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Soundtrack: L'uomo che uccise Don Chisciotte di Roque Baños

16 marzo 2020 Soundtrack 0 Commenti
L'uomo che uccise Don Chisciotte

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * * *

Tra i tanti autori che, nel corso degli anni, si sono schiantati contro Don Chisciotte, uno dei più noti è sicuramente Terry Gilliam. Quando, dopo vent’anni di lavoro, il suo film ha finalmente visto la luce, il regista britannico d’adozione ha chiamato il più internazionale dei cine-compositori spagnoli, Roque Baños…


L’enorme interesse del cinema verso la figura dell’hidalgo resa immortale da Miguel de Cervantes risale agli albori della settima arte, ed è sempre stato costellato di progetti incompiuti, tentativi, fallimenti, commissioni mancate: a testimonianza della complessità innescata dal personaggio e della multiformità delle sue possibili interpretazioni (gli amanti dello “stracult” ne ricorderanno persino una versione con Franchi e Ingrassia, giusto nel fatidico Sessantotto).
Tra gli autori più celebri schiantatisi su Don Chisciotte, come lui sui mulini a vento, si annovera senz’altro Orson Welles, che inseguì l’idea per tutta la vita lasciandoci solo dei frammenti incompiuti. Singolare poi – soprattutto sul versante musicale – anche la versione del 1933, protagonista il grande basso russo Feodor Chaliapin, a firma di Georg Wilhelm Pabst, maestro dell’espressionismo tedesco, che ne commissionò la colonna sonora contemporaneamente a Jacques Ibert e Maurice Ravel, scegliendo poi il primo.

Anche Terry Gilliam ha impiegato vent’anni per varare il suo Don Chisciotte, in ben otto tentativi a partire da quello del ’98 che doveva avere per protagonisti Jean Rochefort e il giovane Johnny Depp. In realtà, poche altre figure sono più in sintonia con l’universo visionario, eccentrico e orgogliosamente kitsch dell’ex Monty Python: ne consegue la legittima attesa per la sua variazione su tema, accresciuta per la nuova score del più internazionale tra i musicisti cinematografici spagnoli, “tornato” in patria e alle proprie radici culturali dopo alcuni recenti parziali infortuni in salsa hollywoodiana (Heart of the Sea, L’uomo sul treno).

Roque Baños è un compositore “classico” nella più genuina accezione del termine; ed è a proprio particolare agio quando guida l’orchestra, passeggia fra le sezioni strumentali in un atteggiamento continuamente mutevole, crea e sviluppa temi di presa immediata e difficilmente dimenticabili. Per farlo però gli servono idee, immagini, “visioni” sonore, ed è evidentemente ciò che ha trovato nel sodalizio con Gilliam, giacché questa è la sua partitura di gran lunga più elevata tra quelle recenti.
Il colore è quello di una “adventure score” vecchia maniera, rutilante di colori accesi e inserimenti etnici, come la gaita (la caratteristica cornamusa iberica) che apre “I am Don Quixote”, o la chitarra classica, o le percussioni; ma sin qui sarebbe solo arredo sonoro, per quanto impreziosito. Il compositore di Jumilla, viceversa, si inebria sin dalle prime battute (forse perché la sua città natale è anche universalmente celebre per il vino…) di un florilegio di temi straordinariamente spontanei e coinvolgenti, a partire da quello principale, solare e romantico, esposto nel brano d’apertura già citato, cui ne segue un secondo, più malinconico e declinante. Due idee che si confrontano subito in “The shoe maker”, la prima con la chitarra, la seconda nell’arpa, aprendo la strada ad un assolo di clarinetto di indicibile, cristallina bellezza.
Su questa architettura leitmotivica, l’eccezionale abilità di Baños come orchestratore e contrappuntista crea un caleidoscopio inafferrabile di momenti musicali incessantemente in moto tra azione, sentimento, malinconia, humor, trionfo, solo apparentemente rifacendosi allo spirito delle grandi partiture d’avventura degli anni Cinquanta, in realtà cogliendone lo spirito più che la lettera, in un gioco di specchi infinito e vertiginoso. I modelli, che pure ci sono, vengono così trasfigurati e vivificati, dal Rózsa di El Cid (tutti i trattamenti chitarristici del Leitmotiv) al Silvestri di Ritorno al futuro (l’avvio degli ottoni in “Release the prisoners”) in una rielaborazione personale che onora i propri debiti stilistici semplicemente ammettendoli e trasformandoli in referenze altissime.

