Cosmopolis di David Cronenberg
01 Distribution, 25 Maggio 2012 – Glaciale
Eric Packer ha 28 anni, un’enorme fortuna in denaro, e un’unica religione: il possesso. Una mattina decide di andare a farsi tagliare i capelli da un barbiere dalla parte opposta della città. Tutti glielo sconsigliano, e per lui comincia un viaggio che cambierà completamente la sua vita…
Spiazzandoci come spesso sa fare, con Cosmopolis David Cronenberg si sposta dalle atmosfere laccate e retrò della Vienna dell’inizio del 1900 di A Dangerous Method fino alla New York di oggi, dove il dio denaro e il dio potere imperversano più di quanto qualsiasi altra divinità abbia fatto nei secoli che ci hanno preceduto. Partendo dal capolavoro letterario di Don De Lillo e scrivendo (finalmente!) di proprio pugno la sceneggiatura, riesce per la seconda volta, dopo il Pasto Nudo, nell’impresa di portare sullo schermo un’opera davvero complessa, senza cadere da un lato nella trappola della mera trasposizione, dall’altro nella tentazione di snaturarla.
Ogni minuto e ogni scelta della vita di Eric sono vissute all’insegna del potere, potere che si raggiunge e conserva, oggi, attraverso il controllo totale su tutto ciò che ha a che fare con noi; proprio per questo il protagonista si circonda innanzitutto di specialisti: per la sua sicurezza, il mercato monetario, la rete, la propria salute, l’arte, il sesso. Tutti loro sono marionette nelle sue mani, attraverso il denaro, e il carisma che esso porta con sé. Eric è così ancora, a 28 anni, il bambino più viziato del mondo: appartamenti, ufficio, palestra, automobile, quadri, vecchi aerei, donne, sono per lui giocattoli da adulto da mostrare a chi lo circonda per costruire una certezza di sé e della propria esistenza che altrimenti non avrebbe.
E sarà proprio l’ossessione del possesso e del controllo a stravolgere la sua vita, quando tanti piccoli particolari sfuggiranno al suo dominio: la moglie, perfetta, plastificata icona delle upper class statunitensi, che ha probabilmente sposato per possedere anche l’arte (è una poetessa), che non desidera fare sesso con lui, che non gli si concede. La morte che gli porta via (addirittura per banali “cause naturali”) il suo rapper preferito, lo Yuan che con la sua quotazione imprevedibile gli fa perdere milioni di dollari, e infine la sua prostata “asimmetrica”, simbolo del suo corpo che per primo gli ricorda che non solo non si possono controllare gli altri, ma nemmeno se stessi, che persino il proprio corpo può tradirci, nonostante gli ossessivi, quotidiani controlli medici cui può essere sottoposto. Ma è soprattutto il tempo che Eric non può fermare, nonostante la sua continua, ossessiva curiosità di sapere l’età di tutti quelli che lo circondano.
Il viaggio fuori/dentro di sé costringe il protagonista a confrontarsi con un mondo che usualmente non vede, del quale ignora anche l’esistenza stessa, ed è così che Eric e la sua limo cambiano, si degradano man mano che si avvicinano alla catarsi finale. Come il Ritratto di Dorian Gray raccolgono minuto dopo minuto, metro dopo metro, tutto ciò che fino a quella mattina non avevano mai sfiorato: rumori (nonostante l’isolamento in sughero), odori di sesso, cibo, vernice, polvere da sparo vanno a popolare il suo mondo asettico e sterilizzato. La realtà prende il sopravvento sulla finzione.
Tutto Cosmopolis, anche dal punto di vista tecnico, segue Eric. La fotografia perfettamente a fuoco, tutta giocata sui bianchi, neri e grigi della prima parte del film lascia gradualmente, e in modo quasi impercettibile il posto a un’immagine sgranata, sporca, organica, molto vicina a quella de Il pasto nudo o di Videodrome; la colonna sonora è perfettamente dosata, a tratti fortissima e presente, a tratti tace completamente, sostituita da lunghi dialoghi, che possono sembrare ostici, ma che non lo sono se li consideriamo colonna sonora del rapporto tra Eric e i tanti membri del suo staff che lo vengono a trovare sulla sua auto che attraversa la città come la nave di Caronte; la scenografia e i costumi seguono il protagonista nella sua inebitabile caduta nella realtà, dominio dell’imperfezione e dell’incontrollabilità delle sue innumerevoli variabili.
