"Still Life" di Uberto Pasolini
Bim, 12 Dicembre 2013 – Emozionante
John May rintraccia per conto del comune di Londra i parenti più prossimi di coloro che muoiono in solitudine, così che questi possano partecipare ai funerali. John May è attento e coscienzioso, ma quando a morire è il suo dirimpettaio prende il caso ancora più a cuore…
Ai Festival del Cinema capita spesso (a Venezia molto spesso) di generare più di una perplessità al momento della presentazione del programma. Questo perché spesso le perle di maggior valore sono nascoste nelle sezioni collaterali e hanno un pedigree tutt’altro che nobile. Still Life è una di queste perle.
Opera seconda del produttore nato a Roma ma attivo internazionalmente Uberto Pasolini – noto soprattutto per Full Monty – a cinque anni di distanza dall’apprezzata commedia Machan, Still Life racconta una storia decisamente anomala riuscendo a renderla poetica e toccante, colorandola con delicati tocchi umoristici senza mai calcare la mano con il dramma e dando rapide ma efficaci pennellate per disegnare il personaggio protagonista.
Il bravo Eddie Marsan offre la sua maschera al solitario John May, caratterizzandone la malinconia con piccole sfumature nelle espressioni del viso e nella postura, rendendolo in questo modo particolarmente umano. Le belle musiche dell’esperta Rachel Portman aiutano poi molto a rendere emozionanti alcuni momenti e riproporre così sullo schermo la poesia che la sceneggiatura di Pasolini ha sulla carta, e che conserva nonostante un finale estremamente banale.
Titolo: Stil Life
Regia: Uberto Pasolini
Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Fotografia: Stefano Falivene
Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Froggart, Karen Drury, Andrew Buchan, Ciaran McIntyre, Neil D’Souza, Paul Anderson, Tim Potter, David Shaw Parker, Michael Elkin, Bronson Webb, Leon Silver, Lloyd McGuire, Wayne Foskett, Hebe Beardsall
Nazionalità: Regno Unito, 2013
Durata: 1h. 27′
Machan lo ricordo benissimo, un film molto ben fatto e intelligente.
Sono contento di sapere che il regista si conferma in senso positivo.
Rifletto un po’ sulla nazionalita’ del film…
Al Lido c’è anche un altro regista italiano che ha sempre vissuto e lavorato all’estero, Pallaoro. Credo sia giusto dire che nessuno dei due è cinematograficamente italiano.
Visto a Venezia 70 questo film è una scoperta, diciamo un outsider, non conoscevo il regista ma mi ha colpito positivamente, un piccolo capolavoro dolceamaro. Certo è un film più da Festival che da sala però rimane godibilissimo, senza dubbio d’essai.
Sicuramente non è un film per tutti, ma in teoria il suo pubblico ce l’ha. Bisogna vedere se riesce a raggiungerlo, ma merita davvero.
Ok, verde e’ verde brillante, emozionare emoziona un bel po’, pero’ per riassumere il film in una parola userei “crudele”.
Il finale, hai ragione, e’ banale, ma non ne immagino altri, se non piu’ banali, quindi e’ quello giusto. Secondo me.
Guarda, hai ragione nel dire che è il finale tutto sommato giusto per questo tipo di storia. Però poi c’è modo e modo di raccontarlo. Se il film fosse finito bruscamente mentre lui attraversa la strada sarebbe stato perfetto. Vuoi andare avanti? Ok, stacca pure sul funerale ma non me lo presentare come la sfilata di hobbit al capezzale di Frodo, e assolutamente non metterci i fantasmi perché non ce n’è proprio bisogno ed è una scelta ridicola rispetto a tutto il resto del film.
Cosi’ come e’ stato fatto, sicuramente piace. La scelta dei fantasmi e’ certo in contrasto con il resto del film solo dal punto di vista tecnico, perche’ se vogliamo la loro presenza e’ costante, col senno di poi. Io avrei finito sull’album di fotografie, sfogliato da mani anonime (in realta’ quelle della biondina) che alla prima pagina vuota attaccano una foto di Jhon May. E si’, lo so, dovevo fare lo sceneggiatore…
Ci sono certe pellicole che danno la sensazione di non essere state concepite meccanicamente come un comune prodotto cinematografico, bensì di rappresentare il tentativo di risolvere la fondamentale e urgente necessità di qualcuno. Ciò che in Still Life riesce a commuovere non sembra a conti fatti riconducibile a qualche elemento particolarmente curato o indovinato, bensì a qualcosa che abbia a che fare con l’assoluta umanità del protagonista, John May. Un’umanità da non intendersi come una delle più comuni forme quali l’altruismo, la filantropia o la compassione, ma come l’essere pienamente e compiutamente Uomo, con la capacità altresì di riversare spontaneamente questo bagaglio di rarissimo e inestimabile valore verso il prossimo – qualunque esso sia, non solamente durante lo svolgimento del suo particolare mestiere, ma anche nei più piccoli e apparentemente irrilevanti risvolti della vita di tutti i giorni. Perché John May non ‘fa’ la brava persona, non recita una parte – per quanto nobile possa essere l’ipotetico copione che la vita gli ha consegnato tra le mani: John May è veramente e interamente, una persona speciale, e con il suo passare del tutto inosservato – totalmente controcorrente rispetto ai canoni del cosiddetto ‘uomo moderno’ – porta a conferire alle sue gesta un riflesso ai limiti del soprannaturale. Quale possa essere il suo segreto, il motore delle sue azioni e perché con il suo umile agire riesca a provocare un così intenso coinvolgimento in chi lo osserva, ha certamente a che fare con le risposte che ciascuno si è dato, si sta dando o si darà sul senso della propria esistenza. Già, perché a conti fatti pare proprio che le risposte che John May si è dato, se non proprio quelle giuste, siano molto prossime al centro del bersaglio, perché John May, nonostante tutto, è ancora capace di tenere stretta a sé la Speranza, di rimanervi caparbiamente ancorato anche se tutto ciò che lo circonda gli manifesta una serie continua di rese senza condizioni, annichilimento e oblio; malgrado ciò, lui continua ad alimentarla giorno dopo giorno, quasi fosse una creatura da mantenere in vita e in forze, accostando uno all’altro una serie di tasselli di crescente splendore, col fermo proposito di contemplare alla fine il più prodigioso dei quadri. Un tassello accanto all’altro, come lo scorrere dei giorni, come le fotografie delle persone che non sono più, quelle che lui, da solo, ha voluto accompagnare nell’ultimo dei viaggi.
P.S.: i ‘fantasmi’ popolano i film horror: le figure che portano il loro riconoscente saluto a John May, sono le anime dei defunti; sembra una precisazione inutile, ma per me non lo è