La tecnica della variazione, sempre notevole nel compositore, trova qui momenti esaltanti, come in “A marvellous day of adventures” e ancor più in “Spanish gold”, dove la hispanidad istintiva e mai decorativa del maestro si serve di strumenti come chitarra o nacchere per contrapporle al lavorìo incessante sugli archi, tra glissandi e flautandi, e più in generale alla modernità di una partitura senza confini. Singoli episodi e “sipari” si susseguono, si alzano e si abbassano all’interno di ogni singola traccia con precise scelte di campo nella scrittura: affidando per esempio prevalentemente ai legni (oboi in primis) il secondo tema o love theme, al coro maschile i momenti più epici, alla piena orchestra le fasi di più acuta tensione.

In un ascolto che deve continuamente adattarsi ai cambi di passo e di atmosfere del musicista, spiccano alcune gemme come “Angelica’s love”, variazione sul tema d’amore per chitarra e arpa di incontenibile struggimento lirico; o “The knight of the mirrors” che inizia sottotraccia con il tema principale per chiamare poi in causa il coro e gonfiarsi in un galoppo trascinante e selvaggio; o “The ride to the moon”, tribale e fuori controllo nell’utilizzo liberissimo della vocalità, viceversa ricomposta nelle modalità severe e chiesastiche del Kyrie Eleison di “The ritual”; o ancora “Escaping from the castle”, dove gli ostinati dei celli e il rullare delle percussioni conduce ad una interminabile, straziante frase di archi imploranti; o infine il superlativo “Waltz at che castle”, pagina eminentemente illustrativa che evoca immediatamente il valzer di Shostakovich dalla “Suite jazz n.2”, immortalato da Kubrick nel finale di Eyes Wide Shut, e di cui questo condivide l’andamento sarcastico e vagamente caricaturale specialmente nell’orchestrazione, con l’avvio degli archi, le intromissioni dei legni, gli intermezzi grotteschi degli ottoni, la ripresa finale e dispiegata dei violini. Un esercizio di stile sicuramente non immemore nemmeno del nostro Nino Rota.

La trascrizione in tonalità minore del Leitmotiv che si ascolta in “He will never die – Nor will giants” risalta nella sua fisionomia da epicedio funebre riscattata dalla violenta impennata di chiusura, mentre “A new beginning” riparte dalla proposta del tema in minore affidato all’oboe, ma convoca poi una solare ricapitolazione complessiva a cura di chitarra, archi, coro e ottoni, senza eccessi pompieristici, anzi spegnendosi in un accordo in pianissimo.

Se del termine non si facesse troppo spesso un utilizzo scriteriato, verrebbe voglia di scomodare la parola “capolavoro” per questo affresco di un compositore che, non dimentichiamolo, prima di venire richiesto anche all’estero si era affermato come il più promettente esponente di quella nouvelle vague musicale spagnola che oggi allinea talenti dopo talenti in un vero e proprio rinascimento del settore. Ci limiteremo a dire allora che si tratta probabilmente dell’esito musicale più alto in un film di Terry Gilliam, che pure di maestri nel proprio cammino ne ha incrociati parecchi, da Michael Kamen a Dario Marianelli, da George Fenton ai fratelli Danna: ma la cui filosofia cinematografica allucinata, onirica, paritariamente venata di grottesco e di tragico, trova qui nel lavoro di Roque Baños un elemento di sintesi e di apoteosi difficilmente eguagliabile.


La copertina del CDTitolo: L’uomo che uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote)

Compositore: Roque Baños

Etichetta: Meliam Music, 2018

Numero dei brani: 19
Durata: 64′ 31”


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