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"ACAB" di Stefano Sollima

31 gennaio 2012 Recensioni 4 Commenti
ACAB - All Cops Are Bastards

01 Distribution, 27 Gennaio 2012 – Semplicistico

Adriano è una giovane e violenta recluta del corpo della Celere di Roma. A fargli da fratelli e maestri, ci si mettono tre celerini storici, noti per la loro mano pesante: Cobra, Negro e Mazinga. Adriano non ci mette molto a capire che c’è qualcosa di sbagliato in come fanno il loro lavoro…


Una scena di ACABIl team di regista e sceneggiatori responsabile della serie televisiva di Romanzo Criminale si riunisce per scrutare a fondo nel peggiore angolo della polizia. Tra tutte le forze dell’ordine, i celerini sono quelli che più spesso sono pubblicamente attaccati per mostrare gli eccessi del potere, perché sono quelli che hanno più alla loro portata la possibilità di usare la forza bruta. Non che le situazioni in cui si trovano non richiedano spesso uno scontro fisico, ma da un’azione controllata al degenero nel pestaggio gratuito il passo è molto breve. Gli autori ne sono consapevoli e raccontano questa zona d’ombra tenendo di nuovo alta la bandiera di uno stile aggressivo e privo di concessioni, senza però risolvere il film in un modo all’altezza delle intenzioni.

Pierfrancesco Favino in una scena di ACABNonostante le interpretazioni convinte di tutto il cast (in particolare Marco Giallini e Domenico Diele), i personaggi agiscono spesso in modo forzato, seguendo solo apparentemente una coerenza psicologica in realtà violata dalla sregolata successione di fatti di finzione e reali. Più che a un tentativo serio di indagare una professione particolarmente delicata, quello che si ha davanti è uno strano ibrido tra il film di genere, l’imitazione di un modello hollywoodiano (il gruppo dei protagonisti ricorda troppo lo Strike Team della serie The Shield) e il disordinato insieme di triti spaccati di vita quotidiana. Il piano più puramente ideologico di ACAB, poi, viene giocato tra luoghi comuni non indagati e discorsi troppo programmatici per i personaggi che li hanno in bocca, come nella sfuriata del Negro sui suoi diritti o la testimonianza in tribunale del Cobra.

Andrea Sartoretti in una scena di ACABÈ un peccato che nell’aria aleggi la voglia di rifarsi a scelte di racconto molto prevedibili, come l’ingresso dell’ultimo arrivato o lo spirito di squadra, perché la confezione è al contrario quella giusta: sporca senza essere sciatta, ben fotografata e con un’ottima scelta dei colori. Da tempo non si vedeva un film italiano di questo stampo, ma se la direzione stilistica può anche essere giusta, è una certa ambiguità nei contenuti che lascia perplessi. Perché non mostrare l’incontro con il ministro, limitandosi al classico politichino che non mantiene le promesse? Perché insistere così tanto sui drammi personali necessariamente banalissimi? Ma soprattutto, perché fingere di avercela con tutti, se poi si va a cercare un finale consolatorio con un nemico che si vuole dipingere quasi sovrannaturale?


La locandina di ACABTitolo: A.C.A.B. – All Cops Are Bastards
Regia: Stefano Sollima
Sceneggiatura: Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti
Fotografia: Paolo Carnera
Interpreti: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Domenico Diele, Roberta Spagnuolo, Eugenio Mastrandrea, Eradis Josende Oberto
Nazionalità: Italia, 2012
Durata: 1h. 52′


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Attualmente ci sono 4 commenti a questo articolo:

  1. Plissken ha detto:

    Urka, se il gruppo dei protagonisti ricorda anche solo in parte lo Strike Team di the Shield mi toccherà andarlo a vedere per forza.

    Spero che sia voluto, vorrebbe dire che “The Shield” (doppio, anzi triplo inchino) ha fatto scuola anche qui da noi, il che è tutto dire non so se mi spiego… 🙂

    Comunque sia, è una scelta coraggiosa portare un soggetto del genere sul grande schermo qui in Italia, credo che produttore, regista e staff meritino un po’ di fiducia.

