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Soundtrack: "Anna Karenina" di Dario Marianelli

9 dicembre 2013 Soundtrack 0 Commenti
Anna Karenina

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * *

Nelle sue numerose trasposizioni cinematografiche, praticamente una per ogni epoca culturale a partire dagli albori del sonoro, il romanzo di Tolstoj ha sollecitato i compositori delle più diverse scuole e ispirazioni. Del tutto indipendente da questi modelli, e alquanto anomalo, il modo con il quale si inserisce Dario Marianelli…


Nelle sue numerose trasposizioni cinematografiche, praticamente una per ogni epoca culturale a partire dagli albori del sonoro, il romanzo di Tolstoj ha sollecitato i compositori delle più diverse scuole e ispirazioni. Tralasciando svariati serial e film Tv, ricorderemo solo la fiammeggiante partitura di Herbert Stothart per la versione del ’35 con la Garbo, quella coltissima e molto “british” per il film del ’48 con Vivien Leigh, il sontuoso affresco sinfonico cesellato da un altro inglese, Patrick Gowers, per il tv-movie dell 1986 con Jacqueline Bisset, l’esercizio ancor più complesso e raffinato compiuto da Rodion Ščedrin, un protagonista della musica russa contemporanea, per la versione sovietica del ’67; e infine, forse l’operazione più affascinante, l’antologia ciaikovskiana curata personalmente e diretta dal gigantesco, tragico Sir Georg Solti per l’Anna Karenina del 1997 con Sophie Marceau. Personalmente ci piace aggiungere nel ricordo anche la bella e malinconica partitura scritta da Piero Piccioni per lo sceneggiato televisivo italiano del 1974 firmato da Sandro Bolchi e con protagonista Lea Massari.

Del tutto indipendente da questi modelli, e alquanto anomalo, il modo con il quale Dario Marianelli si inserisce in questa filmografia con il suo score, già nominato agli Oscar, confermando alcune predilezioni: innanzitutto il sodalizio con il regista Joe Wright, con il quale chiude qui, dopo Orgoglio e pregiudizio ed Espiazione, una ideale trilogia letteraria; poi una predisposizione naturale per il cinema in costume, peraltro affrontato senza la minima pomposità; infine, ancorché secondaria, una particolare sintonia con le vibrazioni interpretative (non sempre adeguatamente contenute) di Keira Knightley. Anche in questo caso il musicista pisano si tiene lontano da qualsiasi tentazione gigantistica o retorica, preferendo percorrere una via più sottile e ambivalente, psicologicamente tagliente e non priva di sfumature beffarde.

Se la già ricordata versione di Bernard Rose con la Marceau si affidava, con approccio filologicamente rigoroso, alle pagine più alte del tempestoso universo ciaikovskiano, anche qui una delle cellule leitmotiviche principali ci riconduce al compositore russo: si tratta per la precisione di un canto popolare diffusissimo al di là degli Urali e noto come “Stava in un campo una betulla”. Tchaikovsky lo usò come cellula generatrice e progressivamente dilatata sino allo spasimo per l’ultimo movimento della sua Quarta Sinfonia, e Marianelli ne fa il nucleo originario e caratterizzante della partitura, su registri diversi e quasi ammiccanti: è una tromba pettegola a esporlo a inizio “Ouverture”, poi la fisarmonica in “Clerks”, che si apre riproducendo il (fatidico se si conosce la vicenda) rumore di un treno in corsa, poi ancora un fischiettare di gruppo e una voce femminile, sempre galoppando sulle rotaie, in “She is of the heavens” e ancora in “Anna marches into a waltz”. Intorno a questo elemento germinano una quantità di idee dalla strumentazione trasparente, sofisticata (l’orchestrazione è dello stesso Marianelli insieme a Benjamin Wallfisch, che cura anche l’attenta e partecipe direzione d’orchestra), che continua a tenere d’occhio Tchaikovsky come riferimento, ma più quello liquescente e tintinnante dello “Schiaccianoci” che non il musicista dell’abisso della “Patetica”: si pensi alle movenze valzeristiche aggraziate e insieme crepuscolari di “Kitty’s Debut” e “Dance with me”, attraversate da un secondo tema – che si rivelerà poi quello conduttore – di sapore squisitamente russo, particolarmente toccante nell’esposizione del violino solo di Jack Liebeck, che nel secondo dei due brani citati sfocia in febbrili circonvoluzioni degli archi e in una coda minacciosa a salire degli ottoni, il tutto in un climax delirante che si rifà anche alla “Valse” raveliana. “The girl and the birch” ci presenta il canto popolare di cui sopra nella versione più diretta scelta da Marianelli tra le molte esistenti: quella in cui la voce femminile, sullo sfondo irreale di un lieve scampanello, parla di una giovane donna che abbindola il vecchio marito, mentre il dialogo di “Unavoidable” fra violino, cello e clarinetto solisti, sullo staccato in ¾ degli archi oscilla fra malizia e tristezza.

