"1997: Fuga da New York" di John Carpenter
Medusa, 1 Agosto 1981 – Cinico
1988: a causa del dilagante aumento della criminalità, l’isola di Manhattan è stata trasformata in un carcere fortificato di massima sicurezza al cui interno vengono abbandonati a se stessi i criminali condannati a vita. L’unica legge è quella del più forte. Nel 1997 l’aereo del Presidente viene dirottato e cade sull’isola…
Forse il più grande western metropolitano della carriera di John Carpenter, Fuga da New York riprende la tradizione dell’eroe solitario e misterioso e lo inserisce in un contesto vagamente fantascientifico, dando vita ad un film d’azione dotato di ironia ma caratterizzato soprattutto dalla pesante sfiducia nei confronti delle istituzioni che il regista ha dimostrato per tutta la sua carriera.
Chiaramente influenzato dai film di Sergio Leone più che da quelli dell’amato Howard Hawks, per lo meno in questo caso, Carpenter regala alla storia del cinema un Eroe iconograficamente inarrivabile e costruisce un’ambientazione di grande impatto. Come ha scritto Fabrizio Liberti nel suo volume dedicato al regista, Manhattan ci appare qui come un labirinto infernale che sembra uscito dalla mitologia greca, alla quale tutto il film rimanda di continuo. Il fatto poi che, pur svolgendosi in un arco di tempo di 24 ore, la pellicola sia sempre ambientata di notte aumenta a dismisura la sensazione di ansia che lo spettatore prova nel seguire questa discesa negli inferi da parte di colui che tutti credono morto.
Ma l’ambientazione di Fuga da New York è anche altro: è New York. Portata all’accesso, certo, ma pur sempre chiaramente riconoscibile, e la cosa è ancora più evidente se confrontata con la Los Angeles del seguito-remake. Il melting pot che da sempre caratterizza la Grande Mela arriva qui al suo massimo, producendo una lotta razziale che sublima gli scontri da strada nell’incontro di wrestling che Iena si trova a dover combattere al Madison Square Garden.
Le bande che piantonano il Central Park notturno sono qui rappresentate dal punk Romero che allontana i soccorsi all’aereo presidenziale, e così come nella Los Angeles del 2013 il capo dei ribelli è un latino – la minoranza più importante del sud della California – nella New York del 1997 a comandare è un nero cialtrone e tamarro.
Anche se a prima vista il contenitore sembra valere più del contenuto (come scrisse Morando Morandini), non si può negare che 1997 abbia influenzato molto del cinema degli anni 80, a partire dal Blade Runner di Ridley Scott fino a Robocop, passando per l’universo di Mad Max.
Titolo: 1997: Fuga da New York (Escape from New York)
Regia: John Carpenter
Sceneggiatura: John Carpenter, Nick Castle
Fotografia: Dean Cundey
Interpreti: Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Isaac Hayes, Harry Dean Stanton, Adrienne Barbeau, Season Hubley, Tom Atkins, Charles Cyphers, Joe Unger, Frank Doubleday, John Strobel, John Cothran Jr, Vic Bullock
Nazionalità: USA, 1981
Durata: 1h. 39′
Indiscutibilmente è l’esempio più lampante del cinema americano di serie B degli anni ’80, cosa che ne ha fatto giustamente un cult.
Molto belle le scenografie e la fotografia (come sempre nei film di Carpenter), buoni gli effetti (che in verità, anche se sembrano digitali, digitali non sono dato il poco budget a disposizione ma lo sembrano veramente).
Ora, parlando soggettivamente, non ho tantissimo apprezzato lo script e in alcuni frangenti la regia e il montaggio, i quali mi sono sembrati sia un tantino lenti che abbastanza piatti.
L’inizio e dal prefinale in poi è sicuramente notevole ma nella parte centrale a parer mio gira sempre su se stesso con tecniche di regia e montaggio che adesso non sono più tanto capiti e digeriti.