  2. Plissken ha detto:

    Visto ieri sera. Bella la recensione, che effettivamente riesce ad esplicare chiaramente i punti di forza e non della pellicola. Personalmente oltre ad una certa “prevedibilità” descritta in recensione metterei sul piatto della bilancia un altro difetto di fondo, ovvero l’aver voluto immettere in nemmeno due ore di film troppa carne al fuoco: problemi razziali, politici, economici, finanziari, personali a cui aggiungere quelli legati ad un mestiere difficile. Insomma è naturale che sviluppare in maniera efficace un tale malloppo in un lasso di tempo tanto ristretto non può che portare ad un’inevitabile approccio a tratti superficiale e/o banale.

    Sull’altro piatto però vi sono parecchie cose positive. In my opinion azzeccato il riferimento allo Strike-team dell’inarrivabile “The Shield” (un altro pianeta però) soprattutto per ciò che concerne un ottimo aspetto della pellicola, cioè il porre i protagonisti sempre in bilico tra il lecito e non, tra il proprio lato oscuro e quello moralmente ineccepibile; una scelta che, scevra da manicheismi, porta lo spettatore a porsi in empatia con i personaggi.

    Tecnicamente, mi è piaciuta molto la confezione: “…sporca senza essere sciatta, ben fotografata e con un’ottima scelta dei colori” – meglio di così non si può descrivere. Ho ravvisato in più frangenti una forte affinità con l’opera del validissimo Marchal a cui immagino Sollima possa essersi ispirato.

    Nel complesso credo che il film meriti quasi obbligatoriamente una visione, poiché è davvero raro assistere ad un film poliziesco ITALIANO così “diretto” e “ben diretto”, in cui una volta tanto le ignobili caratterizzazioni legate alle fiction sul generis rimangono fuori alla porta. Buono ed efficace anche il commento musicale.

    Ultima cosa: capisco che gli attori italiani possano permettersi qualunque cosa in virtù del retaggio relativo al neorealismo, ma diamine: possibile che si perdano parecchi dialoghi in quanto biascicati alla meno peggio? Certamente è comprensibile anzi doveroso che in tale ambientazione vengano usati accento e slang “romaneschi”, ma visto che la distribuzione travalica i confini della regione Lazio, sarebbe magari il caso di fare sforzare un attimino in più gli attori ad usare un dizione più comprensibile. Anche se non a livello di “Gomorra” in cui i sottotitoli sarebbero una benedizione, in questa pellicola è ravvisabile a tratti lo stesso difetto, che più che far assurgere la cosa a scelta artistica dà l’idea di scarso rispetto per gli spettatori.

    Garrone, Sollima… ‘ tacci vostri, chissà che così capiate…

  3. Daniele ha detto:

    Il fim secondo me resta comunque ampiamente sopra la sufficienza, anche se concordo con i difetti ravvisati dalla recensione.
    Sollima secondo me è un grande talento e realizza delle opere davvero interessanti e forti.
    Inoltre a mio avviso è strepitoso nella scelta delle colonne sonore (vedi Romanzo Criminale).
    Sulla critica del dialetto non sono d’accordo. In particolare sul romano che risulta facilmente comprensibile per chiunque, visto che è uguale all’italiano alla fin fine. Per Gomorra posso capire che il napoletano sia più ostico ma sarebbe irreale far recitare i camorrisiti in italiano! Io l’ho guardata tutta senza sottotitoli (e sono di genova) e l’ho capita benissimo, basta farci l’orecchio (un po come per i libri di Camilleri e il siciliano!)

  4. Plissken ha detto:

    …perché ci vuole orecchiooo… bisogna averlo tutto, anzi parecchioo… 😉

    beh che dire… io al tempo specificai “biascicati”, cosa che va ad inficiare ulteriormente l’intesa forse non universale del “romanesco”. Comunque scherzi a parte, d’accordo sulla scelta del “dialetto”, non è quello che metto in discussione, ma edulcorarlo con una dizione migliore a mio personale avviso sarebbe d’obbligo per un professionista. Ad esempio mai avuto problemi a comprendere l’idioma der “Monnezza”.

    Al di là di ciò comunque, ribadisco che il film è piaciuto anche a me. 🙂

    P.s.: riguardo “Gomorra”, certo che l’italiano sarebbe stato fuori luogo, sono d’accordo… io, come altri, speravo in eventuali sottotitoli. A detta dei napoletani comunque (tra i quali alcuni miei cari amici), il loro dialetto è una “lingua” e quindi comprensibile a tutti…

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