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"Paranoid Park" di Gus Van Sant

30 novembre 2007 Recensioni 5 Commenti
Paranoid Park

Lucky Red, 7 Dicembre 2007 – Rigoroso

Paranoid park è un parco per appassionati di skateboard di Portland, in cui si ritrovano gli skater più folli: anime dannate, giovani senza tetto, senza futuro, che bruciano le proprie vite sulla pista. Alex, 16 anni, attratto da quello che per molti è un paradiso artificiale, si avventura nel parco…


Gabe NevinsAlex, aspirante skate-boarder, tratti rinascimentali e sguardo opaco, è l’artefice di un omicidio involontario. Durante una bravata fra teen-ager spinge la guardia notturna che lo sta inseguendo sui binari. Un treno si avvicina. L’uomo muore. Il ragazzo perde l’innocenza. E decide di tacere.
Questo è Paranoid Park, l’ultimo lavoro di Gus Van Sant: un intreccio essenziale – al pari della ‘trilogia della morte’ che lo ha preceduto – e per questo liberatorio. Con una differenza: se in Gerry, Elephant e Last Days la dimensione estetica era intimamente legata a quella etico-religiosa, Paranoid Park celebra la materia-cinema. Dai cieli infiniti di Gerry e di Elephant al cemento ultra-colorato di un parco da skate. Dalla trascendenza della morte in Last Days, alla morte-incidente – quindi priva di senso – di Paranoid Park. Non un improvviso cambiamento di rotta, ma un inevitabile ultimo capitolo di una tetralogia votata allo sperimentalismo.

Lauren McKinneyFin dai tempi di Gerry, Gas Van Sant dimostra di rifiutare ogni tipo di psicologismo – non è un caso che i personaggi siano spesso ripresi di spalle, non è un caso il silenzio e il carattere enigmatico delle loro gesta. Con Paranoid Park, il regista sospende il giudizio: alla fine del film Alex stralcia (letteralmente) quello che è il residuo di una certa cultura occidentale, che vede nella parola uno strumento di salvezza, dalla confessione alla psicoterapia. Un gesto catartico e – ancora una volta – liberatorio. A liberarsi così è innanzi tutto l’immagine. Gus Van Sant – assieme all’eccellente direttore della fotografia Christopher Doyle – sembra volerne esplorare i limiti interni, fino a deformarne le proporzioni attraverso l’uso del grandangolo, lasciando spesso e volentieri lo sfondo fuori fuoco e privilegiando il piano americano, senza tuttavia cadere nello psicodramma. Effetto opacità: questo il genio di Gus Van Sant.

Gabe NevinsL’attenzione che il regista porta ai personaggi, questi adolescenti di cui sembra voler mettere in scena una certa innocenza, non mira in alcun modo a voler dare una ragione alle loro azioni, a capire il perché delle loro gesta. Tra il protagonista e lo spettatore c’è sempre una certa distanza. In questa distanza s’inserisce il linguaggio-cinema. E la ricchezza dell’immagine-movimento: Gus Van Sant la rallenta tra i corridoi del liceo, la accelera con la Super8 sullo skate. Gioca con la temporalità, manipolando la narrazione a suo piacimento.

Il regista Gus Van Sant spiega una scena a Gabe Nevins e Taylor MomsenMagnifica la colonna sonora, che propone musiche di Ethan Rose e Nino Rota. Effetto estraneità: Gus Van Sant si diverte a giocare sul contrasto tra immagine e suono e quando la prima si fa carica di tensione – Alex mentre uccide la guardia, Alex mentre lascia la ragazza – la colonna sonora insegue il burlesque. Invade la scena, ne sdrammatizza l’azione, scava il solco – ancora una volta – tra l’immagine e lo spettatore. Libero così da ogni manipolazione. Paranoid Park riesce là dove molti film non riescono: unire l’intrattenimento al rigore estetico. Puro Cinema.


La locandinaTitolo: Paranoid Park (Id.)
Regia: Gus Van Sant
Sceneggiatura: Gus Van Sant
Fotografia: Christopher Doyle, Kathy Li
Interpreti: Gabe Nevins, Daniel Liu, Taylor Momsen, Lauren McKinney, Jake Miller, Winfield Jackson, Joe Schweitzer, Grace Carter, Scott Patrick Green, John Michael Burrowes, Jay “Smay” Williamson, Dillon Hines, Emma Nevins, Brad Peterson
Nazionalità: Francia – USA, 2007
Durata: 1h. 30′


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Attualmente ci sono 5 commenti a questo articolo:

  1. Marco ha detto:

    Veramente una recensione con i controc### complimenti alla recensionista!
    Il film non mi è dispiaciuto, apprezzo la visione di Van Sant (che ha perfettamente descritto la recensione) ma sinceramente non mi ha emozionato tanto rispetto ad altri film indipendenti che ho visto.
    Interessante lo script che alterna flash-forward e flash-back, lo stile solito di regia di Van Sant o lo si ama o lo si odia, ammetto che però si sposa perfettamente con la vicenda.
    Elephant lo avevo apprezzato di più ma lo dovrei rivedere, Milk non mi ha entusiasmato più di tanto.

    Cosa ne pensi te Albe? E di Gus Van Sant in generale? Se vorrei inziare ad approfondire meglio la visione del regista con quale film mi consiglieresti di iniziare?

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Mah, a me Van Sant non è mai piaciuto. Tutti i suoi film mi sembrano freddi e cerebrali, questo in particolare. Un “bigino” del suo cinema diciamo che deve comprendere Drugstore Cowboy, Belli e dannati, Cowgirls – Il nuovo sesso, Gerry e Milk (in ordine cronologico).

  3. Guido ha detto:

    Scusa Alberto….e “Will Hunting-Genio ribelle”??? Quello è quasi un capolavoro!
    Anche se il merito va alla sceneggiatura di Matt Damon e Ben Affleck.

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Guido, la domanda di Marco mi sembrava precisa. Se si vuole approfondire l’idea di cinema che Van Sant ha, se lo si vuole conoscere come autore, si devono vedere quelli che sono i suoi film più personali. “Will Hunting” è un film su commissione di cui a Van Sant fregava tutto sommato poco, non direi che è un’opera essenziale per imparare a conoscerlo. Lo si può guardare dopo, in un’ipotetica “seconda ondata”, quando si cominciano a riempire i buchi della sua filmografia.

  5. Andrea ha detto:

    A parte Will Hunting di Van Sant non ho visto altro e mi limito a dare il mio parere su questo: film stupendo. D’accordo in pieno con la recensione.

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