"The Social Network" di David Fincher
Sony, 12 Novembre 2010 – Affascinante
Nell’autunno del 2003 lo studente di Harvard Mark Zuckerberg inizia a lavorare alla sua nuova idea. Sei anni dopo, i 500 milioni di iscritti a Facebook hanno fatto di Zuckerberg il più giovane miliardario di sempre, ma il successo gli porta problemi personali e legali…
Quando David Fincher mette le mani su qualcosa, le aspettative non possono essere che alte. Se poi l’argomento è quello di Facebook, il social network che sta lentamente riplasmando le relazioni sociali del XXI secolo, e del suo controverso fondatore, Mark Zuckerberg, ben si comprende l’attesa spasmodica per quello che Peter Travers, dell’edizione statunitense di Rolling Stone, ha definito «il film dell’anno». Gli echi che giungono da oltreoceano accreditano infatti The Social Network come uno dei migliori lavori della stagione cinematografica. Nei primissimi giorni di distribuzione internazionale, la pellicola ha fatto incassare oltre 100 milioni di dollari alla Sony/Columbia, che si è assicurata il progetto. Il film ha inoltre l’indiscutibile pregio di proporsi come “instant movie”, un film che si propone di squarciare il velo che ci separa da un pezzetto della storia dei nostri giorni, raccontandoci, in forma piacevolmente narrativa, il dietro le quinte di un aspetto, sia pur (a volte) marginale, della vita di 500 milioni di persone nel mondo.
Fincher dipinge uno Zuckerberg particolarissimo, adattandogli un abito che induce lo spettatore ad allontanarsene a causa di una stazzonata e indolente antipatia, e allo stesso tempo a simpatizzare con un particolarissimo stronzo che si incanta immaginando stringhe di codici mentre viene apostrofato dal migliore amico, o risponde «sono sotto giuramento, le devo rispondere: no» quando l’avvocato dell’accusa gli domanda se godeva della sua attenzione. E ne racconta le vicende a partire dagli aspetti controversi: la sua fama di nerd frustrato, costretto davanti allo schermo di un PC come pegno da pagare a una comunità, quella della Harvard degli anni ’90, che quando va bene lo snobba e quando va male lo bastona; il suo rapporto conflittuale con amici e collaboratori, che non ama e dai quali non viene amato. Insomma, la storia di uno che «non sei stronzo, ma fai di tutto per esserlo».
C’è mr. Facebook, nel film, così come anche mr. Napster, ovvero Sean Parker, l’inventore del padre dei file-sharing musicali e socio di Zuckerberg, enfant prodige tutto genio e sregolatezza, che passa da un’idea geniale ad un party con pupe&coca nel giro di qualche istante. Due celebrità post-moderne, che Fincher utilizza, a suo modo, come due declinazioni di una società globale e interconnessa a livelli estremamente capillari che fatica a comunicare, a instaurare un reticolo sano e pacifico di relazioni. Parker è l’esteta, il cultore dell’eccesso, quello che, rubando una battuta a Virginia Woolf, organizza feste per coprire il silenzio. Zuckerberg sfoga davanti allo schermo le proprie difficoltà relazionali. Nel primo dialogo, che si concluderà con la rottura tra lui e la sua ragazza, il fondatore di Facebook si rivolge a lei come se parlasse con uno sconosciuto in una qualsiasi chat. Niente filtri, nessuna accortezza. Zuckerberg si trova più a suo agio a digitare che non a consolidare le proprie amicizie e le proprie sicurezze. Preferisce liquidare la gente con una caustica battuta che non coltivarne con pazienza il benvolere.
Se è vero che Fincher accompagna lo spettatore in 120 minuti piacevolissimi, con un plot che è uno strano ibrido tra un legal thriller, una commedia adolescenziale e un action-movie scanzonato a la Soderberg, d’altra parte alla fine si rimane con la sensazione che qualcosa manchi, che l’impalcatura che sostiene l’intera storia sia in realtà vuota, priva di contenuto sufficiente a riempirla compiutamente. Un piatto dal gusto sopraffino, ma che lascia insaziato l’appetito. Prima di cliccare su “mi piace”, ci penserete su un attimo.
