Stai leggendo:

"Shame" di Steve McQueen

12 gennaio 2012 Recensioni 12 Commenti
Shame

Bim, 13 Gennaio 2012 – Sommerso

Brandon vive a New York ed è schiavo del sesso. Dalla mattina alla sera, non può fare a meno di cercare sesso in ogni occasione, sia virtuale che reale. L’arrivo inaspettato in città della sorella, che decide di farsi ospitare nel suo appartamento, gli sconvolge la vita e lo manda in crisi…


Michael Fassbender in ShameAtteso alla seconda prova dopo il fulminante esordio nel 2008 con Hunger, il videoartista Steve McQueen si è affidato alla sceneggiatrice Abi Morgan (quest’anno impegnatissima tra cinema e Tv) per cementare la transizione esplorativa verso un cinema più consuetamente narrativo. La storia è quella semplice e atroce del newyorchese Brandon, drone di successo e schiavo del sesso: lo possiede una compulsione insopprimibile, a stento mascherata tra le pieghe della vita quotidiana, che finisce per cannibalizzare ogni lato della sua esistenza. Ufficio di giorno, locali di sera, cortesie per le vecchiette e tonnellate di materiale pornografico sono la sua routine. Finché la giovane sorella, la quale sembra aver proiettato verso l’esterno l’elaborazione di quel conflitto che Brandon continua a scaricare all’interno, non arriva a scardinare un’impalcatura tanto disciplinata quanto disperata.

Carey Mulligan e Michael Fassbender in ShameCon il medesimo rigore del suo protagonista, McQueen rinuncia all’eccesso visivo e si aggrappa ai personaggi alternando meticolosi studi del volto a intricati pedinamenti alle spalle; compito non sempre facile, visto che l’architettura di Shame è gelida e piena di ostacoli (dal labirintico e minuscolo appartamento di Brandon fino all’impersonale trasparenza delle superfici) e New York diventa un fondale di congiunzione («Avevo dimenticato quanto fosse bella la città»). La severità un po’ immobile della messinscena viene talvolta trascurata in corrispondenza del raggiungimento dei punti di rottura da parte di Brandon, e in queste occasioni la mano di McQueen sa come rendersi memorabile: un carrello dolce che accompagna una corsa notturna di sfogo tra le vie di Manhattan, lo spettacolare fallimento empatico e comunicativo di un appuntamento romantico, un trip di devastazione sessuale concluso sulla maschera trasfigurata di Fassbender.

Michael Fassbender in ShameStili diversi (morbido, fisso, sincopato) ma uguale funzione di punteggiatura su un testo filmico sempre dipendente dal corpo dominante del suo protagonista. Il Brandon di Fassbender è uno Jung cronenberghiano che ha finalmente abbracciato in pieno la sua nevrosi, lasciandosi alle spalle il tentativo di farla affiorare; la ricerca di verità viene virata in perversione alla American Psycho, nonostante la sua coazione a ripetere sia meno dannosa per il prossimo rispetto a quella di Bateman. Il “dangerous method” scelto da Brandon è l’unica risposta che un uomo, in fondo buono, ha saputo darsi di fronte a una condizione le cui origini non vengono (per fortuna) indagate. «Deve pur esserci qualche altro cardine oltre al sesso a sorreggere l’universo» si chiedeva un altro Fassbender all’inizio di un altro secolo. Ironie da Festival.


La locandina originale di ShameTitolo: Shame
Regia: Steve McQueen
Sceneggiatura: Abi Morgan, Steve McQueen
Fotografia: Sean Bobbitt
Interpreti: Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie, Hannah Ware, Amy Hargreaves, Elizabeth Masucci, Lucy Walters, Anna Rose Hopkins, Jake Richard Siciliano, Robert Montano, Alexandra Vino
Nazionalità: Regno Unito, 2011
Durata: 1h. 39′


Percorsi Tematici

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Attualmente ci sono 12 commenti a questo articolo:

