"Il gioiellino" di Andrea Molaioli

Bim, 4 Marzo 2011 – Massiccio
Amanzio Rastelli è il fondatore di un’azienda agro-alimentare in continua espansione e quotata in borsa. Nonostante una momentanea ascesa, però, l’azienda inizia a indebitarsi, e per evitare il fallimento Rastelli falsifica i bilanci, entrando così in un tunnel da cui è impossibile uscire….
E’ proprio il caso di dirlo: finalmente un film italiano con gli attributi, che non ha paura di osare, di colpire laddove desidera, di mostrare anche quello che non si dovrebbe mostrare. Il tutto con disarmante sincerità e una compattezza che fa quasi rabbrividire.
A quattro anni di distanza dal folgorante esordio con La ragazza del lago – vincitore di ben 10 David Di Donatello e di un’infinità di altri premi – Andrea Molaioli torna dietro la macchina da presa con una storia complessa, torbida, che ricalca a grandi linee la vicenda che vide coinvolto, all’inizio del nuovo millennio, l’allora dirigente della Parmalat Callisto Tanzi, protagonista di uno fra i più clamorosi scandali della nostra storia.
Benché sia ambientato negli anni 90, Il gioiellino risulta estremamente attuale sia nella forma che nel modo di raccontare i fatti, trasmettendo un messaggio forte e chiaro senza farlo subire agli spettatori ma, anzi, accompagnandoli nello scoprire i lati più oscuri della nostra economia e del nostro paese in generale.
Molaioli dirige il suo film esattamente come farebbe Paolo Sorrentino, con sicurezza e decisione, attingendo qua e là dalla cultura popolare e disegnando dei personaggi che non potrebbero essere più adatti e conformi alla storia, concedendosi, talvolta, divagazioni grottesche sempre caratterizzate da un velo di oscurità.
Tecnicamente ineccepibile, la pellicola è ulteriormente impreziosita dalle gigantesche prestazioni di tutti gli interpreti, accurati nel tratteggiare, senza eccedere, la personalità ambigua e inquietante che accomuna i loro personaggi. Toni Servillo e Remo Girone danno vita a un vero e proprio duello sul filo del rasoio, alternando dialoghi profondi a battute taglienti che fanno venire la pelle d’oca. Buona anche la performance della giovane Sarah Felberbaum nel ruolo della femme fatale di turno.
Un film assolutamente da non perdere, dunque, questo di Molaioli, che va preso non soltanto come opera di finzione ma come un’autentica lezione di vita, che dice in poco meno di due ore tutto quanto i telegiornali non sono mai riusciti a dire.
Titolo: Il gioiellino
Regia: Andrea Molaioli
Sceneggiatura: Ludovica Rampoldi, Gabriele Romagnoli, Andrea Molaioli
Fotografia: Luca Bigazzi
Interpreti: Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Lino Guanciale, Fausto Maria Sciarappa, Lisa Galantini, Vanessa Compagnucci, Maurizio Marchetti, Renato Carpentieri
Nazionalità: Italia, 2010
Durata: 1h. 50′
Abbiamo visto “ Il gioiellino “ regia di Andrea Molaioli.
Molaioli è uno dei registi emergenti italiani degli ultimi anni, ha seguito
una buona trafila per diventare un regista con talento, ha fatto da assistente
e poi da aiuto regista a Nanni Moretti, Mimmo Calopresti, Daniele Lucchetti ,
Carlo Mazzacurati. Poi a quarant’anni ha realizzato il suo primo film “ La
ragazza del lago “ ( 2007 ), ispirato al romanzo “ Lo sguardo di uno
sconosciuto “ della scrittrice norvegese Karin Fossum. Un buon film di genere
con venature stilistiche alla Durrenmatt. Con quel film ha ottenuto ben dieci
premi David di Donatello. E forse con questa affermazione gli è stato dato una
esagerata sopravvalutazione, oggi è alla sua seconda prova di regia ma,
nonostante le buone intenzioni e la voglia di raccontare l’ipocrisia di una
certa provincia e del solito capitalismo italiano che alle difficoltà risponde
con l’illegalità e la truffa, non riesce che a produrre un film frammentario,
un po’ a singhiozzo, in cui dopo i primi dieci minuti in cui viene “ detto
tutto “ ( sulla provincia, sul capitalismo italiano, sul modo di vedere di un
capitalista antiquato e su un ragioniere scorbutico e algido ) non c’è altro
che una moltiplicazione dell’assunto iniziale, con un andamento orizzontale
senza sussulti, quasi solo una prova d’attori dei bravi Remo Girone e Toni
Servillo ( per quanto riguarda Servillo, speriamo di sbagliare, ma rischia di
fare sempre bene lo stesso personaggio con l’unica differenza del cambio di
parrucchino e dei vestito che indossa ) mentre quasi tutti gli altri personaggi
sono abbozzati, senza spessore, delle figurine di contorno. Come poco
raccontato è il suo rapporto con i politici ( basta un passaggio in aereo
personale ? O un po’ di ragazzette che li allietano ? O un consiglio in un
chiostro da parte del politico ? ). Siamo sicuri che De Mita o Andreotti erano
molto di più di quello che appare nel personaggio interpretato da Carpentieri.
