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Il divo di Paolo Sorrentino

2 giugno 2008 Recensioni 3 Commenti
Il divo

Lucky Red, 28 Maggio 2008 – Pungente

Nel 1991 Giulio Andreotti sta per formare il suo settimo Governo, che però durerà poco più di un anno e dopo il quale cercherà di ottenere la Presidenza della Repubblica. Nonostante la sua prestigiosa carriera, Andreotti vedrà sfumare questo suo sogno, e dovrà anzi rispondere delle accuse di associazione mafiosa…


Toni Servillo in Il divoPaolo Sorrentino è piuttosto diretto nell’esporre con Il divo quella che è la sua tesi circa la figura di Giulio Andreotti, tesi colpevolista che non emerge – per quanto lo faccia in maniera esplicita solo in questa sequenza – soltanto attraverso il monologo – naturalmente d’invezione – di Andreotti verso la parte finale, monologo nel quale confessa tutte le sue responsabilità delle azioni che gli vengono imputate in nome di una contraddizione secondo la quale per garantire la sopravvivenza del bene è necessario scegliere di fare il male.

Paolo Graziosi in Il divoLe scene iniziali di Il divo sono un nutrito elenco delle sanguinarie uccisioni delle quali Andreotti sarà poi accusato, da quella di Carlo Alberto Dalla Chiesa a quella del giornalista Mino Pecorelli: sono scene che vengono montate in raccordo con quelle nelle quali Andreotti viene mostrato, e in un certo qual modo presentato, nella dimensione domestica del suo appartamento privato, mentre la notte è intento a curarsi le frequenti emicranie e mentre sottolinea con orgoglio la sua longevità a discapito di una morte precoce che gli era stata diagnosticata in gioventù. Tuttavia, c’è un’emicrania più forte di altre, come dirà lo stesso Onorevole: l’ossessione di Aldo Moro, figura sulla quale il film torna spesso non attraverso dialoghi ma attraverso immagini, che sono molto più efficaci di qualsiasi accusa verbale.
Anna Bonaiuto in Il divoLa tesi accusatoria è tanto più chiara nei raccordi che compaiono successivamente, ossia quelli che contrappongono l’uccisione dell’Onorevole della Democrazia Cristiana Salvo Lima ad Andreotti che assiste a una gara ippica, sequenza nella quale è chiaro come l’incitazione di Andreotti non sia rivolta al cavallo sul quale puntare, ma all’assassino di Lima da spronare.Infine, anche il trattamento poco riconoscente riservato alla fedele segretaria Vincenza Enea, licenziata nemmeno di persona dallo stesso Andreotti, non getta una luce positiva sul suo operato in tal caso umano, per quanto ci sia un accenno alla carità fatta ai poveri durante la domenica. Tutto ciò dimostra come Sorrentino abbia realizzato, anche sceneggiandolo, un film sorretto da una evidente tesi colpevolista, esplicitata anche nel monologo pronunciato da un giornalista che enumera coraggiosamente all’Onorevole stesso tutti i misfatti del quale si sospetta sia il responsabile.

Toni Servillo in Il divoFilm come Il divo solitamente risultano suggestivi nei confronti dello spettatore il quale, a meno che abbia precise convinzioni personali o ci siano valide documentazioni che smontino la tesi proposta, è inevitabile che ne resti appunto suggestionato. Lo spettatore che si accosta a film controversi, ma anche coraggiosi, come Il divo dovrebbe mantenere la giusta distanza critica per crearsi una sua opinione nella massima oggettività, tenendo presente che i fatti narrati potrebbero verosimilmente corrispondere alla realtà – o almeno, fanno nascere qualche dubbio e riflessione – come potrebbero invece forzarla. Tuttavia, al di là delle legittime interpretazioni personali alle quali il film si presta, è innegabile che lo stile col quale è stato realizzato sia al di sopra della norma: ci sono movimenti di macchina che raramente si vedono nel cinema italiano; c’è una grande capacità di tradurre la realtà in immagini attraverso soluzioni originali; c’è la felice intuizione di ricorrere alle didascalie per spiegare fatti e personaggi, contribuendo in tal modo a rendere maggiormente efficace la resa del film stesso.

Toni Servillo in una scena di Il divoSe il ritmo è purtroppo dato essenzialmente dalle scene delle stragi, la monotonia è comunque spezzata da inquadrature studiate e insolite e dall’altrettanto insolita scelta delle musiche che accompagnano spesso la narrazione, per esempio le passeggiate notturne di Andreotti – sulle quali Sorrentino ritorna spesso – sotto la vigile scorta. Le scelte stilistiche assicurano l’assenza della monotonia quasi scontata invece per un film che si propone di trattare una tematica politica e di ricostruirne gli eventi. Se ciò avviene, è anche grazie all’ulteriore scelta di indagare i luoghi istituzionali, il loro cuore e il loro funzionamento, sempre attraverso la macchina da presa che mostra allo spettatore scenari solitamente a lui preclusi.
Una scena di Il divoCiò risulta interessante anche se la maggior parte del film si svolge nell’interno dell’appartamento privato di Andreotti, sontuoso e perennemente al buio anche quando fuori si staglia la luce del sole. Ma è in questa dimensione che Andreotti vive, riflette, ricorda e “confessa”; è in questa dimensione che libera le sue ansie mentre attende di sapere se sarà rinviato a giudizio o se, come per le altre 26 precedenti volte, tutto sarà lasciato cadere nel nulla. È sempre in questa dimensione che riceve gli ambigui componenti della cosiddetta “Corrente della D.C.” ed è sempre in questa dimensione che trova conforto nella moglie Livia, legittimamente dubbiosa ma ferma nel credere che «Non si può trascorrere tutta la vita con un uomo senza rendersi conto di chi è veramente».

Infine, per quanto l’intero cast abbia dato un’ottima prova di recitazione, rimane difficile immaginare un altro protagonista al posto di Toni Servillo, che nei panni di Andreotti ha dato una straordinaria prova di attore, calandosi totalmente nel personaggio sia nel sua fisicità pressoché immobile, sia nell’ironia che pur sferzante resta contenuta in un atteggiamento quasi trattenuto, comunque mai mutevole.


La locandina di Il divoTitolo: Il divo
Regia: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Luca Bigazzi
Interpreti: Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Alberto Cracco, Piera Degli Esposti, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Giovanni Vettorazzo
Nazionalità: Italia, 2008
Durata: 1h. 50′


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Attualmente ci sono 3 commenti a questo articolo:

  1. Marci ha detto:

    Al di la di qualunque pensiero politico, ho davvero apprezzato questo film dal punto di vista stilistico.
    E’ uno di quei film che mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo nei confronti del cinema italiano.

  2. Fabrizio ha detto:

    Sono d’accordo, si nota proprio – a prescindere ogni possibile difetto – la differenza di spessore e qualità artistica fra un film come questo e il prodotto medio italiano. La differenza è netta e non stiamo parlando di un capolavoro. Quindi la cosa dovrebbe far riflettere. In America film di questo livello rappresentano il prodotto medio ma non eccelso. Da noi invece sono vere e proprie rivelazioni.

    Fra l’altro nomination all’Oscar per il trucco, che arriva forse un pò inaspettatamente ma senz’altro meritata.

  3. Tiziana ha detto:

    Assolutamente sì: è lo stile che fa la differenza.

    Rapportato al cinema italiano generale, la qualità e il valore aumentano e davvero sarebbe auspicabile che non restasse un episodio isolato o che fosse, almeno, un esempio dal quale prendere spunto in modo creativo.

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