  1. Michele ha detto:

    Non sono d’accordo con la recensione. Io l’ho trovato piatto e con pochi spunti interessanti. Tecnicamente troppo modaiolo a parer mio (mi ha ricordato “Somewhere” della Coppola). Regia che cerca di dire tanto ma in realtà non dice nulla, un problema troppo ricorrente di questi tempi. Prendendo spunto qua e la, cercando di mettere in scena uno stile originale (a tutti i costi) finisce per scadere a tratti in una brutta (ma forse dire brutta è anche un complimento) copia della Maniacale cura al dettaglio di Visconti, della posata e riflessiva mano di Bergman, e della Capacità dI trasporto di Antonioni (Così tanto per citarne qualcuno). Se poi vogliam parlare del soggetto (mi rifaccio a quei “pochi spunti interessanti” dell’inizio) trovo sia il tratto più interessante, anche se lo ritengo mal sviluppato. Salvo Fassbender, ma niente di più e niente di meno. Gestire un personaggio del genere la cui natura è così controversa, devo ammetterlo, non era compito facile, questo non giustifica però il lavoro fatto da McQueen che forse pretende un po’ troppo da se stesso. Decidere di “mostrare” con estremo realismo per far riflettere lo spettatore è un compito non da poco, soprattutto se si vuol far in modo che questa cosa non scada e mantenga una potenza visiva costante. “Shame” viene a mancare sotto questo punto di vista: cade dove vorrebe volare in alto, diventa risibile dove vorrebbe far pensare. Intendiamoci, non che io sia contro il Realismo nudo e crudo,anzi! Basti sapere che uno dei registi che preferisco in assoluto è Shane Meadows…Il problema è come si cerca di gestirlo. Esempio banalissimo che mi viene in mente proprio ora; La sequenza iniziale di “Full Metal Jacket” Pretende di volare in alto per far riflettere chi guarda, spingendo sull’acceleratore del realismo, e ci riesce, “Shame” no. D’altronde se l’intera sala scoppia a ridere su scene deve dovrebbe fare tutt’altro un motivo ci sarà.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Mah… Sul resto non discuto, ma non capisco proprio dove sarebbero le somiglianze tra lo stile di McQueen e quello della Coppola… Vero che entrambi amano i piani sequenza, ma c’è una differenza abissale tra il modo in cui li usa McQueen e quello in cui ne abusa la Coppola. Sarebbe come dire che Mozart e gli 883 usano le stesse note…

    Comunque sono curioso: qual è la scena in cui siete scoppiati tutti a ridere?

  3. Michele ha detto:

    Un piano sequenza è un tipo di inquadratura. Che sia un fatta da Mcqueen o dalla Coppola sempre tale rimane. Un Nota in maggiore è tale sia per Mozart che per gli 883. Ovviamente quel che conta è come esprimiamo quella nota. Io non ho visto così tante differenze tra le note di Mcqueen e quelle della Coppola. Come stile della messa in scena, come longevità dell’inquadratura, come numero di stacchi nelle sequenze, come cadenza e scelta dei tempi. L’inzio del film è esplicativo a tale proposito, stesso “Modus Operandi”. La sensazione che ho provato guardando “shame” è la stessa che provai dopo aver assistito a quella tragedia filmica che è “Somewhere”. Un film che con il suo stile scopiazzato tenta di essere originale, finendo per essere il trionfo della banalità.Per risponderti, i Piani sequenza di Mcqueen mi ricordano quelli della Coppola proprio per la loro forzatura ai fini del prodotto finito, così come i primissimi piani interminabili (Vedi la sequenza di “New York New York”) mi appaiono come tappabuchi per un film che in quel momento non sa più cosa dire. Ovviamente è un parere personale.

    Grasse e pure grosse risate ci sono state nella scena del trip di devastazione sessuale, (come dice la recensione) giusto per citare una scena a caso. E ti assicuro che in sala non erano presenti adolescenti esagitati dalla risata facile.

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Boh, io vedo una maturità registica ben diversa, nei piani sequenza di McQueen rispetto a quelli della Coppola (ancor più evidente nel primo film, “Hunger”, a dir la verità), ma come dici sono opinioni. Non è che davanti a un quadro abbiamo tutti la stessa reazione…

  5. Michele ha detto:

    Certo, ci mancherebbe!

  6. Tommaso Tocci ha detto:

    Capisco tutti i punti (a tanti non è piaciuto), ma mi sembra un po’ eccessivo sostenere che la scena della canzone sia un tappabuchi per sfangare quei cinque minuti e domani magari ci viene in mente qualcos’altro per allungare il brodo. Forse non ti sei fermato a riflettere sul testo della canzone, su quale senso possa avere in relazione alla storia dei due fratelli, su cosa ci dice di Brandon.

  7. Michele ha detto:

    Ma è proprio questo il punto, il film ci dice già abbastanza su Brandon e lo fa troppo spesso. Il rapporto con la sorella era chiaro e già ben sondato anche senza quella sequenza che a parer mio allunga solo il brodo (una sorta di ripetizione).. Non so, poi magari son troppo maligno. Ma quelli di Mcqueen mi sembrano tutti espedienti per pavoneggiarsi e cercare come già avevo scritto di “volare in alto”.

  8. Riccardo ha detto:

    Certo che da quando ha fatto 300 Michael Fassbender non si è più fermato!!!

  9. Gaothaire ha detto:

    Visto oggi. Potentissimo, porca puttana.

  10. Alberto Cassani ha detto:

    Guarda anche “Hunger”, già che ci sei, che è ancora peggio.

  11. Andrea ha detto:

    Film che per certe sensazioni trasmesse (ansia e angoscia) mi ha ricordato la prima parte di Melancholia di Von Trier. Da vedere.

  12. Marco ha detto:

    La regia sa il fatto suo, anche se per i mie gusti impiega troppo tempo per i primi piani e alcune volte è troppo lenta e piatta.
    Lo script deve piacere, ovviamente non bisogna fermarsi solo a quello che si vede ma bisogna andare oltre, cercare di capira cosa e perchè c’è quella scena altrimenti sembrerà tutta una cazzata.
    Bravissimo Fassbender e la Mulligan.
    Bella anche la musica.

Scrivi un commento

Devi essere autenticato per inserire un commento.