Una partitura, dunque, che tende a insinuarsi lentamente ma irrimediabilmente nelle pieghe dell’ascolto, riservandosi anche punte spiazzanti di extracontestualità: ad esempio lo scattante “Can-Can”, brano quasi di sapore jazzistico basato sulle rapide figurazioni di ottoni e legni, questi ultimi ancora una volta impegnati a “mimare” la corsa di un convoglio ferroviario. L’atmosfera si rabbuia e si immalinconisce, ma sempre con estrema discrezione sonora, in “I don’t want you to go”, che mescola vari elementi lasciando ai celli il cantabile del tema principale ma “disturbandolo” con inserzioni solistiche e mantenendo in sottofondo un ritmo di valzer che diviene così delicatamente ossessionante. Lo stesso tema, in uno schema variativo che si estende sempre più, compare esitante e struggente nel piano solo (lo stesso Marianelli) con archi del brevissimo e limpido “Time for bed” e poi nel violino in “Too late”; ancora gli archi, ma in flautando acuto, risuonano vitrei e funebri in “Someone is watching” o severamente e molto “classicamente” composti in “Lost in a maze” e soprattutto “Leaving home, coming home”, dove la scrittura di Marianelli esibisce interamente la propria ricercata complessità.
La spettrale “Marsha’s song”, offerta dalla voce sussurrante e sensuale della celebre attrice indiana Tannishtha Chatterjee, introduce un gruppo di track conclusivi in tonalità minore, nei quali si dissolvono le influenze folkloristiche e la temperatura emotiva della partitura prende quota, pur senza mai indulgere alla facile enfasi: “A Birthday present” affida, dopo un incipit cupamente stagliato negli ottoni e una serie di meste terzine del pianoforte, una dolentissima esposizione del tema principale agli archi, sottolineando con intensità il fraseggio dei soli e racchiudendosi in un “adagio” che ancora una volta non può non ricordare il modello ciaikovskiano. Così come a esso rinvia il breve ma straordinario “At the Opera”, un brano tipicamente scritto “à la manière de”, che guarda all'”Eugene Onegin” e alla “Dama di picche” nella proposta di un drammatico, accalorato duetto soprano-tenore (le voci sono di Telman Guzhevsky e Allegra Giagu) su testo prelevato dalla seconda parte dell’undicesimo capitolo del capolavoro tolstojano. Il canto sconsolato del cello e, a seguire, il dispiegarsi accorato degli archi (è la sezione in cui Marianelli rivela più compiutamente tutte le sue influenze e devozioni classiche) fanno di “I know how to make you sleep” una delle pagine più emozionanti dello score, mentre ancora il dialogo stretto fra solo e tutti e il lungo assolo sul tremolo finale di “Anna’s last train” lascia trapelare tutto il senso della tragedia individuale e di un’epoca. Un valzer ormai ectoplasmico, minato da dissonanze interne, emerge nel pianoforte di “I understood something” e, più affermativo, in “Curtain” dove per una volta ancora gli archi si distendono e si ripiegano nel tema principale attraverso una serie di chiaroscuri dinamici straordinari; ma è lo sberleffo finale di “Seriously” (titolo quanto mai ironico), una sorta di danza popolare per organico bandistico, dai bagliori stravinskyani, a suggellare l’album.
E allora si è portati a riflettere su quanto dichiarato dallo stesso compositore nella nota di copertina: essendo il film di Wright largamente ambientato in un vecchio teatro abbandonato, dove i personaggi tolstojani si sforzano di dar vita alle proprie emozioni spingendole oltre l’angusta dimensione del palcoscenico, la musica di Marianelli si pone ambiziosamente e suggestivamente come punto di equilibrio, ma anche di drammatica frattura, tra questi due mondi, tra il sarcasmo popolare della messinscena e la furia cocente delle passioni.


La copertina del CDTitolo: Anna Karenina (Id.)

Compositore: Dario Marianelli

Etichetta: Decca, 2012

Numero dei brani: 24

Durata: 55′


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