Joker di Todd Phillips
Warner, 3 Ottobre 2019 – Timido
Un uomo con problemi mentali ha un lavoro come clown e vive in casa con la madre. Tormentato dalla vita, dalla situazione familiare e dalla propria incapacità di stabilire relazioni con altre persone, si isola sempre di più, trasformandosi lentamente in un assassino…
Lasciate indietro le commedie sfrenate e un po’ assurde di Starsky & Hutch e della serie Una notte da leoni, Todd Phillips produce, sceneggia (con altri) e dirige la storia delle origini di Joker, famosissimo nemico di Batman che già valse un ruolo iconico a Jack Nicholson (con Tim Burton) e un Oscar a Heath Ledger (con Christopher Nolan).
In realtà, guardando questo Joker si vedono due film: uno di Todd Phillips e uno di Joaquin Phoenix. Todd Phillips, da regista, dirige una pellicola timida, con il freno a mano tirato, sempre intenta a spiegare, mostrare e infierire sul suo personaggio. Vediamo Arthur Fleck picchiato e derubato da una banda di ragazzini, e poi ancora da tre broker, lo vediamo alle prese con le bugie della madre e in generale colpito in ogni modo dalla vita. Il film, però, non decolla mai, continuando ad arrancare e a mostrarci la prostrazione fisica e soprattutto psicologica del personaggio principale. Anche quando, finalmente, Arthur si trasforma in Joker, Phillips non ha mai un colpo d’ala, un guizzo: la sua regia rimane piatta e anonima, risollevandosi parzialmente solo sul finale, quando finalmente riesce a emozionare.
Ma c’è, si diceva, un secondo film: quello di Joaquin Phoenix. L’attore protagonista si prende ogni spazio disponibile, invadendo ogni scena con la sua personalità magnetica e offrendo un’interpretazione magistrale, candidandosi così prepotentemente per la prossima notte degli Oscar. Se Joker ha un senso, questo risiede in Joaquin Phoenix, che lascia più volte lo spettatore senza fiato e che di fatto monopolizza la pellicola rendendola quasi un one-man-show di altissimo livello. Non si può che rimanere a bocca aperta di fronte a tanta bravura, e se ci devono essere degli applausi non possono che andare a Phoenix, anche perché gli altri attori sono poco più di comparse.
Nel complesso, Joker è un film trascurabile, che vuole dare un aspetto autoriale a un cinefumetto, riuscendoci solo in parte. Si ha l’impressione che Phillips, noto per le sue commedie sfrenate, abbia voluto fare l’esatto opposto, esagerando appositamente in lentezza e riflessività e girando in ambienti sempre cupi, umidi e malsani per distaccarsi il più possibile dall’immagine dei film precedenti. In questo modo, però, ha mancato di dare una personalità al film. D’altro canto, Joker diventa un film interessante grazie al corpo, al volto e alla voce di Joaquin Phoenix, che davvero trasmette tutta la disperazione del personaggio e, nel finale, ne libera il potenziale.
Titolo: Joker (Id.)
Regia: Todd Phillips
Sceneggiatura: Todd Phillips, Scott Silver
Fotografia: Lawrence Sher
Interpreti: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Marc Maron, Zazie Beetz, Shea Whigham, Frances Conroy, Brett Cullen, Douglas Hodge, Glenn Fleshler, Bill Camp, Josh Pais, Dante Pereira-Olson
Nazionalità: USA, 2019
Durata: 2h. 02′
Un film disturbante, profondo, snervante nella sua tensione inarrestabile, pieno zeppo di riferimenti perfino, e non a caso, anche a Lovecraft. Liberiamo la follia che c’è in noi e tutto sarà morte e distruzione, perché altrimenti nessuno si accorge veramente di noi. Alcuni non sono d’accordo ma per me assomiglia parecchio anche a L’Uomo Che Ride. I cinecomics sembrano aver buttato via l’ispirazione data dai film espressionisti; e se vogliamo azzardare un’osservazione più “audace”, il misto di patetismo, fascinazione e ribrezzo che si prova assistendo alla parabola di Arthur ha pari forza a quello che si percepisce guardando Arancia meccanica.
Sicuramente Arancia meccanica è il film a cui è più ovvio paragonarlo, per quanto riguarda il rapporto tra spettatore e protagonista. E infatti non capisco le violente polemiche che si sono mosse al film negli Stati Uniti, come se film di questo genere non ce ne siano mai stati.
Ciao Alberto
Non ho letto nulla ma, dopo aver visto il film, credo che le polemiche derivino dal fatto che questa sia stata percepita come un’opera particolarmente “vicina” al pubblico e che, con quel finale crudo, non sembra prendere posizione contro quel tipo di reazione al “potere”. Può essere forse visto come una specie di Taxi Driver dei giorni nostri (peraltro mi è parso di scorgere più di un riferimento/omaggio/citazione del film di Scorsese).
Per quanto riguarda il giudizio su Joker, appoggio la recensione. La prima parte è piuttosto ordinaria e senza molte idee anche visive, però l’ultimo atto, il lungo epilogo, è davvero molto efficace e potente e conferisce valore al film.