Forse questo è un film figlio del suo tempo, che ai giorni d’oggi non riesce ad essere apprezzato appieno dato il modus operandi e le tematiche che sono cambiate nel mondo del cinema.
Bisogna però dire che alcune trovate sono geniali e Carpenter riesce benissimo a catturarle, non so però credo che questo film sia fuori posto ai giorni nostri, forse anche colpa del fatto che è stato “vittima” di moltissimi copie nel corso degli anni (mi viene in mente Doomsday di Marshall) e quindi ormai queste cose ci sembrano banalissime.
Comunque per le tematiche è sicuramente un film importante, originale nel voler mostrare la società di quel tempo che vigeva a New York.
Penso però che sia giusto vederlo solo per il fatto di aver visto il precursore dei veri film di serie B americani, anche se sicuramente un americano lo possa apprezzare di più che un italiano.
Comunque la regia è (a parte come già detto in alcuni frangenti) ottima, il montaggio pure, la musica si è bella ma Carpenter ha sicuramente fatto di meglio.
Le interpretazioni sono buone anche grazie a tutti gli attori (e amici di Carpenter) che vi prendono parte come Russel, Cleef, Pleasence.
Di Carpenter Albe tu apprezzi più gli esordi o anche qualche lavoro recente?
Direi che “Il seme della follia” è il suo ultimo film che mi è davvero piaciuto, per quanto “Fuga da Los Angeles” mi avesse divertito.
Con “Distretto 13, le brigate della morte” è il miglior film di Carpenter.
e grosso guaio a chinatown e la cosa dove li mettiamo?
Personalmente metto “La Cosa” al numero 1, poi questo al secondo e “Grosso guaio a Chinatown” terzo. “Distretto 13” lo metto al quarto a pari di “Fog” perché l’ho visto in inglese e gli attori sono vergognosi.
Non avevo fatto classifiche e in effetti mi ero scordato di “la cosa”, ora faccio la mia
1997 fuga da new york
la cosa
distretto 13
gli altri decisamente dopo
Secondo me Grosso guaio a Chinatown, con tutto l’affetto che nutro per il Pork Chop Express e per quello che dice sempre il vecchio Jack Burton, deve scalare indietro a favore di Halloween, anche solo per la sua influenza.
“Halloween” è girato benissimo ma non mi ha mai spaventato, neanche da bambino. Però è vero che se esistono i teen-slasher è tutto merito suo (o colpa sua, dipende dai punti di vista). “Grosso guaio”, invece, l’ho sempre adorato e pur non avendo alcuna influenza diretta non si può negare come abbia anticipato di molto la moda orientale degli ultimi anni.
Alberto dici che l’ultimo film ad esserti piaciuto di Carpenter è stato “Il seme della follia”,ma secondo me “Vampires” di Carpenter non è male,molto sottovalutato,io l’ho trovato molto divertente. Ma non è da annoverare tra i migliori,ovviamente.
Alberto, sbaglio o non c’è più la recensione di “Fuga da Los Angeles”? Ricordo che dicevi che era piaciuto solo a te. E’ per questo che l’hai eliminata?
Ti era piaciuto “Ammazzavampiri” di Tom Holland? Io l’ho trovato molto piacevole.
L’ho tolta perché non mi piaceva com’era scritta. Magari prima o poi la riscriverò.
Il primo “Ammazzavampiri” non l’ho mai visto. Ho visto il secondo ma non m’era piaciuto un gran che.
C’è poco da scrivere su Fuga da Los Angeles: è un remake inutile di un cult movie.
Solo ora mi sono accorto di questa recensione, mediante la funzione “cerca”. Probabilmente sono io un po’ imbranato, ma dal “menù” recensioni come si arriva ai film il cui prefisso nel titolo è un numero?
