Soundtrack: "Transcendence" di Mychael Danna
Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore – * * *
Mychael Danna è un compositore poliedrico e visionario, capace di utilizzare le tecnologie più avanzate come di muoversi tra atmosfere orchestrali sospese e galleggianti. La sua musica per l’opera prima di Wally Pfister giostra in un registro cupo e grave, in cui la tecnologia si muove lungo la medesima linea dell’orchestra…
Strada pressoché obbligata per il compositore di fiducia di Atom Egoyan nonché premio Oscar per Vita di Pi, stante il genere di film da affrontare: un thriller fantascientifico con forti implicazioni esistenziali e metafisiche, nel quale il regista Wally Pfister (già direttore della fotografia di fiducia di Christopher Nolan) riprende e sviluppa tematiche e suggestioni già presenti proprio in Inception di Nolan. Danna, del resto, è un compositore poliedrico e visionario, che si muove a proprio agio sia sul fronte delle tecnologie più avanzate sia tra atmosfere orchestrali sospese e galleggianti, di raggelata inquietudine, perfezionate nel lungo sodalizio con il regista canadese. Ed è esattamente su questo doppio binario che si muove la partitura, ancorata a un registro sommessamente cupo, grave, in cui gli apparati tecnologici (echi, suoni metallici, riverberi, vibrazioni profonde) si muovono lungo la medesima linea dell’orchestra, soprattutto d’archi, pensosa e dal suono di tetra opacità.
L’intro di “Transcend” è in questo senso esemplare: pochi accordi in crescendo e una serie di pulsazioni sotterranee. Una lentezza preordinata, psicologicamente oppressiva, ipnotizzante, un fraseggio statico fatto di alternanze armoniche maggiore-minore nel quale con fatica si levano alcune idee melodiche brevi e dall’incedere faticoso (archi prima, poi piano in “Will and Evelyn”), in un processo di germinazione tematica molto elaborato e conflittuale. La parte strumentale non cerca interazioni con la presenza degli effetti elettronici, ma vi si affianca in una sorta di dialettica fra umanesimo e tecnologia che di volta in volta si sbilancia nell’una o nell’altra direzione, seguendo gli inquietanti postulati scientifici del film sul confronto fra uomo e macchina; “Building Will” è ad esempio pagina sostanzialmente artificiale, “sintetica”, ma con la presenza di una serie di elaborazioni degli archi di dolorosa intensità, che ricordano quasi alcuni passaggi cronenberghiani di Howard Shore. Una compresenza che ritorna in “Is anyone there?” con l’ulteriore, cristallino contributo del pianoforte che distilla un adagio struggentemente solitario e sconsolato, di grande suggestione.
L’atmosfera si surriscalda in “Online now”, con rintocchi violenti della percussione e poderosi sforzandi degli ottoni, mentre anche la parte ritmica, sin qui quasi assente, improvvisamente si accende di stringenti figurazioni (“Get off the grid”); restio ad aggregare il proprio lavoro intorno a nuclei tematici riconoscibili, Danna ricerca continuamente combinazioni di suoni in equilibrio tra laboratorio e afflato lirico; il risultato è un’alchimia sonora a tratti di intossicante fascinazione, spesso condotta ai confini del silenzio (“Two years later”), attraversata da accordi o tocchi provenienti dal nulla e al nulla indirizzati (“Building Brightwood”, “We had crossed the line”), con inserti vocali ultraterreni (“Healing the sick”), il tutto a comporre un’architettura musicale immateriale, mentale, onirica.
Non aspettatevi pagine d’azione nel senso convenzionale del termine, a meno che per tali non s’intenda ad esempio “Why are you so afraid of this?”, con percussione martellante, ostinati di archi e ottoni surriscaldati, ma sempre dentro un disegno rigido, geometrico di “suoni dall’altro mondo”, che talvolta ricorda alcune procedure zimmeriane: come in “It’s in the rain” ma soprattutto in “The only one he trusts”, energicamente assertivo nel ritmo e perentorio nella timbrica, dove non casualmente baluginano reminiscenze di Inception. Danna è coerente nel rifiuto di cercare punti o momenti di sfogo, di sversamento all’esterno del materiale così severamente e concettualmente compresso nel suo score: un pianoforte vaga su un lungo tremolo di archi in “Found a way back”, mentre “Why did you lose faith?” è forse la pagina più aperta, espansiva e dilagante della partitura, dove una lunga frase degli archi sostenuti dagli ottoni si alza poderosamente per scivolare poi in un ribollente crogiuolo techno-corale dove si alternano accelerazioni convulse, galop in fortissimo e parentesi di stasi contemplativa dalle risonanze funebri. “I can see everything” chiama nuovamente in causa la voce, evocando nei violini e nei synt timbri celestiali, mentre in “Always was” cessa l’assedio elettronico all’orchestra per lasciare archi e pianoforte soli in un dolcissimo epicedio, suggellato da un ultimo esoterico inserto alieno e avvolgente in “Garden”.
Sembra quasi un grande elogio della lentezza, questa ricercatissima e interiorizzata partitura del compositore canadese: un viaggio segreto e fluttuante nei misteri del “suono lontano” – il ferne klang dell’opera di Schreker – che sconta in una certa apatia espressiva e psicologica quel che invece restituisce in termini di coerenza e rigore stilistico.
Titolo: Transcendence (Id.)
Compositore: Mychael Danna
Etichetta: Water Tower Music, 2014
Numero dei brani: 22
Durata: 59′ 46”
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