Il tuo giudizio, Alberto?
Credo che il riferimento a Taxi driver sia abbastanza chiaro -si è parlato anche molto di Re per una notte- direi che in generale, Scorsese è l’autore più vicino a questo film. Di certo in un momento in cui le sparatorie negli USA sono (quasi) all’ordine del giorno si è avuto paura di un forte effetto emulazione e la scena in cui Joker spara a De Niro è decisamente forte, anche se ripresa da lontano e non particolarmente splatter.
Come notava giustamente Fabrizio è facile empatizzare con il protagonista vessato dalla vita e anche quando si mette a sparare e ammazzare gente non viene mai visto come un personaggio completamente negativo. Un po’ come Alex De Large, certo, ma quelli erano gli anni ’70 e i Drughi non andavano in giro con le pistole.
Per me, un capolavoro. Una perfetta narrazione di come il mostro possa essere concepito, alimentato e finalmente fatto diventare adulto e – alla fine – manifestarsi nella sua deformità come una delle creature di Lovecraft, o uno dei fiori malati di Baudelaire. Una follia concimata da una solitudine pressoché assoluta, sorda, sporca e definitiva, esasperata dalla congenita incapacità di accostarsi a qualunque illusorio indizio di speranza – men che meno di redenzione – che gli istanti di un’esistenza ai margini, come quella di Arthur, è stata capace di offrire. Come direbbe A. Tennison: ‘Io sono una parte di tutto quello che ho incontrato’. La peggiore.
Errata corrige: Tennyson
Ciao a tutti,
visto ieri sera… come aggettivato da Riccardo, e’ un film disturbarte, in senso “positivo” che mostra quanto il male nella sua piu’ pura declinazione possa integrarsi in un quotidiano per esplodere in un attimo nella sua accezione piu’ cruenta.
La bellezza e’ che in questa crudelta’, c’e’ l’innocenza dietro una personalita’ disturbata quindi “clinicamente da curare” e incosapevole poiche’ malata…
Bella l’intepretazione ed epica la battuta sul minigolf eheh
Mentre per Rocky salire 72 gradini di pietra di fronte all’entrata del Philadelphia Museum of Art, significava raggiungere con impegno e sacrificio la vittoria, i gradini di Shakespeare Avenue ribattezzati ormai “Joker Stairs” rappresentano l’esatto opposto, la degradazione, la sconfitta (purtroppo anche per reali fatti di cronaca), la discesa dei gradini da parte di Arthur(Joaquin Phoenix) rappresenta invece la discesa negli inferi e il trionfo del male.
Film che se visto superficialmente può dare l’impressione di essere brutale in modo gratuito, se guardato con attenzione fa riflettere anche su problemi socio-politici tutto’ora persistenti.
Magistrale l’interpretazione di Joaquin Phoenix nei panni di un inedito Joker, per la sua prova sento aria di Oscar!
Al di là della magistrale prova di Phoenix, a cui forse il progetto stava particolarmente a cuore, non m’è parso un grande film; più che scomodare Scorsese o Kubrick andrei a cercare un paragone con il Schumacheriano “un giorno di ordinaria follia”, ovviamente non per la specificità filmica ma per la ricerca di empatia con il pubblico mediante l’agognata nemesi del protagonista vessato dai più e da più fronti, fisici ma soprattutto morali.
Proprio l’aspetto inerente la critica verso una società oramai insensibile, anzi sempre pronta a godere nelle altrui disgrazie, mi è sembrato l’aspetto più interessante. Fortunatamente gli autori già nell’incipit hanno declinato le “particolarità” che hanno portato Arthur Fleck a divenire Joker, ovvero una grande sensibilità unita a “qualche rotella fuori posto” perché altrimenti alzi la mano chi, a seguito delle vessazioni subite in cuor suo nel corso della vita, non imbraccerebbe oltre alla rossa tinta labiale un bel fucile a pompa…
Nel complesso comunque, per i miei gusti un film godibile (forse godibilissimo considerando il desolante panorama filmico degli ultimi tempi) a cui però non si è sottratta una generale impressione di deja vu unita alla sensazione di assistere a qualcosa di fondamentalmente incompiuto.
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Rivisto anche sul piccolo schermo, non perde nulla, ma rimane quello che mi è sembrato la prima volta, al cinema: perfetto. Arthur Fleck persegue istintivamente una qualche forma di armonia, di equilibrio e cerca con le poche residue forze – quotidianamente sfiancate e insediate da una malvagità che lo perseguita – di perforare la placenta di orrore alla quale già da bambino è stato costretto: là dentro viene alimentato e cresciuto a forza di veleni e tossine di tutti i generi, e tutto ciò che riesce ad esprimere, una volta venuto alla luce, sono contorsioni, spasmi, sangue e morte. Nessun unguento per le sue ferite, ma solamente acidi, come i colori stesi sul suo viso con una mano tremante da quel piccolo, sudicio pennello.