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Soundtrack: "Anomalisa" - "Ave, Cesare! di Carter Burwell

25 luglio 2016 Soundtrack 0 Commenti
Anomalisa

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½* * * *

Nei lavori di Carter Burwell coesistono sempre una profonda cultura accademica, una vivace e raffinata ironia, un sofisticato polistilismo che lo porta a manipolare con consapevolezza i generi più diversi e un rifiuto per l’enfasi e la tronfia plastica sonora di molta musica per film recente…


Appaiono encomiabili e tutt’affatto rari la coerenza e il rigore con cui Carter Burwell si muove ormai da più di trent’anni nel mondo della musica per il cinema, occupando un posto assolutamente speciale ed esclusivo in un milieu che definire affollato è puro eufemismo. In lui coesistono infatti una profonda cultura accademica, una vivace quanto raffinata ironia, un sofisticato polistilismo che lo porta a manipolare con piena consapevolezza e varietà di tecniche i generi più diversi, dal jazz alla canzone al sinfonico al pop, e un rifiuto quasi sdegnato per l’enfasi o la tronfia e informe plastica sonora (poco importa se acustica o computerizzata) in cui sono ormai avvolti e soffocati i due terzi della produzione corrente d’oltreoceano.

Burwell coltiva insomma ancora la vecchia, gloriosa convinzione che i migliori risultati possano essere richiesti e ottenuti da un compositore in presenza di film il cui profilo possegga qualcosa degno di rimanere nella memoria; e sembra altresì persuaso che questo profilo sia più facilmente rintracciabile in figure autoriali forti, personali, in spiccate individualità che operano tuttavia indipendentemente e spesso in opposizione alla megamacchina dei blockbuster o della produzione “mainstream”. Forse non a caso è questo (in parte) l’identikit dei fratelli Coen, al cui cinema eccentrico, eccessivo, grottesco e amaramente sarcastico Burwell, pur lavorando a tutto campo (non si è fatto mancare neppure un contributo, peraltro di personalissima sobrietà, alla serie Twilight), è devoto sin dall’esordio di Blood Simple – Sangue facile: un cinema, quello dei fratelli di St. Louis, che pur nelle coordinate indie si muove continuamente anch’esso fra i generi, saccheggiandoli a volte con irriverenza, altre volte con affetto malinconico, altre ancora con caustica cattiveria. Un approccio che ha sempre trovato nelle partiture burwelliane perfetta corrispondenza d’intenti, ma che ha d’altro canto dato modo al compositore di esercitarsi sui registri stilistici ed espressivi più diversi, spesso e volentieri interagendo con canzoni e brani preesistenti, classici o pop, a formare un’integrazione musicale che fa parte costitutiva essenziale del mondo poetico dei due cineasti (citeremo solo a mò d’esempio di scuola l’impiego della scena d’amore tra Spartaco e Frigia nel balletto “Spartacus” di Khachaturian inserito in Mister Hula Hoop).
Non fa eccezione l’ultimo Ave, Cesare!, che anzi sembra da questo punto di vista decantare e riassumere tutte queste caratteristiche, accentuandole con una componente cinefila che d’altronde nei Coen è abbastanza diffusa. Tuttavia, se è vero che questo film ricorda, per cornice storica e argomento, il quasi contemporaneo Trumbo di Jay Roach, non è men vero che nulla potrebbe maggiormente differenziare l’approccio di Ted Shapiro da quello di Burwell. Infatti, se il primo si tiene programmaticamente e ostinatamente alla larga da qualsiasi riferimento musicale diretto a quel cinema e quel climax hollywoodiano, Burwell invece vi si cala appieno, a cominciare dal brano omonimo del film, una “fanfara romana” che ricorda direttamente i modelli rozsiani per i peplum degli anni 50-60 e che torna, ancor più scintillante e secca, in “Hobie and Whitey”; oppure in “Fiat Lux”, magistrale coro di bassi e soprani dalle risonanze ancestrali e arcaiche. Non traspare però dal suo sapiente citazionismo alcun compiacimento accademico: oltretutto, nella loro spesso fulminea brevità, i suoi interventi musicali sembrano più orientati ad aprire delle veloci finestre impressionistiche sui vari personaggi e sul variopinto e mutevole universo descritto dai Coen, in un caleidoscopio in continuo e inafferrabile movimento, che non a formare un’entità musicale omogenea. Isolando un unico, solenne Leitmotiv principale, pienamente esposto in “Pursuit of the future”, Carter Burwell si lascia per il resto volentieri circondare da autentici numeri da musical vintage (“Cattle call” di Eddy Arnold o “No Dames!” che vede in veste di cantante Channing Tatum), oppure si presta a elaborate parafrasi, come “Jonah’s daughter” che rielabora il duetto “O belle nuit d’amour” dai “Racconti di Hoffman” di Offenbach, o “Song of India”, celebre hit jazzistico di Tommy Dorsey ricavato da un’aria del “Sadko” di Rimnsky-Korsakov; oppure ancora ospita nel proprio score, caricandolo di particolare significato, lo splendido coro dell’Armata Rossa in brani la cui suggestione è ancor oggi ampiamente sopravvissuta alla caduta del Muro.

