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Soundtrack: "Hercules" di Velázquez & Kantelinen

4 maggio 2015 Soundtrack 0 Commenti
Hercules il guerriero

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * ** * * ½

Il personaggio di Ercole suscita evidentemente ancora una grande fascinazione, se nel 2014 sono usciti ben due film che lo vedevano protagonista. In entrambi i casi, i compositori chiamati a realizzare la colonna sonora hanno saputo mostrare una via europea a un genere solitamente prerogativa degli hollywoodiani…


Quando nel 1983 Pino Donaggio consegnò la propria partitura per il fumettistico, muscolare e “ultrapulp” Hercules di Luigi Cozzi, prodotto dalla Yoram Globus e interpretato – si fa per dire – dall’incredibile Hulk Lou Ferrigno, tra i suoi fan si diffuse un certo stupore: il maestro veneziano non sembrava infatti possedere nulla in comune con quel mondo fantasy adolescenziale e smargiasso, né con le coordinate di una partitura per forza di cose al testosterone. Pure, Donaggio stupì tutti dimostrandosi perfettamente all’altezza del compito, persino nei suoi risvolti più stereotipati e di genere, consegnando due anni dopo addirittura un degno sequel.
Da allora molti Ercole sono passati sotto i ponti, transitando anche per l’imbarazzante Ercole a New York del ’69 con l’esordiente Schwarzenegger (musiche di John Balamos) e il cartoon disneyano del ’97 con musiche del pluripremio Oscar Alan Menken. Il personaggio evidentemente suscita ancora una fascinazione mitologica che nemmeno l’aureo e un po’ patetico filone nostrano degli anni 50 e 60, con i “pepla” interpretati da Steve Reeves e arricchiti dalle partiture di Enzo Masetti e Armando Trovajoli, è riuscito a esaurire: tant’è vero che addirittura due sono i film usciti nel 2014 sulla sua leggenda e sulle sue imprese.

Anche nel caso di Fernando Velázquez la sorpresa non è da poco; il sensibile e intenerito compositore di Lo imposible o quello, nervoso e vibrante, di Con gli occhi dell’assassino e Los ultimos dias non sembra infatti particolarmente in sintonia con lo stile roboante e pirotecnico del blockbuster mitologico di Brett Ratner (peraltro, anche Alberto Iglesias ci ha stupiti con lo score del nuovo kolossal di Ridley Scott, Exodus). Ma evidentemente volere è potere per il musicista spagnolo, che brandita la bacchetta sale sul podio per dare – letteralmente – fiato alle trombe. L’impatto iniziale (“Son of Zeus”) è spiazzante: l’arpeggio sommesso degli archi che introduce la possente esposizione del tema principale evoca atmosfere epicheggianti alla Marvel, e infatti non si possono non riconoscere similitudini stringenti con le altisonanti partiture di Tyler (se Brian o Bates, scegliete voi…), Jablonsky o Djawadi, come dimostrano le analogie ad esempio fra “Pirate’s camp” e certi passaggi di Iron Man 3, il cui Leitmotiv è ampiamente riecheggiato in “Arrival at Lord Cotys’ City”. E tuttavia già “Lord Cotys’ Palace”, con il fraseggio spezzato e incerto degli archi, mostra un’attenzione alla miniatura strumentale e alla sottigliezza costruttiva tipiche del compositore di Bilbao. Questa atmosfera quasi sospesa, venata di continue sfumature ma irrobustita da repentine accensioni ritmiche della percussione elettronica, caratterizza anche “I will believe in you” e “The lion’s tooth”, pagine pennellate con modernità e sobrietà. Ma ecco affiorare il ben noto compositore di tanti horror iberici in “Bessi-Battle”, action music aggressiva e urticante dalle velocizzazioni soffocanti che ingloba il tema conduttore in un trattamento strumentale di feroce incandescenza, caratterizzato dai ripetuti inserimenti di una seconda idea tematica negli ottoni, obliquamente stagliata su un minaccioso intervallo di quinta diminuita. Velázquez sacrifica infatti volentieri qualsiasi tentazione ornamentale o accomodante sull’altare di un sinfonismo brutale e molto europeo, inserito in un’architettura bipartita dove archi e percussione garantiscono un’incalzante andatura ritmica e gli ottoni sferzano selvaggiamente il discorso musicale con inserimenti ultimativi. A ciò si aggiunga l’utilizzo del coro in funzione epico-evocativa e si avrà chiaro il respiro di uno score che, al netto di un certo trionfalismo di maniera (“The battle”) e di un indubbio pedaggio pagato a lavori simili ma di compositori di genere più esperti e astuti, riafferma la personalità del compositore spagnolo, soprattutto quando è lasciato libero di sviluppare il proprio mélos (si ascolti la versione, romantica e accalorata, del tema di Ercole per archi all’inizio dei titoli di coda, o quella per coro del “Choir theme”); tanto che si è indotti a riflettere su come, magari dentro questa medesima tipologia di film ma di qualità un po’ più elevata, egli potrebbe forse davvero sorprenderci con esiti insospettabili.

