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Soundtrack: "La leggenda del cacciatore di vampiri" di Henry Jackman

17 settembre 2012 Soundtrack 0 Commenti
Roberto Pugliese, 27 Agosto 2012: * * *
In collaborazione con Colonne Sonore

Non esattamente la prima scelta dei produttori, l’allievo di Hans Zimmer Henry Jackman prova ad amalgamare la propria partitura musicale con il lavoro dei tecnici degli effetti sonori, creando una colonna sonora piena di rimandi e citazioni ma che non nasconde il suo talento…


Si può facilmente supporre che quando un compositore si trova dinanzi al compito di dare veste musicale a un film come questo o consimili (diciamo appartenenti all’ormai dilagante filone horror-fantasy-comic, con tutti i “cross over” del caso), gli si parino di fronte due strade: o fare a gara a chi mostra di più i muscoli tra il compositore stesso e il team degli addetti al suono e agli effetti, oppure giocarsi la carta di una difficile integrazione e assimilazione nell’insieme sonoro del film, magari amalgamandosi e camuffandosi all’interno della colonna-effetti, cercando una via di emersione e di affermazione con poche ma precise, e riconoscibili, idee.
Se ci si incammina su questa seconda, più giusta ma più rischiosa, strada, si aprono a loro volta altre due sottoipotesi: o si è un compositore di prima linea, in grado di sovrastare il bailamme deflagratorio e fracassone dell’insieme con una personalità creativa irrinunciabile (citeremo tra i casi recenti l’Horner di The Amazing Spider-Man e l’Howard di Biancaneve e il Cacciatore), o si è un passo indietro sul fronte dell’originalità, e allora gli sforzi, per quanto generosi, rischiano di naufragare nel più generico e dimenticabile dei contributi.

Abbiamo ipotizzato casi estremi per comodità e chiarezza, e non si può in tutta onestà dire che Henry Jackman e il suo lavoro per questa bizzarra digressione horror della Guerra di Secessione sia facilmente incasellabile in qualcuno degli scenari sopra esposti. Anche se non v’è dubbio che, subentrato nell’incarico a una prima scelta caduta su un altro zimmeriano doc come Marc Streitenfeld (poi cooptato nel ben più impegnativo Prometheus di Ridley Scott), poi a una seconda opzione che aveva individuato l’anticonformista e laboratoriale Trent Reznor, il giovane compositore inglese tenti senza dubbio la strada più personale. Ossia non arrendersi al caos similnucleare del sound bensì cercare di farne intelligentemente parte, difendendo le ragioni della propria musica: ovviamente, con le risorse creative a propria disposizione. Quindi converrà attenersi a questo nella valutazione estetica di uno score imponente e adulto, molto presente ed elaborato, ma a tratti inevitabilmente confuso e confusivo anche nelle proprie suggestioni: a cominciare, nella melopea vocale iniziale di “Childhood tragedy”, da una citazione immediata – quanto inconsapevole? – nel Leitmotiv principale (o “tema di Lincoln”) di uno dei temi portanti del Gladiatore
Una cosa appare subito abbastanza evidente. Jackman ottiene risultati migliori e più convincenti non quando tenta vanamente di imitare il maestro nelle propulsioni techno-wagneriane di corni svettanti su percussioni elettroniche (“What do you hate?” o “Power comes from truth”), che finiscono inesorabilmente con il disperdersi in quel generico frastuono in Dolby che è ormai l’accompagnamento stabile di tre quarti del cinema mainstream hollywoodiano (“You are full of surprises” ne è una specie di condensato, con i suoi ovvi “stinger” e le strisciate furiose degli archi), bensì quando si concentra di più sulle parti liriche e meditative; allorché in altre parole il risultato dei suoi colti e prolungati studi accademici a Oxford e a Eton ha modo di mettersi meglio in luce. Un brano come “Mary Todd”, sciolto nella accorata cantabilità degli archi e gravato dalla presaga luttuosità degli ottoni, ne costituisce un ottimo anche se fuggevole esempio.
E tuttavia l’azione incombe e incalza: affezionatosi al proprio Leitmotiv “gladiatorio”, Jackman lo manipola e lo sviluppa con sagacia dinamica (“The horse stampede”) e disinvoltura di accostamenti timbrici, mobilitando suoni heavy-metal accanto a ossessivi ostinati degli archi e michelangiolesche perorazioni degli ottoni. Tuttavia è ancora un brano come “Adam”, aperto da uno scampanìo e da rintocchi funebri, ancora nell’utilizzo severissimo e dolente degli archi (si ascolti soprattutto il fraseggio dei celli) proprio nell’esporre il tema di Lincoln, a confermarci che Jackman sente più vicino il lato riflessivo e raccolto della partitura.
Gli effetti di chitarra di “Inauguration” e la maestosa progressione di archi e corni a seguire preludono a nuove variazioni sul tema principale, che si dilata via via a colonna drammaturgica portante dello score: il lavoro sugli archi si raffina, come nel recitativo di celli e bassi sul tremolo dei violini in “All slave to something”, ben presto fagocitato nell’ennesimo frullatore sobbalzante di archi, percussioni e synt. Ma “Haunted by the past”, con i violini in flautando e glissando e lo spettrale suono del vibrafono seguito dai violini con sordina contrappuntati dai celli, ripropone uno di quei climi mestamente composti e inquietanti che sembrano maggiormente nelle corde del musicista.

Un prevedibile e non particolarmente originale dispiego massiccio di forze si abbatte ovviamente sul lungo epilogo d’azione, in particolare “Battle at Gettysburg”. Tuttavia Jackman, per tornare a quanto si diceva all’inizio, ha l’astuzia e l’intuizione in “80 miles” e “The burning bridge” di trasformare onomatopeicamente la folle corsa del treno in effetto musicale (“Pacific 231” di Honegger è sempre un ottimo modello…), sacrificando qualsiasi ambizione di scrittura a un dinamismo soffocante e apocalittico. Il paesaggio si solennizza nuovamente nella prima parte di “Not the only railroad” e assume definitivamente i contorni di una celebrazione con il tema di Lincoln luminosamente cantato dagli archi in “The Gettysburg address”: lo stesso tema che, molto più sommessamente e forse efficacemente, con quel tanto di triste profezia riconoscibile da chi ricorda come andò la Storia, è affidato a un quieto pianoforte su accordi pacati degli archi in “Late to the Theater”, lasciati liberi di defluire sullo sfondo. L’ultimo colpo di coda è “The rampant hunter”, introdotto da chitarre memori del Badalamenti di Twin Peaks, brano scopertamente techno-rock e sfacciatamente estraneo al resto dello score.

Il talento di Henry Jackman ancora una volta non appare discutibile: ma si riuscirà ad apprezzarlo meglio solo in una fase di ulteriore emancipazione da modelli (musicali e cinematografici) che ormai non sembrano aver più moltissimo da trasmettere.


Titolo: La leggenda del cacciatore di vampiri (Abraham Lincoln: Vampire Hunter)

Compositore: Henry Jackman

Etichetta: Sony Classical, 2012

Numero dei brani: 22
Durata: 45′ 45”


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