Il soffio dell'anima di Victor Rambaldi
Iris Film, 13 Marzo 2009 – Delirante
Alex è da molti anni in dialisi ma insegue comunque un sogno: quello di poter vincere un torneo di arti marziali, nonostante la sua infermità. E nonostante le cure di Luna e l’assistenza di una guida spirituale, non sarà solo la malattia a mettere a rischio la sua vita…
Chiunque abbia avuto un problema fisico anche minimo, da una piccola frattura fino a un incidente stradale, arrivando perfino a squilibri di tipo emozionale, sa quanto sia importante e utile lo sport e l’attività fisica, sia come fisioterapia, ma anche come pratica per l’equilibrio spirituale. Se ne sono accorti in molti, scrittori e autori cinematografici. Evidentemente se n’è accorto anche Victor Rambaldi, figlio d’arte che, per il suo quarto lungometraggio, decide di ripercorrere in Il soffio dell’anima la parabola agonistico-spirituale di molto cinema USA, declinandola in salsa italica e quindi condendola con un bel po’ di melodramma. Ne esce fuori un deprimente pasticcio.
Rambaldi, autore anche della sceneggiatura tratta dall’omonimo romanzo di Valentina Lippi Bruni, prova a mescolare Karate Kid e The Wrestler, con i deliri mistici del Ragazzo dal kimono d’oro, nel tentativo di mettere insieme un film sportivo colmo di spirito e buoni sentimenti, ma tirando fuori solo un polpettone degno della Tv anni 80. Il soffio dell’anima, infatti, è indietro di almeno 20 anni a partire dai suoi temi: le solite solfe sui “perdenti” che possono risalire la china, sui disabili che devono avere le opportunità di tutti gli altri, sullo sport e la spiritualità (ovviamente orientali) come discipline dell’anima. Naturalmente, questa sorta di bignami new age nutrito a pane e Bruce Lee è imbottito di stereotipi narrativi (il cattivo e il suo mellifluo allenatore) e razziali (i cinesi parlano solo per motti, metafore e parabole).
Il tutto seguendo l’inconfondibile metodo Stefano Calvagna (che infatti produce e interpreta l’allenatore di cui sopra): toni enfatici e rozzamente esasperati, adesione pedissequa agli orecchiati schemi statunitensi, caratteri e funzioni narrative tagliate con l’accetta e ostentatamente ripetute, morali familiari e sentimentali. Il tutto coronato da un improponibile dilettantismo nella realizzazione – sia nella sceneggiatura, oltre la banale prevedibilità e molto vicina al plagio multiplo, sia soprattutto nella regia, che oltre ad avere poca idea di ritmo e tensione narrativa ci mette il carico cercando di portare tutto su lidi mistici e soprannaturali (finale stracult), in cui davvero si ha l’impressione che Rambaldi non abbia idea di cosa sia il pubblico e cosa voglia da un film.
Altra impressione evidente è che gli attori siano tutti con la testa e il talento da un’altra parte: e se di Flavio Montrucchio non ci si stupisce, la scelta di Dario Ballantini e Raffaello Balzo tradisce non solo l’idea bassa e offensiva che il regista ha del cinema, ma anche del target a cui dovrebbe riferirsi. Che probabilmente non esiste, e se esiste diserterà le sale. E allora potremmo affermare che, quando non si sa cosa si fa, forse è meglio oziare del tutto.
Titolo: Il soffio dell’anima
Regia: Victor Rambaldi
Sceneggiatura: Victor Rambaldi
Fotografia: Giovanni Luca Santini
Interpreti: Flavio Montrucchio, Lucrezia Piaggio, Raffaello Balzo, Yang Yu Lin, Stefano Calvagna, Dario Ballantini, Orso Maria Guerrini, Claudio Angelini, Lina Bernardi, Cristina Sebastianelli
Nazionalità: Italia, 2009
Durata: 1h. 50′
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