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Black Tape di Fariborz Kamkari

7 settembre 2002 Recensioni 2 Commenti
Black tape

Inedito in Italia – Coraggioso

Per il suo diciottesimo compleanno, una ragazza iraniana riceve in regalo una videocamera. Attraverso le immagini rubate dalla videocamera, condividiamo le sue gioie e i suoi dolori. Dai soprusi subiti dai genitori alla crisi matrimoniale, al momento in cui il marito capisce che lavoro fa davvero il suocero…


Shilan Rahmani in Ravaryete makdush - Black TapeAlla proiezione ufficiale al Festival di Venezia 2002, dove Black Tape fu presentato col titolo di Navare Khali, i primi spettatori hanno iniziato a lasciare la sala appena 5 minuti dopo l’inizio del film, e la diaspora è proseguita lungo tutti gli 83 minuti di durata. Perché? Probabilmente perché, trattandosi di una produzione iraniana, il pubblico si aspettava un film più o meno simile a quelli che abbiamo visto negli ultimi anni arrivare da quel paese. Invece si è trovato davanti una pellicola ben diversa dai canoni del cinema mediorientale a noi noti, una pellicola realizzata da un regista che – per una volta – dimostra di avere delle idee cinematografiche a tutto tondo.

Una scena di Ravaryete makdush - Black TapeCertamente influenzato dalla cinematografia occidentale, statunitense in particolare, Fariborz Kamkari mette in scena un film efficace ma a tratti pretenzioso, largamente imperfetto dal punto di vista tecnico ma spesso notevole nell’uso del montaggio, e dalla messinscena tutt’altro che semplice.

La presentazione dei personaggi di Black Tape avviene per gradi – o meglio: per scosse improvvise – e la trama si sviluppa in maniera tutto sommato non prevedibile. Qualche momento – qualche scena – sembra un po’ fuori luogo, un po’ fuori strada, e quando nel film si inserisce l’aspetto socio-politico che sembra non poter mancare in nessun film prodotto ad Est dell’Eufrate si ha l’impressione di aver improvvisamente cambiato sala e film.

Shilan Rahmani in Ravaryete makdush - Black TapeIl pretesto del finto film-documento, già ampiamente sfruttato dal cinema a noi più vicino, crea sempre notevoli problemi di realizzazione, perché spesso non è giustificato il posizionamento della telecamera, o non lo è addirittura la sua presenza e il suo essere accesa. Nonostante queste incongruenza, però, alcune sequenze sono davvero ottime, come l’inizio con la “storia” della vecchia telecamera che cambia di proprietario e – più avanti – il salvataggio del fratellino della protagonista.

È chiaro che, discostandosi in questo modo dal codice cinematografico tipico del suo paese, Kamkari abbia corso il rischio di venir rifiutato dal proprio pubblico e di essere etichettato come “manierista ruffiano” da quello dei Festival occidentali, un pubblico pronto a sbavare davanti a polpettoni detti e ridetti – purché provenienti da un paese che ritiene moralmente e culturalmente inferiore al nostro – ma assolutamente incapace di apertura mentale nei confronti di chi il linguaggio cinematografico cerca di sfruttarlo nella sua interezza, com’è giusto che un regista giovane provi a fare.


Il logo della Mostra del Cinema di Venezia 2002Titolo: Ravaryete makdush – Black Tape: A Tehran Diary, the Videotape Fariborz Kamkari Found in the Garbage
Regia: Fariborz Kamkari
Sceneggiatura: Fariborz Kamkari
Fotografia: Toraj Aslani
Interpreti: Shilan Rahmani, Gholam Reza, Moasesi Farzin, Sabouni Shokhan
Nazionalità: Iran, 2002
Durata: 1h. 23′


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. Mirko ha detto:

    Premesso che io il film non l’ho visto e quindi non lo sto difendendo in alcun modo, ma perché il Pubblico (e uso la maiuscola per definirlo in generale) sa essere così conservatore? Non vorrei sembrare retorico, ma ci si lamenta sempre perché i cineasti non hanno abbastanza coraggio e non osano e poi siamo i primi (sempre in generale eh!) a non essere di larghe vedute. Perché dal cinema cinese ci si aspetta sempre un film di denuncia attraverso una storia di costume e non magari un film fantascientifico? Perché dal mediooriente dovrebbero arrivare semper e soltanto film sui conflitti o magari le condizioni femminili? C’è un abuso di luoghi comuni incredibile… capisco le correnti culturali, i filoni cinematografici, però cavolo! Scusate lo sfogo… detto ciò proverò a rimediare quest’opera, perché le riprese in stile di finto-documento mi piacciono, anche se il film sembra ancora inedito in Italia… sigh!

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Prima una precisazione: io ho visto il film al festival di Venezia, quindi di sicuro il pubblico in sala non era il Pubblico. Non ricordo se fosse una proiezione riservata alla stampa (non credo) o aperta anche agli studenti universitari e al pubblico pagante, ma di sicuro non era una proiezione per il pubblico vero e proprio.
    Detto questo, immagino (e spero) che un minimo di apertura mentale in realtà ci fosse, ma che abbia infastidito lo stile scelto, che evidentemente è sembrato troppo paraculo. Nel senso (spero) che andava bene un film iraniano lontano dai canoni stilistici classici di quel cinema, ma non così occidentalizzato. E sì che invece il successo nel nostro paese dei film di Park Chan-wook è dovuto proprio al suo stile registico fortemente occidentalizzato…

    Comunque Kamkari vive a Roma (questo è il suo ultimo film: http://www.cinefile.biz/?p=22386). Questo film è effettivamente inedito da noi ma se cerchi su internet trovi i recapiti della sua casa di produzione e secondo me potrebbe darti indicazioni su dove trovare la versione in DVD. Ricordo di aver visto un paio d’anni fa un sito in cui lo vendevano.

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