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Soundtrack: "X-Men: Giorni di un futuro passato" di John Ottman

13 ottobre 2014 Soundtrack 0 Commenti
X-Men - Giorni di un futuro passato

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * *

Particolare figura di musicista- montatore (e occasionalmente anche regista), John Ottman torna a comporre per il gruppo di mutanti di Charles Xavier dopo X-Men 2 diec’anni fa, non a caso diretto da quel Bryan Singer con il quale aveva collaborato nella prima metà degli anni Novanta per Public Access e I soliti sospetti…


La saga dei mutanti Marvel presenta, musicalmente, le caratteristiche di una spiccata discontinuità. I sequel, prequel e spin-off succedutisi hanno cambiato compositore praticamente a ogni tappa, da Kamen a Harry Gregson-Williams, da Beltrami a Powell a Jackman. John Ottman vi rimette mano a undici anni dal suo precedente X-Men 2, non a caso sempre di Bryan Singer, regista col quale il compositore californiano ha un feeling particolare sin dai tempi di Public Access e I soliti sospetti, a metà degli anni Novanta.

Come si sa, Ottman è una particolare figura di musicista-montatore (occasionalmente anche regista, avendo unito i tre ruoli in Urban Legend: Final Cut), che lavora saldando le due funzioni in una sintesi ingegneristica, millimetrica, nella quale il sound è parte integrante del ritmo visivo, a costo di sacrificare qualcosa in termini di freschezza inventiva o varietà d’ispirazione. Il tema imperioso, violento di “The future/Main titles” e il coro maschile apocalittico, gli scampanii e le forzature degli ottoni di “Time’s up” declinano infatti immediatamente le generalità di una partitura muscolare come (troppe?) altre, scandita lungo una ritmica brutale, che è stata immediatamente e negativamente etichettata come “zimmeriana”. Zimmer, però, possiede una solennità e a tratti un impeto lirico sconosciuti a Ottman, il quale predilige un continuum quasi fisicamente tangibile, immanente; è ben vero che ad esempio “Hope”, con il disteso e pastoso tema di Xavier, ricorda da vicino le armonie fluttuanti di Inception, così come il dolce cantabile dei celli sullo staccato degli archi di “I found them” o il nervoso mix di percussioni, chitarre rock ed elettronica di “Saigon/Logan arrives”, ma la distanza tra i due moduli rimane comunque troppo marcata e lo stile di Ottman troppo programmaticamente discontinuo e irregolare per potergli attribuire una qualsiasi appartenenza precisa. A tratti prevale un atteggiamento meditativo composto e di grande pacatezza, come in “He lost everything”, altrove la presenza della ritmica di un basso accompagnato da un palpitare di effetti synt (“Springing Erik”) imprime allo score un sapore postmoderno alla 007 (strano che Ottman non sia ancora stato coinvolto nella saga dell’agente segreto, con la quale rivelerebbe probabilmente una profonda sintonia). Misteriose frasi dei bassi si aggirano in “How was she?”, mentre “All those voices” riprende dapprima negli archi il tema di Xavier con dolente intensità per poi disperdersi in una serie di effetti e chiudersi sommessamente su accordi dei violini.
Di questo aspetto che chiameremo polimorfo della partitura il lungo (quasi otto minuti) “Paris Pandemonium” è in un certo senso il manifesto; vi si alternano momenti di stasi ad accelerazioni improvvise, accensioni timbriche a brusche sottrazioni di suono, ma soprattutto sono presenti massicciamente effetti horror, glissandi urlati e sussulti tellurici, ululati di ottoni e raffiche ad alto voltaggio, in una sorta di crestomazia di topoi musicali apertamente esibita. “Contacting Raven” e “Rules of time” acquietano l’atmosfera su lunghe note tenute degli archi e pulsazioni sotterranee, mentre la seconda versione di “Time’s up” chiama in causa coro, percussioni ed epici arpeggi degli archi in un’adrenalinica adunata generale (va detto che l’orchestra, tenuta saldamente in pugno da Jeffrey Schindler, dà il massimo); ancora action music efficacemente generica e ripetitiva in “The attack begins” dove sono le percussioni a farla da padrone (si riaffaccia l’ombra di Zimmer), e negli archi aleggia il tema di Xavier, l’unico Leitmotiv della partitura.
Verso la conclusione, due inattese oasi liriche: “Join me” propone il cullante cantilenare del pianoforte a introdurre un sognante, concentrato intervento degli archi e in coda una frase del violoncello solo; “Do what you were made for” si propone come intenso adagio per archi, dalla vena tragica e contemplativa, indicando quella che avrebbe potuto essere una delle direzioni dello score se Ottman avesse rinunciato a tonalità premeditatamente enfatiche a favore di un maggiore raccoglimento. Tonalità che invece tornano inesorabili in “I have faith in you/Goodbyes”, con un disegno iterato e martellante di archi sottolineato dal coro, e che sfavillano nel conclusivo “Welcome back/End titles” con la gioiosa fanfara che riprende il tema dei Main titles.

Chiuso da due brani “vintage” di due glorie del folk rock come Jim Croce (“Time in a bottle”) e Roberta Flack (“The first time ever I saw your face”), l’album declina indubbiamente una certa stanchezza e forse un’eccessiva durata, ma si pone come perfetto esempio di partitura “mainstream” per un genere che lascia poco spazio alla creatività musicale e sembra piuttosto richiedere doti quasi matematiche di sincronismo e applicabilità. Quelle in cui, appunto, John Ottman è maestro.


La copertina del CDTitolo: X-Men – Giorni di un futuro passato (X-Men: Days of Future Past)

Compositore: John Ottman

Etichetta: Sony Classical, 2014

Numero dei brani: 22 (20 di commento + 2 canzoni)
Durata: 76′ 19”


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