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Piccola guida al cinema "sfigato" di Pupi Avati

8 luglio 2003 Articoli 0 Commenti
Pupi Avati

8 Luglio 2003

Pupi Avati è un regista dalla carriera pregevole ma vissuta sempre sottotono, al riparo dalle celebrazioni della critica e delle folle. Per chi digerisce bene le retrospettive, l’home video dà la possibilità di riscoprire uno degli autori più raffinati e composti del cinema italiano…


Pupi AvatiPupi Avati è anzitutto un cineasta prolifico. Insieme alle sceneggiature, quasi sempre scritte in coppia col fratello Antonio, quasi trenta film portano la sua inconfondibile firma fatta di coralità, leggerezza e dialoghi in presa diretta. Non mancano sperimentazioni personali e incursioni nel cinema di genere (gli esordi nell’horror e nel thriller, le dichiarazioni d’amore per il jazz come nel Bix del ’91 e nella prossima uscita Quando arrivano le ragazze?, un’italianistica interpretazione del poker film con il celebre Regalo di Natale del 1986, gli storico-religiosi Magnificat e I cavalieri che fecero l’impresa), ma Pupi Avati resta soprattutto un regista che parla di sentimenti, con un occhio privilegiato per l’Amore.

Vanessa Incontrada e Neri Marcorè in una scena de Il cuore altroveChi si sia limitato a guardare Il cuore altrove non pensi che l’immaginario erotico del bolognese si limiti alla descrizione compiaciuta del mondo degli sfigati, del quale peraltro egli stesso si fregia di far parte, delineandosi in realtà molto più distintamente come tema prediletto uno dei più banali, lo stesso che ha ispirato la stragrande maggioranza di poeti e romanzieri di tutti i tempi, ai quali è spesso apparso come una facile via di fuga dalla carenza di idee. Si parla infatti dell’amore non corrisposto. Pupi Avati ha fatto di questa fattispecie narrativa una vera e propria religione artistica, eleggendone a supremo sacerdote l’incomparabile volto di Carlo Delle Piane, al quale in verità non è mai stato destinato, a differenza del più fortunato Neri Marcorè del Cuore altrove, l’appagamento dei propri sentimenti. E non è un caso che il ruolo di “principe degli sfigati” contrassegni un attore divenuto celebre per la propria indubitabile bruttezza (in amore, si sa, l’aspetto fisico dell’uomo conta poco o niente), perché il cinema di Pupi Avati ha anche il pregio di essere nitidamente semplice e genuino (i più colti direbbero naïf), e diviene pertanto inevitabile che l’amore in esso rappresentato rechi l’impronta un po’ surreale dello sguardo infantile.

Tiziana Pini e Carlo Delle Piane in una scena di Una gita scolasticaE di sensibilità infantile è completamente intriso Una gita scolastica, dell’83, che andrebbe visto anche solo per gustare la toccante colonna sonora di Riz Ortolani, una delle più belle della storia del cinema. Ma a parte l’inedito taglio musical, gli splendidi scenari della campagna emiliana, il tema ricorrente della nostalgia, memorabili restano in questo film due sequenze che vedono appunto per protagonisti il brutto Delle Piane, qui nei panni di un illibato professore, e la bella Tiziana Pini, sua collega. La prima è una scena di seduzione nella quale vediamo la donna infilarsi lentamente due tipici gambaletti dei primi del Novecento davanti al suo imbarazzatissimo corteggiatore che fa capolino da una botola del pavimento. I campi e controcampi “obliqui” (la prospettiva dal basso rende perfettamente il punto di vista del professore sulle donne), il gioco di controluce che esalta la superbia femminile, il dialogo sempre in bilico tra il grottesco e il patetico sono elementi da portare ad esempio per qualunque cineasta. La seconda scena da segnalare è quella in cui Delle Piane, trascorsa un’intera notte davanti alla camera della collega nella speranza che questa gli si concedesse, si rende conto con cocente delusione che l’avventura ripromessa dalla donna è stata appena consumata con uno dei suoi studentelli. Nessuna delle mille facce di Jack Nicholson o Robert De Niro potrà mai eguagliare l’ineffabile espressività racchiusa dello sguardo di Delle Piane in questa particolare sequenza.

