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Anche libero va bene: intervista a Kim Rossi Stuart

3 maggio 2006 Interviste 0 Commenti
Anche libero va bene

Milano, 3 Maggio 2006

Pochi giorni prima dell’uscita nelle sale del suo esordio come regista, Kim Rossi Stuart ha incontrato la stampa milanese per raccontare la genesi del suo film e spiegare cosa questa nuova esperienza rappresenta per lui…


Barbora Bobulova e Kim Rossi Stuart in Anche libero va beneAll’inizio avevi pensato di girare un film tratto dall’Amleto. Come sei passato da Shakespeare ad Anche libero va bene?
Ad un certo punto mi sono trovato con entrambi i progetti davanti e ho optato per questo, perché essendo io un regista inesperto come un bambino ho trovato giusto iniziare da un bambino vero, da un inizio… Però, in fondo, Amleto potrebbe essere Tommaso diec’anni dopo…

Ma cosa c’è di magico, nello sguardo di un bambino?
Niente, secondo me. Anzi, ci sono cose molto concrete… terrene, reali… Siamo noi adulti che ci poniamo dei problemi un po’ più effimeri. La mia sensazione è che nasciamo con una perfetta consapevolezza del vivere, e durante il percorso della nostra vita la perdiamo, forse per ritrovarla nella vecchiaia…

Alessandro Morace e Kim Rossi Stuart sul set di Anche libero va beneDal punto di vista visivo come hai immaginato il film, considerato anche che nelle tue intenzioni avresti voluto solo dirigerlo e non anche interpretarlo?
La costruzione visiva era un punto fermo del film: la ricerca di un’immagine semplice, il più vicina possibile all’ottica umana… un’immagine non in movimento se non per seguire i movimenti dei personaggi… erano punti assolutamente fermi, al di là dell’attore che poi avrebbe interpretato Renato.

E come ti sei trovato nel doppio ruolo di regista e attore?
Inizialmente la cosa mi ha preoccupato alquanto. Oggettivamente ci sono dei problemi tecnici notevoli, perché se come attore sono in scena non posso stare davanti al monitor di controllo a guardare l’inquadratura. Così, ho cercato di dirigere gli attori cercando di sviluppare come delle antenne che mi permettessero di capire cosa stava accadendo davanti alla macchina da presa. Questa è solo una delle tante emergenze che ci sono state durante la preparazione e la realizzazione del film, ma devo dire che alla fine tutto questo mi ha dato una grossa spinta, mi ha dato grosso entusiasmo e probabilmente anche molto coraggio, per gettarmi nelle cose senza riflettere eccessivamente… Quello che ho capito, dirigendo questo film, è che il regista ha un’urgenza tale che si ritrova con le forze moltiplicate, ma questa urgenza non è condivisa dagli altri membri della troupe e quindi i rapporti con loro finiscono per essere molto delicati.

Nel periodo in cui stavate girando, Barbora Bobulova ha detto di te che come regista «sai quanto poco ci vuole per ferire un attore», e che quindi quando dirigi gli attori «quasi li accarezzi». Come hai maturato questo stile, al di là ovviamente della sensibilità personale?
Tutti i registi-attori hanno la possibilità di avvicinarsi ai colleghi con la voglia di tirar fuori il meglio da loro, con la voglia di rispettarli, di non farli sentire scomodi… cose che spesso un regista “puro” non riesce a fare. Io in questo lavoro ho messo insieme tante cose, è difficile dire quale regista mi può avere influenzato maggiormente.

Barbora Bobulova in Anche libero va beneSicuramente anche grazie alla tua guida tutto il cast offre un’ottima prova, soprattutto i bambini…
Alessandro l’ho incontrato in una delle tante scuole in cui sono andato a cercare il protagonista, mentre Marta si è presentata ad un provino a Cinecittà. Questa è una cosa molto in linea con le personalità dei loro personaggi: Tommi è un ragazzino che non ama stare al centro dell’attenzione, mentre per Viola avevamo bisogno di una bambina più estroversa… La grossa forza di Alessandro è stata proprio la sua urgenza di esprimersi, e quindi il non rimirarsi in uno specchio ma assimilare esattamente la realtà interiore del personaggio per poi tirare fuori anche le proprie emozioni. Io, tra l’altro, non ho fatto leggere il copione a nessuno dei tanti bambini che ci sono nel film, tantomeno ho chiesto loro di imparare le battute a memoria. Si trattava di costruire attorno a loro una dinamica a loro familiare perché si potessero esprimere in totale libertà. Una volta stabiliti dei paletti precisi nel loro percorso, se qualcosa non la sentivano naturale si cambiava strada, anche se devo dire che – quasi magicamente – loro arrivavano a dire quasi perfettamente le battute che avevamo scritto nella sceneggiatura…

E a livello di sceneggiatura, si nota una certa violenza psicologica che in questo distanzia il film dal resto dell’attuale cinema italiano…
Inseguire la verità è parte del mio percorso, impossessarsi della realtà attraverso la finzione. E anche nel mio percorso da attore è sempre stato un punto fisso, è una cosa che ho sempre cercato di inseguire. Uno degli intenti del film era quello di raccontare delle personalità complesse, contraddittorie, non stereotipate – soprattutto in riferimento ai genitori. Abbiamo cercato di costruire attorno al bambino protagonista una famiglia che lo mettesse in difficoltà, perché in fondo il film racconta di quanto l’infanzia possa essere un momento complicato, fatto di solitudine…

Alessandro Morace e Kim Rossi Stuart sul set di Anche libero va beneC’è qualcosa di autobiografico?
No, anche se indubbiamente ci sono delle tematiche che mi appartengono, così come altre appartengono più da vicino ai miei cosceneggiatori. Comunque, mi piace pensare che il cinema debba essere fatto soprattutto di psicologie e di atmosfere, e ricreare un’atmosfera significa averla in qualche modo vissuta. In questo senso è stato molto importante il lavoro che abbiamo fatto sul suono, abbiamo cercato di sfruttare le caratteristiche dei luoghi dove abbiamo girato: abbiamo girato tutti ambienti dal vero, non in teatro di posa. Nell’appartamento c’era sempre un forte rumore di traffico, e alla fine quello che pensavamo potesse essere un problema è diventato un pregio: questo suono piuttosto ruvido e grezzo, che si sente costantemente, a mio avviso restituisce una sorte di suggestione, questo traffico perenne che continua anche di notte, che non cessa neanche nei momenti che per i personaggi sono più delicati…

Pensi di tornare dietro la macchina da presa, in futuro?
Sì, già adesso avrei molta voglia di rimettermi in moto e pensare ad una storia. Io ho aspettato tanti anni prima di fare un film come regista, non per mia volontà ma solamente perché questo è stato il corso delle cose. La mia prima sceneggiatura l’ho scritta addirittura quando avevo 19-20 anni, e c’è stato un momento in cui sembrava stesse per entrare in produzione, poi però saltò tutto…


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