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Soundtrack: I fratelli Sisters di Alexandre Desplat

9 settembre 2019 Soundtrack 0 Commenti
I fratell Sisters

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* *

Venticinque anni fa, è stato proprio collaborando con Jacques Audiard che Alexandre Desplat ha cominciato a farsi notare. Ora il tandem si ricompone in occasione di “I fratelli Sisters”, un western nero che rappresenta l’esordio non francofono del regista parigino…


Jacques Audiard è il regista sotto la cui ala Alexandre Desplat – un quarto di secolo e 180 titoli or sono, e all’epoca poco più che trentenne – iniziò a farsi notare dopo una gavetta che, peraltro, durava già da un decennio. Curioso che, a sei anni da Un sapore di ruggine e ossa, il tandem si ricomponga in occasione del debutto del regista in un film non francofono; ancora più curioso che il tutto avvenga all’insegna di una personale rivisitazione del genere western, priva sia di venature crepuscolar-romantiche alla Eastwood sia dei macabri sarcasmi alla Coen. Il problema della collocazione di I fratelli Sisters, in bilico fra commedia, noir e smontaggio di un mito, finisce però per riflettersi traumaticamente sulla musica, nella misura in cui – come si sa – alle ottime intenzioni non sempre è detto corrispondano esiti altrettanto squillanti.

La scelta di un organico eminentemente jazzistico “combo”, con incursioni nel blues minimalista (“The toothbrush”), il protagonismo nervoso e pungente del pianoforte preparato, la presenza di percussioni picchettanti, del violino elettrico e di archi opportunamente manipolati, in breve il ricorso a un suono artefatto e sgradevolmente “dark” attestano che compositore e regista tutto desideravano fuorché evocare nostalgie di frontiera o orizzonti di ampio respiro. La partitura anzi è fortemente contratta, reticente, spigolosa, sin dall’apocalittica, informe ouverture di “The killers”: le ossessive e tipiche iterazioni del compositore (“Duplicity”) guardano a moduli d’avanguardia decisamente sperimentali e postmoderni, ricorrendo a frantumazioni tonali e soluzioni da thriller (“Mother’s tricks”), ottenute alternando pizzicati, corde strascicate e rulli di tamburo (“Two brothers, two friends”), in quella che con tutta evidenza appare come una personalissima rilettura di sonorità country filtrate da suggestioni alla John Cage. Il radicalismo del linguaggio adottato (la prima parte di “Gun fight”) è apertamente indirizzato a creare un clima notturno, claustrofobico e opprimente (Myrtle Creek”), ma il problema è che il “colore” di questo suono, eccessivamente uniforme e indifferenziato, finisce nel lungo respiro con l’apparire più un escamotage stilistico conseguito attraverso i ben noti “tic” desplatiani, che un elemento di rilievo psicologico e/o narrativo. Né esso appare adeguatamente giustificato dal tono del film, molto più scanzonato e ironico.

Anche se qualche squarcio (il violino di “Builing the dam”) ammicca a toni da square dance vecchia maniera, e in certe occasioni un più pacato e tradizionale ricorso agli archi sembra acquietare la partitura su un registro sontuosamente sinfonico (“To San Francisco”, “Gold!”), la preoccupazione di apparire stravagante a tutti costi, e nel contempo disallineato anche rispetto – poniamo – alle score a suo tempo disegnate da Dave Grusin per i “contro-estern” di Sydney Pollack o da John Williams per il Missouri di Arthur Penn (compositori e partiture cui Desplat ha dichiarato esplicitamente di ispirarsi), finisce con il nuocere all’ispirazione del compositore, che si autoipnotizza in una ricerca di raffinatezze timbriche e acustiche (i flautandi e la chitarra di “Hunted”) sicuramente adatte al recente Suburbicon e che si riveleranno probabilmente perfette per l’imminente Kursk di Thomas Vinterberg, sulla tragedia del sottomarino russo avvenuta nel 2000, ma in questo frangente lasciano una sensazione d’incompiutezza, che pare rifugiarsi nei moduli jazzistici (“Folsom lake”, “At home with mum”) più che altro come passepartout stilistico. Più efficace Desplat appare quando, con mezzi molto semplici, si astrae da ricerche troppo cerebrali o allusive e coglie una drammaturgia sonora più diretta, come nell’accumulo progressivo e pesante dei bassi di “To kill a Commodore”, o nell’allarmismo degli archi, accarezzati dalla batteria, di “Two guns, one hand”: qui la musica, pur rimanendo entro i confini di quella spettrale astrazione ricercata dal maestro, assolve meglio il proprio compito con provocatoria originalità.

Rimane però l’impressione che al tutto sarebbe bastato e avanzato anche solo il materiale contenuto nei quasi otto minuti finali di “The Sisters Brothers (estended”): pianoforte agitato in un ostinato implacabile, violino stridente, percussioni ballonzolanti, pizzicati, pervicace rifiuto di qualsivoglia “tema” fatta eccezione per alcuni frammenti sparsi qua e là… In sintesi, la visione del western contemporaneo secondo Audiard e Desplat: un universo ormai senza identità. Nemmeno musicale.


La copertina del CDTitolo: I fratelli Sisters (The Sisters Brothers)

Compositore: Alexandre Desplat

Etichetta: Why Not Productions, 2018

Numero dei brani: 20

Durata: 53′ 13”


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