Gli ingredienti messi in campo dal finlandese Kantelinen per il film del compatriota Renny Harlin (con cui aveva già collaborato nel 2004 per Nella mente del serial killer) sono apparentemente analoghi: coro, percussioni elettroniche, organico vastissimo, eloquio grandioso. Ma il 45enne, talentuosissimo compositore venuto dal Nord, celebrità in patria e noto all’estero soprattutto per l’evocativa e formidabile partitura a quattro mani con Altan Urag di Mongol, sembra muoversi su coordinate diverse: più primitiviste, ancestrali, viscerali. Tanto per cominciare si odono nettissime, nella sua partitura, le influenze di Sibelius, il patriarca della musica finlandese, nonché di molti compositori russi; soprattutto l’utilizzo del coro, in “The fall of Argos” e “Caves”, evoca addirittura ombre mussorgskyane, mentre la melopea iniziale e arcaicizzante della voce femminile delinea scenari quasi mistici.
Il Main theme possiede una nobiltà tutta nordica, un incedere pacato e pensieroso negli archi dove si scorge anche l’ombra di Grieg. Peraltro, dilaga un’inquietudine armonica destabilizzante, percepibile soprattutto nelle pagine d’azione e, ad esempio, nel wagneriano, colossale “King Amphytrion theme”, innalzato statutariamente dai corni e rinforzato dal coro maschile. Lo stesso “Love theme Hercules and Hebe”, che rielabora il tema principale, muove da un ostinato degli archi per fiorire poi in una delicata esposizione degli stessi, preceduti dal flauto, e indugiare in un fraseggio espressivo e morbido dai risvolti malinconici. Con tutta evidenza, questa è una partitura “vintage”, che guarda quasi ai modelli degli affreschi sinfonico-avventurosi di Miklós Rózsa negli anni 50 o ad alcuni capolavori nel genere del tardo Goldsmith (Il primo cavaliere, Il tredicesimo guerriero). “Flight” si riappropria del tema di Ercole in una chiave più lirica, salvo virare improvvisamente in direzione violentemente assertiva, mentre “Funeral” offre nuove variazioni elegiache per archi e “Hercules returns” ribadisce definitivamente la predilezione di Kantelinen per una scrittura ordinata e lirica, associata al protagonista, in luogo di prevedibili squillanti fanfare. Tuttavia “Captivity” sono nove minuti di pura adrenalina per coro e ottoni (superlativa la prestazione della Budapest Film Orchestra and Choir e della London Chamber Orchestra), ma in generale si può dire, rispetto al lavoro di Velázquez, che qui si è in presenza di una partitura assai più strutturata e ordinata, meno dimostrativa, che punta a sottolineare i risvolti umani del protagonista più che a enfatizzarne il lato superomistico. Resta il fatto che in ambedue i casi si è in presenza di una via “europea” a un genere musicale che, sinora appannaggio di bellicosi e muscolari compositori hollywoodiani, non sembrava riservare ulteriori e particolari sorprese.


La copertina del CD di Hercules il guerriero Titolo: Hercules il guerriero (Hercules)

Compositore: Fernando Velázquez

Etichetta: Sony Classical, 2014

Numero dei brani: 26

Durata: 65′ 04”


La copertina del CD di Hercules – La leggenda ha inizioTitolo: Hercules – La leggenda ha inizio (The legend of Hercules)

Compositore: Tuomas Kantelinen

Etichetta: Lionsgate Records, 2014

Numero dei brani: 12

Durata: 58′ 34”


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