Titolo: The Social Network (Id.)
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Aaron Sorkin
Fotografia: Jeff Cronenweth
Interpreti: Jesse Eisenberg, Rooney Mara, Bryan Barter, Dustin Fitzsimons, Joseph Mazzello, Patrick Mapel, Andrew Garfield, Toby Meuli, Alecia Svensen, Calvin Dean, Justin Timberlake, Aria Noelle Curzon, Denise Grayson, John Getz, Rashida Jones
Nazionalità: USA, 2010
Durata: 2h. 01′
Film inquieto,come il suo protagonista.Ottima recitazione,ottima fotografia ma colonna sonora un pò piatta….
Film eccellente. La recitazione di Jesse Eisenberg e, soprattutto, quella di Justin Timberlake, è al di sopra di ogni elogio. Speriamo che i membri dell’Academy non premino il solito personaggio malato terminale o ritardato capace di cambiare il mondo e per una volta riconoscano due interpretazioni genuine e più “tradizionali”.
Guido, quella che fai è un’offesa a Forrest Gump ( 6 Oscar non a caso fra cui film, regia e attore ) e a Mare dentro, per cui Javier Bardem è stato nominato come protagonista. Quelli sono film.
A proposito: tante congratulazioni a Bardem che ha appena avuto un figlio. Continua così che sei grandioso !!!
( da pelle d’oca in Non è un paese per vecchi )
Bardem non ha avuto la nomination all’Oscar per “Mare dentro”.
Sapevo della Coppa Volpi però 😀
Questo film è di un maschilismo sconvolgente. Con un paio di eccezioni, il repertorio femminile è degno dei party di Arcore.
domanda:
è più bravo danny boyle o david fincher?
Fincher secondo me: Adoro Benjamin Button, Seven e Fight Club.
Non sono d’accordo, sul maschilismo del film. E’ vero che i personaggi femminili sono sciatti, ma proprio perché vengono disegnati dei protagonisti idioti e vuoti. Quello è l’unico tipo di donne con cui possono avere a che fare, perché sono uomini che umanamente valgono poco. Non è un caso che l’unica donna intelligente scarica il protagonista nella prima scena e poi non gli vuole più rivolgere la parola.
mi può stare bene, ma l’avvocatessa che dice a Mark “non sei uno stronzo” disinnesca le insinuazioni mossegli dalla ex ragazza e mette in crisi la tua teoria: uomo vuoto – donna sciatta.
Mah, a me sembra invece proprio il contrario: una persona talmente piccola che ha bisogno di sentirsi dire di non essere stronzo da qualcuno che non conosce, per poi mettersi davanti al computer per provare a dare un senso alla sua vita nel caso in cui la ragazza di cui è innamorato gli conceda l’amicizia su Facebook.
secondo me si parte da presupposti sbagliati: gli uomini non sono tutti vuoti anche perchè il cofondatore è portatore di valori positivi e nonostante tutto si ritrova una ragazza-pazzoide.
E poi non esiste la relazione vuoto-sciatta perché l’avvocatessa è una donna brillante e che sa “leggere” le persone (sceglie i giurati).
Il succo è che se parti da un binomio così piatto non si può andare granché oltre, per me sono sbagliate le categorie iniziali.. detto ciò ti saluto
A Riccardo: “Forrest Gump” è stato per anni uno dei miei film preferiti, “Mare Dentro” lo reputo un ottimo film. La mia critica stava ad indicare che il 90% delle volte la giuria dell’Academy premia ruoli “tormentati” o “malati”. Detto questo, dopo aver visto “Il discorso del Re” mi sembra evidente che la statuetta sarà appannaggio del magistrale Colin Firth (quando ho visto “The Social Network”, avevo appena sentito parlare del film di Hooper.)
P.S. Sempre per te Riccardo: Che tipo di personaggio interpreta Colin Firth??? 😀
D’accordo con la recensione. Piacevole film, regia e script che hanno saputo descrivere molto bene i fatti e a raccontarli in modo intrigante. Molto belli alcuni dialoghi. Attori molto in parte.