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Soundtrack: Aladdin di Aa.Vv.

1 luglio 2019 Soundtrack 0 Commenti
Aladdin

Beatrice Bassi, in collaborazione con Colonne Sonore* * * * ½

L’Aladdin diretto da Guy Ritchie rischiava di essere un vero flop, sia dal punto di vista artistico sia da quello commerciale, perché aveva la responsabilità di riportare sul grande schermo una storia molto amata. Invece, il ritorno di Alan Menken sulle musiche che aveva creato nel 1992 riaccende la magia…


L’Aladdin diretto da Guy Ritchie rischiava di essere un vero flop, semplicemente perché aveva la responsabilità, non indifferente, di riportare sul grande schermo una storia cui molti erano particolarmente affezionati. Il racconto infatti, ispirato a una fiaba de “Le mille e una notte” dal titolo “Aladino e la lampada meravigliosa”, era stata oggetto dell’acclamatissimo Aladdin prodotto dalla Disney nel 1992. Non sarebbe stato certo un gioco da ragazzi far prendere vita a un mondo così colorato, ricco di magia, coreografie, effetti speciali e personaggi spumeggianti. In Aladdin, infatti, non ne esistono di piatti, noiosi, privi di carattere o stereotipati: ognuno ha una sfumatura inaspettata, che fa in modo di rendere i protagonisti della storia unici e ben caratterizzati.
Lo stesso vale per la musica, che nel film d’animazione era curata da Alan Menken, compositore che mise il suo genio a disposizione anche de La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Pocahontas, Hercules, Il gobbo di Notre Dame e molti altri classici Disney. I testi, invece, erano firmati Howard Ashman e Tim Rice: collaborazione che valse un Oscar e un Golden Globe a Menken per la migliore colonna sonora originale e un Grammy Award a Tim Rice per il brano “A Whole New World”. In questo adattamento cinematografico, Menken torna a creare la sua magia, questa volta avvalendosi dell’aiuto di Benj Pasek e Justin Paul, i parolieri di La La Land.

La musica, nel film del 1992, non fungeva da semplice accompagnamento sonoro ma anzi la faceva da padrona, animando le scene migliori e portando la magia a un altro livello, rendendo Aladdin non più un semplice cartone animato ma un vero e proprio musical. La sfida quindi era importante: sarebbe riuscito Guy Ritchie, il regista di Sherlock Holmes e King Arthur, a portare sul grande schermo un adattamento degno dell’originale? La mia risposta è assolutamente sì! Bisognerebbe scrivere molto riguardo alla regia e alla caratterizzazione dei personaggi, ma in questa sede ci si concentrerà, ovviamente, sulla musica.

I brani hanno subito delle variazioni, nonostante in linea di massima rispettino l’originale. Sono stati “modernizzati”, resi più vicini ai gusti di oggi: il regista stesso ha dichiarato di voler rendere il film, e di conseguenza anche le canzoni, contemporanei e, pur non avendo intenzione di «reinventare il genere», «creare un film fresco». La pellicola si apre, fedele all’originale, con il genio (Will Smith) che intona “Arabian Nights” (“Le notti d’oriente”, in italiano), introducendo lo spettatore al mondo di Agrabah e ai principali personaggi, tra cui Jafàr (Marwan Kenzar). Si tratta di un brano di una maggiore durata (3’13” contro 1’19” dell’originale) e complessità rispetto a quella del cartone. La melodia rimane pressoché invariata, ma il gusto orientaleggiante viene sottolineato dall’inserimento di molti strumenti caratteristici dell’oriente, come per esempio l’oud (della famiglia dei liuti) e le percussioni, che contribuiscono anche ad amplificare l’emozione e il coinvolgimento del pubblico. Il compositore ha dichiarato: «it’s a much bigger, much more ambitious number than it was» e sicuramente si sente: la sonorità è quella di un colossal hollywoodiano e questo anche grazie alla voce di Will Smith, molto piena e potente, a differenza di quella del mercante/genio originale, nasale e debole.

Il cambiamento si riflette anche sui testi, leggermente rivisti e corretti al fine di cancellare i tratti che avrebbero potuto offendere la cultura araba. Strategia ormai acclarata della Disney è, infatti, quella di essere, in questi adattamenti cinematografici, il più politically correct possibile. È evidente la volontà di liberarsi di stereotipi e possibili “insulti velati” a diverse culture e religioni che, invece, erano ingenuamente inseriti nelle versioni più datate. Il genio, difatti, intona questa canzone non più in sella a un cammello stracolmo di cianfrusaglie rotte da vendere a qualche malcapitato turista, bensì su una nave circondato dalla moglie e i due figli.
“One Jump Ahead” (“La mia vera storia”) è il brano che Aladdin, interpretato da Mena Massoud, canta mentre cerca di sfuggire alle guardie, compiendo acrobazie di ogni tipo per le strade di Agrabah. Pochi cambiamenti anche in questo pezzo ma molti invece nelle scene, sempre dovuti all’immagine migliorata di se che Disney vuole dare: il coro delle ragazze dell’harem viene sostituito con alcune scolarette che sono intente a seguire la lezione dell’insegnante, rigorosamente donna.

