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"Synecdoche, New York" di Charlie Kaufman

19 giugno 2014 Recensioni 6 Commenti
Synecdoche, New York

Bim, 19 Giugno 2014 – Plumbeo

Insoddisfatto autore teatrale di provincia, Caden Cotard affitta un gigantesco magazzino a New York per allestire uno spettacolo grandioso: la sua vita. Famiglia, amici e colleghi diventeranno materiale scenico, ma il rischio è di non saper più distinguere la realtà dalla finzione…


Philip Seymour Hoffman e Hope Davis in Synecdoche, New YorkHarold Pinter è morto, anzi no. Il latte è scaduto, la febbre dei polli avanza, una rivista sulle malattie terminali attende tra la posta, e Caden Cotard non si sente tanto bene. Moglie e figlia piccola sembrano un po’ distanti, la quieta provincia di Schenectady, New York, forse non capisce la sua rilettura di Morte di un commesso viaggiatore, eppure tutto sommato le cose non vanno male per Caden. Cos’è allora quella vaga sensazione, come di fuori posto, che lo spettatore di Synecdoche, New York avverte ancor prima del suo protagonista? È la prova che il talento di Charlie Kaufman è tanto ricco da bastare anche allo sguardo, in questo esordio alla regia dopo anni di sceneggiature peculiari, ossessive e brillanti (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee, Se mi lasci ti cancello).

Emily Watson e Dianne Wiest in Synecdoche, New YorkLe sequenze iniziali, all’apparenza interlocutorie ma in realtà pienissime, mettono in scena un contrasto insanabile tra il linguaggio e la sfera corporale, in cui uno non sa spiegare l’altra ed entrambi generano una cortina di incomunicabilità (la gran quantità di termini scambiati, sbagliati, incerti). Sono tutti elementi (e non è certo una sorpresa) di sineddoche, la figura retorica del rapporto di contiguità e della contiguità del rapporto. Allo stesso modo, nel film tutto si inverte e si penetra liquidamente. I personaggi sono sineddoche l’uno dell’altro, a partire da Caden e Adele, di arti opposte, fino ad arrivare a Caden e Sammy. Mentre il tempo accelera senza farsi notare, Caden insegue il senso della rappresentazione teatrale e della sua stessa vita, cercando ancora una volta l’uno nell’altra, e viceversa. Si comincia con il prendere spunto e si finisce in quell’enorme capannone in città, dove l’intimità di una stanza diventa presto l’illusione di poter ricostruire il mondo intero.

Catherine Keener e Philip Seymour Hoffman in una scena in Synecdoche, New YorkSe questo sia il suo miglior film poco importa – la novità è che Kaufman, come Caden, ha aggiunto livelli nuovi alle solite impalcature metalinguistiche. C’è in questo film un senso del tragico inedito e potentissimo, unito a una gravitas che si deve alla riflessione diacronica sull’esistenza: è il peso degli anni e della disillusione a rendere pregnante la facciata di Kaufman, a dargli un tocco di tangibile sincerità. Merito anche degli attori/personaggi/attori, categorie mai così confuse eppure solidissime nel gioco dei doppi (Tom Noonan contraltare di Philip Seymour Hoffman, Samantha Norton che muta in Emily Watson).

Philip Seymour Hoffman e Samantha Morton in Synecdoche, New YorkCostruito su elementi reciproci, il film è anche reciproco di se stesso, con una prima parte che sfiora il farsesco in punta di piedi (nonostante celi le invenzioni più raffinate) e una seconda in cui la messa in abisso è talmente vertiginosa da provocare distacco emozionale. I trucchetti e le trovate, da leggeri e subdoli che erano, diventano grosse bordate verso lo spettatore; forse è giusto così, perché lo stato d’animo in cui ci lascia Synecdoche, New York non è di quelli che si scrollano via facilmente.


La locandina statunitense di Synecdoche, New YorkTitolo: Synecdoche, New York
Regia: Charlie Kaufman
Sceneggiatura: Charlie Kaufman
Fotografia: Frederick Elmes
Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Sadie Goldstein, Tom Noonan, Peter Friedman, Charles Techman, Josh Pais, Robert Seay, Michelle Williams, Samantha Morton, Hope Davis, Jennifer Jason Leigh, Emily Watson, Dianne Wiest
Nazionalità: USA, 2008
Durata: 2h. 04′


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Attualmente ci sono 6 commenti a questo articolo:

  1. Sebastiano ha detto:

    Plumbeo ma verde, secondo me.
    Davvero e’ stata necessaria la morte di Hoffman per poterlo distribuire in italia?

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Sì. E cara grazia che ci hanno provato…

  3. Tommaso Tocci ha detto:

    Era verdissimo, infatti – quantomeno nelle intenzioni dell’autore!

  4. Alberto Cassani ha detto:

    C’hai ragione, Tommaso. Ho controllato la tua mail del 2009 con la recensione ed effettivamente l’aggettivo era verde. Evidentemente all’epoca usai il codice colore sbagliato e l’errore è rimasto.

  5. Anonimo ha detto:

    C’è un errore nel collegamento di Frankenstein Junior, mi invia ad un’altra recensione.

  6. Alberto Cassani ha detto:

    Ho corretto, grazie.

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