Immagine pubblicitaria per Festa di laureaPer chi è abituato a un cinema più maturo, Festa di laurea rappresenta forse per Pupi Avati l’affresco umano più riuscito, senz’ombra di dubbio il più letterario. Già la trama presenta una venatura allegorica che ne fa un perfetto canovaccio da romanzo novecentesco: un umile pasticciere, ex giardiniere (Carlo Delle Piane), viene contattato dalla propria vecchia padrona (Aurore Clément), della quale è sempre stato segretamente innamorato, per trasformare in pochi giorni una cadente tenuta di famiglia in una perfetta sala di ricevimenti, in tempo per celebrare la laurea appena conseguita dalla figlia della ricca signora. Dopo aver assunto assieme i contorni di un riscatto sociale e di una sfida esistenziale, l’impresa commissionata si rivelerà per l’uomo un vero insuccesso.
Anche qui ci sono almeno due sequenze per cui vale la pena affittare un home video. Nella prima si svela decisamente il tocco delicato e sensibile dell’autore: poco prima della festa, la signora nota che i piatti accatastati sul buffet recano l’iscrizione del ristorante dal quale sono stati presi in affitto. L’inconsapevole gaffe solleverà le ire della padrona di casa davanti agli occhi straniti dello staff di lavoranti, che non comprendono affatto la sottigliezza. La seconda memorabile scena è quella che conclude il film: dopo aver assistito al proprio fallimento professionale, e rimasto solo nel giardino addobbato da decine di lampadine, quello che sarebbe dovuto essere il clou della festa già abortita, l’uomo si scioglie in un gemebondo dialogo senza interlocutore, immaginando di dichiarare il suo amore a quella stessa donna che non ha fatto altro che snobbarlo per tutto il tempo. La scena è così intensa da essere stata inserita come esemplificazione della malinconia in un programma televisivo di qualche anno fa condotto da Mino D’Amato e vertente sui sentimenti umani.

Carlo Delle Piane in una scena di la Via degli AngeliSpesso il dramma dell’amore unilaterale accomuna Delle Piane a una serie di altri personaggi, segnando una sorta di universale condizione di afflizione attorno alla quale si radica l’evidente pessimismo dell’autore. Già in Una gita scolastica, sottoforma di episodio secondario, i ruoli tradizionalmente attribuiti dalla poetica avatiana ai due sessi venivano soggetti a un interscambio, assegnando all’attrice Lidia Broccolino il personaggio di “bruttina” vanamente innamorata dell’altezzoso “bello” della classe. Nel più recente la Via degli Angeli (ultimo della “trilogia della sfiga” che consigliamo di vedere) lo stesso esperimento veniva ripetuto in forma più marcata con Valentina Cervi, smentendo definitivamente le accuse di maschilismo in più occasioni rivolte al regista. Il film è interessante perché presenta la repressione dei sentimenti come uno stato normale dell’uomo, in ciò assistito da una provvidenziale e incosciente arte della rassegnazione. Pupi Avati prende spunto dalla condizione delle campagne emiliane della prima metà del Novecento, nelle quali le relazioni sociali erano ridotte al minimo a causa delle distanze, per inscenare la patetica odissea di un gruppo di sprovveduti contadini guidati da un agente matrimoniale senza scrupoli verso la balera nella quale si terrà l’annuale festa da ballo, di fatto unica occasione d’incontro fra i due sessi per la gente del luogo. Naturalmente la festa non darà per la maggioranza dei partecipanti i frutti sperati, ma a Delle Piane il destino non può che rivelarsi peggiore degli altri, tanto che dopo tanti chilometri percorsi a piedi, sarà perfino privato dell’illusione d’incontrare la sua bella.

Se la Via degli Angeli rappresenta il culmine del pessimismo, Il cuore altrove segna dunque un deciso cambio di rotta, avvenuto peraltro dopo un intervallo di appena quattro anni. A questo punto sarebbe forse da sperare che il buon Pupi, maestro anche nell’arte di recuperare comici allo sbando e trasformarli in attori a tutti gli effetti (vedi lo stesso Delle Piane, Abatantuono, Boldi…), non decida di dare un ruolo di protagonista per un suo film anche a Dario Vergassola.


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