E poi complessivamente il signor Rastelli appare più una vittima della
situazione che non un criminale economico, c’è da parte degli sceneggiatori
quasi un indulgere su questa “ brava persona “ che in fondo vuole solo lavorare
e rendere il suo “ gioiellino “ più importante possibile. Insomma, Molaioli
prende una storia “ politica , dagli esiti disastrosi per migliaia di
risparmiatori italiani e la vede sostanzialmente attraverso il lato psicologico
dei due protagonisti. Per quanto riguarda invece lo stile, quello che
risultava un approccio originale nel primo film in questo, ripetendolo, diviene
un difetto drammaturgico.
La storia è quella del signor Callisto Tanzi, uomo di provincia di successo,
proprietario della Parmalat, uno che ha fatto un buco da quindici miliardi di
euro, che ha rubato ai suoi dipendenti presenti e passati: uno dei soliti
imprenditori italiani, con stile diverso, ma con la stessa abilità
delinquenziale dei vari Cragnotti, Ferruzzi e affini.
Il film cambia i nomi dei protagonisti, sposta in Piemonte la storia e inizia
con l’industriale Rastelli che fa l’elogio della provincia e dei suoi valori,
poi in una frattura temporale l’arrivo della finanza negli uffici della Leda,
gli uomini trovano computer fracassati, fogli tritati e scavano anche nel
terreno della villa della nipote dell’imprenditore. Ma è tutto così breve e
introduttivo che scivola via senza lasciare traccia. Si torna indietro nel
tempo, a quando il signor Rastelli ( Un bravissimo Remo Girone ) è al massimo
del successo grazie a latte, merendine e biscotti, ma è anche privo di
liquidità ed è sempre alla ricerca di danaro fresco. Elogia il made in Italy,
si circonda di prelati e politici, corrompe chi deve corrompere, frequenta la
chiesa e fa gestire al figlio la squadra di calcio della sua città. Un tempo
si sarebbe detto, un uomo tutto lavoro, casa e chiesa. Rastelli ha un rapporto
simbiotico con il suo ragioniere, Botta ( un sempre bravo Servillo ),un uomo
solitario, completamente afasico negli affetti, che lavora tutto il giorno, con
un carattere scorbutico e “ selvaggio “; è lui che gestisce le finanze del
gruppo, è abile nelle battaglie finanziarie che l’azienda intraprende, riesce a
gestire i bilanci e a trovare denaro liquido. Nella sua vita non c’è altro che
il lavoro, gli unici passatempi sono “ sveltine “ con una collega pratica e
annoiata e il piacere di bere un bicchiere di vino. Ma nonostante il
superlavoro e l’abilità le cose per l’azienda vanno sempre peggio, Botta deve
fare i salti mortali per trovare liquidità e negli anni accumula debiti su
debiti ma per sua fortuna per molto tempo nessuno vuole vedere o approfondire,
nemmeno le banche. E quando sarebbe necessario rinnovarsi, cambiare strategia
e seguire i consigli della giovane nipote di Rastelli laureata in economia,
cinica e pratica, Botta non prende posizioni pur condividendo, un po’ perché ha
una fiducia totale – quasi divina – del suo capo che ha sempre trovato una
soluzione ai problemi e un po’ perché conosce il carattere del suo boss che
resta un provinciale e restio a capire i cambiamenti. Ed è l’inizio della
fine, Botta inventa allora falsi bilanci, danaro liquido inesistente alle
Cayman e altre cosucce. Ma oramai il destino è stabilito e finiranno tutti
dentro tranne Rastelli che scappa in Russia con la moglie.
Anche se la storia si concentra con precisione, ma senza entrare nei
tecnicismi, su una corporation affogata dai debiti e poi costretta alla
bancarotta, il racconto ci appare un po’ troppo distaccato, freddo, quasi fuori
fuoco, come è la fotografia del bravissimo Luca Bigazzi ( di cui però noi non
condividiamo in questo caso ). Ci dispiace non parlare bene del film, ma con
tali potenti premesse ci sembra che la montagna abbia partorito un topolino.
Da segnalare – lo abbiamo già scritto – la prova maiuscola di Remo Girone
mentre da Servillo forse oramai ci aspettiamo troppo. E il montaggio asciutto
e giustamente sottotraccia.
wtf?!
Ma poi abbiamo chi?
Molta finanza creativa e dopata una buona rilettura del crac Parmalat (certamente non documentarista)
Quanto te hanno pagato per questa pseudo recensione.
Il fil fa cag@are.
E un grosso flop.
Alberto, ma secondo te se la Bim decide di prezzolare la critica per infinocchiare gli spettatori, viene a dare i soldi a noi?
Purtroppo quella finanza creativa drogata ha fatto tanti danni sopratutto a famiglie.
Ben vengano comunque questi film che anche se non sono reali fanno capire come si muovono certi squali con l’appoggio di certi politici.
Film estremamente valido. Mi chiedo come si possa sentire un attore a recitare a fianco di Toni Servillo sapendo che non c’è confronto o, al massimo, può brillare di luce riflessa
Secondo me Pierfrancesco Favino è sullo stesso livello, solo che lavora di più e finisce per fare anche delle gran cagate. Mi piacerebbe vederli recitare insieme.