Veniamo a “Friend Like Me” (“Un amico come me”), storico brano del cartone, interpretato in inglese dal mitico Robin Williams e in italiano da un immenso Gigi Proietti. L’originale era semplicemente spettacolare, inarrivabile. Infatti, la versione 2019 non la eguaglia neanche lontanamente. Non ci sono le mille e una intonazioni che Williams, e soprattutto Proietti, mettevano in campo per questa canzone. Smith si limita a cantare bene e questo, forse, può essere considerato un aspetto positivo, in quanto può significare che l’attore neanche provi ad avvicinarsi alla versione tanto amata dal pubblico. Smith dona una sua personalissima interpretazione sia del genio sia della canzone, evitando così di scadere in una patetica imitazione. La scena delle danzatrici del ventre, poi, viene sostituita da quella del genio che intona «posso cantare, posso rappare, posso ballare se vuoi!». Questo genio restituisce sicuramente un sapore più moderno alla canzone ma non può che scontentare gli affezionatissimi.
“Prince Ali” (“Principe Alì”) è un altro cavallo di battaglia della pellicola, che accompagna la mastodontica e trionfale entrata di Aladdin, camuffato da principe, in città. Non era semplice emulare lo sfarzo, l’esagerata ostentazione di ricchezze che era rappresentata nel cartone, eppure il regista ci riesce in pieno. Menken riarrangia il brano per adattarlo al meglio alla personalità di Will Smith, secondo le direttive di Ritchie. Il suo desiderio era, infatti, quello di lasciare spazio al background hip-hop dell’attore, portando così una “fresh vibe” nella canzone. Una scena grandiosa, che ricorda addirittura Bollywood per sfarzo ed esplosione di colori, danze, animali e coreografie: semplicemente spettacolare!
Un altro classico del cartone è “A Whole New World” (“Il mondo è mio”) cantata da Aladdin e Jasmine (Naomi Scott) in sella al tappeto magico. Qui, purtroppo, l’interpretazione non regge il confronto con la versione del 1992, che si avvaleva del talento di Brad Kane ma soprattutto di Lea Salonga, storica voce della Disney, famosa per essere la Mulan di “Reflection”. Anche la regia non è delle migliori, per questo importante momento del film: non coinvolge, non rende appieno l’emozione dell’avventura, della scoperta di un vero nuovo mondo che Jasmine esplora grazie ad Aladdin o del rischio di scivolare da quel tappeto incantato. Insomma, un vero mini-flop.

Il nuovo brano – perché non presente nell’originale – “Speachless”, affidato a Jasmine, viene giustamente inserito per sottolineare la volontà di Disney di dare letteralmente voce e spazio alla figura femminile. Concetto ribadito anche dalle parole stesse della canzone: «I won’t be silenced, you can’t keep me quiet». Un brano che lascia completamente da parte i ritmi e le sonorità orientaleggianti per fare spazio a un vero e proprio inno della volontà di ferro della principessa di non essere messa in secondo piano. Un pezzo che esordisce con sonorità delicate, affidate al pianoforte, per poi esplodere e diventare a tutti gli effetti un brano pop, orchestrato magistralmente. Un pezzo davvero difficile da cantare ma che Naomi Scott interpreta in modo eccellente, riuscendo nell’intento di colpire il cuore dello spettatore. Come la stessa Scott ha dichiarato, “Speachless” è un vero e proprio «punch in the face». L’unica nota dolente è il modo in cui viene inserito questo brano all’interno dell’azione: quest’ultima viene infatti messa in pausa, come accade nei musical, lasciando cantare la protagonista al di fuori dello spazio e del tempo. Un vero peccato. Inoltre sono presenti, quasi invariati, i temi, imbevuti di sonorità arabe, di Menken, come “Marketplace” e “The Cave of Wonders”. Nulla da dire per quanto riguarda questi lavori, se non che sono caratterizzati da un’eccellente orchestrazione e che sono diventati ormai un’icona di questo grande classico, difficili da dimenticare.

Infine, la versione per i titoli di coda di “Un amico come me” (tradizione Disney) è in chiave rap, per lasciare libero Will Smith di esprimersi al meglio, con l’aiuto di DJ Khaled. Risulta però fuori luogo, senza nulla a che vedere con l’atmosfera e le sonorità che hanno accompagnato lo spettatore per due ore. Si distacca da queste in modo troppo netto e quasi traumatico dal resto della pellicola. Una nota stonata al film che, invece, riesce a stare al passo con l’originale. Senza però mai raggiungerlo.


La copertina del CDTitolo: Aladdin (Id.)

Compositore: Alan Menken, Howard Ashman, Tim Rice, Benji Pasek, Justin Paul

Etichetta: Walt Disney Records, 2019

Numero dei brani: 34 (22 di commento + 12 canzoni)
Durata: 76′ 46”


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