Gli interpreti sono tutti assolutamente all’altezza del loro compito, partendo da un abbastanza sorprendente Robert Pattinson, passando per un’ottima e glaciale Sarah Gadon, una decadente e decaduta Juliette Binoche, un granitico Kevin Durand, ma soprattutto un fantastico Paul Giamatti, Arcangelo Gabriele al contrario, ultimo atto del film e della vita di Eric. Memorabili alcune scene: il pianto di Eric per la morte del “suo” rapper, l’interminabile ispezione rettale, il taglio di capelli, il “confessionale” finale, Grande Fratello che nessuno vede e vedrà mai.
Cosmopolis è un film gelido e durissimo, amaro, divertente, provocatorio e sconsolante ritratto estremo di una realtà che, anche se non sempre a questo livello di estremizzazione, ognuno di noi vede e riconosce nella perdita di significato e nella decadenza della vita di oggi.
Titolo: Cosmopolis (Id.)
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Fotografia: Peter Suschitzky
Interpreti: Robert Pattinson, Samantha Morton, Jay Baruchel, Juliette Binoche, Paul Giamatti, Kevin Durand, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Emily Hampshire, Patricia McKenzie, Anna Hardwick, George Touliatos, K’Naan, Jadyn Wong
Nazionalità: Francia – Canada – Portogallo – Italia, 2012
Durata: 1h. 48′
Non ho letto nulla sul film (tranne questa recensione of course:-) e non ho avuto modo di visionarlo, ma così, di primo acchito, il soggetto sembrerebbe piuttosto “demodé” (con riferimento al suo implementarsi al cinema e non al concetto espresso).
Intendo: la tematica è stata affrontata più volte in varie pellicole e l’ossessiva rincorsa al D*o danaro con annesse silicon-girls, mega auto e così via è apparsa di frequente, così come il puntuale e conseguente messaggio avverso a tali vacui valori.
Però se ho ben capito Cronenberg ha saputo usare un nuovo registro, in virtù credo del proprio indubbio talento, un po’ come fece De Palma che con “Carlito’s way” diede nuova linfa ad un (altro) genere inflazionato.
E’ così? O ci si deve aspettare un film sì valido ma “di maniera”?
Io ancora non l’ho visto, ma molti dicono che a Cannes non è stato premiato per lo scarso coraggio della giuria, segno che evidentemente qualche pregio “di rottura” ce l’ha.
Non ho mai visto un film di Cronenberg, non mi piace essere urtato, ma sono andato a vedere questo, quasi per caso.
Sottoscrivo anche le virgole di quanto ha scritto Paola Cavallini.
robert pattinson è il nuovo james dean. l’ho letto su best movies,citazione di federico moccia.
Coooooooooooosa????
Non aggiungo cio’ che penso.
E me ne vado prima che ci ripensi.
Potrei anche essere d’accordo con la recensione, in effetti alcune cose non le avevo intuite durante la visione e la rece me le ha fatte notare, resta il fatto che comunque è un film che divide: o ti piace o no. Mezze misure stavolta non ci sono.
I vecchi fan del regista della carne potranno riconoscere sempre le sue tematiche ma non penso lo possano tanto apprezzare più di quei cultori del cinema d’autore, filosofico, ecc.. o comunque chiunque abbia apprezzato il libro.
Personalmente lo trovato non noioso ma prolisso, con dialoghi veramente insostenibili a volte.
Verso la fine qualcosa si smuove, per poi arrivare ad un finale infinito, pur apprezzando la prestazione di Giamatti.
Bravo Pattinson a reggere il film.
Cronenberg sà il fatto suo, la regia è funzionale al tipo di narrazione.
Buona fotografia.
Il fatto di dividere nettamente è una costante della carriera di Cronenberg.
cronembourg sta al cinema come …Renzi sta alla sinistra. 😉 ciao!
Salvo, è ingeneroso quanto scrivi.
Cronenberg è un regista molto particolare, non credo si possa affermare che non ha nulla a che fare con il cinema. Di certo non ha a che fare con in cinema “di consumo”, a parte sporadiche esperienze.
klaatu, lo so lo so, volevo solo polemizzare con l’autrice della recensione. una mia vecchia amica.
Ingmar Bergman Uber alles! 🙂
Visto. Per quel che mi riguarda sono perfettamente d’accordo con la (ottima) recensione. Il film risulta, come nello stile del Cronenberg, a tratti “disturbante” ed a tratti apparentemente criptico, ma solo di primo acchito. Con il senno di poi è più semplice decodificarne taluni aspetti (almeno per me).
Il protagonista ha tutto senza avere nulla, si è costruito appunto, con metodo e perseveranza, una realtà alternativa dorata quanto fittizia in cui non riesce ad trovare una, anzi, “la” propria identità.
Un film sicuramente intenso e da vedere, anche se mi trovo concorde con Marco sulla prolissità di alcune situazioni, che fanno perdere un po’ di incisività in qualche frangente. Alla fine però il messaggio arriva forte e chiaro, direi.