Molto più personale, e profondamente inquietante appare il contributo di Carter Burwell a un’altra personalità a lui familiare, quella di Charlie Kaufman, sceneggiatore e regista per il cui copione di Essere John Malkovich, diretto da Spike Jonze, il compositore – sodale sia di Kaufman che di Jonze – ha scritto nel ’99 una partitura di gelida, vitrea ironia. In Anomalisa si tocca con mano la predilezione di Burwell per atmosfere e contesti decisamente inconsueti: unendo infatti la presenza di suoni quasi meccanici, non casualmente marionettistici (“Ouverture”, “Fregoli elevator”), con l’improvviso aprirsi di liriche oasi cameristiche (clarinetti e violoncelli in “Lisa in his room”), Burwell evoca un mondo sospeso fra amaro realismo e teatro dell’assurdo, con suoni spinti su un registro acuto di impalpabile tessitura, in cui arpe, vibrafoni e celesta sostengono sconsolate peregrinazioni degli archi creando un senso di notturna, indecifrabile solitudine. Può suscitare qualche perplessità l’opzione di presentare lo score integrato da ampie parti del dialogo, tuttavia è proprio il particolare “senso” psicologico associato alla distribuzione delle voci nel film (David Thewlis per il protagonista, Jennifer Jason Leigh per Lisa, Tom Noonan per tutti gli altri) a rendere meno intrusiva e più pertinente anche la loro convivenza con lo score: che comunque ha momenti di altissima intensità poetica, come il dialogo fra pianoforte e violino solo in “Anomalisa”, pagina di kammermusik tanto più comunicativa almeno retorica e conciliante. Fedele a un registro timbrico e armonico a tratti addirittura respingente (archi, fagotti, strumenti metallofoni a introdurre una luce sempre radente e inquietante) Burwell sembra anzi voler sostenere le voci – in particolare quella della straordinaria, intensissima Leigh, che canta anche in italiano “Girl just want to have fun” – facendo “respirare” le frasi musicali in una specie di vuoto emotivo dove risuonano come echi lontanissimi e inafferrabili pezzi di repertorio, brani di canzoni e un frammento del Duetto dei fiori dalla “Lakmè” di Léo Delibes, che Michael ascolta in aeroporto e poi canticchia: quasi una reliquia funebre musicale, che Burwell omaggia – come le altre di questi due score – con rispetto pari a distaccato e consapevole disincanto.


La copertina del CD di AnomalisaTitolo: Anomalisa (Id.)

Compositore: Carter Burwell

Etichetta: Lakeshore, 2015

Numero dei brani: 14

Durata: 44′


La copertina del CD di Ave, Cesare!Titolo: Ave, Cesare! (Hail, Caesar!)
Compositore: Carter Burwell

Etichetta: Backlot Music, 2016

Numero dei brani: 26 (20 di commento + 3 canzoni + 3 tradizionali)

Durata: 43′


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