Credo comunque che una parte di responsabilità sia anche dei giovani registi, che (ho l’impressione) pur di arrivare al tutto-e-subito sacrificano la propria vena artistica (ci sarà qualcuno che ne ha, no?) in cerca di divenire un emulo del Pieraccioni nazionale. Sono certo che le cose prima o poi cambieranno, questo sì, ma mi auguro nel mentre di non schiattare di vecchiaia…