Comunque meno male che il Morandini ha specificato che SEMBRA che il contenitore valga più del contenuto, altrimenti gli avrei mandato una lettera minatoria 🙂
Scherzi a parte, ho riguardato detto film poco tempo fa assieme ad altri amici tra i quali un diciottenne che non lo conosceva, e le sue impressioni concordano in parte con quanto espresso da Marco, ovvero vi ha ravvisato (in alcuni frangenti) una certa “lentezza” inerenti il montaggio e lo svolgersi dell’azione.
Incredibile a dirsi, ma inizialmente ha confuso Jena con il Mauro di Francesco che in qualche commedia ha effettuato una parodia dello stesso. Resistendo a stento alla tentazione di applicare una tecnica di Hokuto-shinken sul giovanotto, non mi sono perso d’animo ed ho proseguito nella visione, appurando con piacere che ala fine egli è rimasto più che soddisfatto dal film.
Il tutto conferma che in effetti la pellicola soffre un po’ l’età per quanto concerne appunto alcuni aspetti inerenti regia e montaggio, ma che rimane ancora oggi valido in molti altri, primi tra tutti lo script e la valenza generale del lavoro di Carpenter. Va specificato inoltre che detto giovine che ha avuto modo di visionare “Blade runner” ha riscontrato in esso lo stesso “difetto”.
A dire il vero mi ha sorpreso che si sia fatto riferimento ai “B movies”. Personalmente potrei capire il paragone solo in merito al basso budget (solo due milioni di dollari a quanto espresso dalla Hill) ma per il resto il film mi sembra di levatura assai superiore. Anche se gli manca da buon Carpenter la pulizia formale di un Ridley Scott o la frenesia dei Wachowski rimane in my opinion un caposaldo nei film di fantascienza.
Il personaggio Plissken ritengo sia validissimo: anarcoide e politicamente scorretto (cosa all’epoca non ancora diffusa) non è privo di umanità, e cosa non da poco, non si rivela mai essere una macchietta. Tra i coprotagonisti, oltre a Stanton e Van Cleef metterei sul podio anche Borgnine.
Riguardo il soggetto, a mio personale avviso risulta ancora attuale.
Nella mia personale classifica carpenteriana, metto “1997 fuga da New York” subito dopo “la Cosa”.
Al terzo posto aex aequo tra “Distretto 13” ed “Il seme della follia”, al quarto “Essi vivono” seguito da “Starman”, “Grosso guaio a Chinatown” e “Christine”.
Evidentemente ho costruito la frase in modo ambiguo… Morandini HA scritto che il contenitore vale più del contenuto, sono io che dico che sembra così solo a prima vista.
Parlare di serie B sembra effettivamente fuori luogo vista la qualità, ma si tratta comunque di un film indipendente a basso costo, e nonostante l’impegno della troupe le riprese sono state piene di problemi. Carpenter diceva che la steadycam semi-artigianale che avevano si è rotta il terzo giorno e non sono più riusciti a ripararla…
Il problema di avere una pagina dell’elenco dedicata ai titoli che iniziano con un numero è che alcuni titoli hanno il numero scritto in lettere, e non sempre è noto quale delle due grafie è quella giusta. Per non correre il rischio che il lettore pensi che il film non è recensito anche se lo è ho deciso di trattare i numeri come lettere, quindi 1997 è sotto la M di millenovecentonovantasette. Che è poi il modo in cui vengono elencati i film nei vari dizionari.
Chiedo venia, avrei dovuto intuire che il film è recensito sotto la “M” di millenovecento… oltre che imbranato sono anche distratto. 🙂
Riguardo al Morandini… mi spiace che la pensi così, riversando uno dei punti di forza della pellicola a suo svantaggio. Ovviamente sono di opinione contraria, anche se è vero che in virtù delle scenografie, dell’ambientazione notturna e delle inquadrature “1997 fuga da New York ” è uno di quei film che andrebbe obbligatoriamente visto almeno una volta sul grande schermo per goderne appieno tutte le qualità e la peculiare “atmosfera”: caratteristiche che però sono di supporto alla vicenda, non il contrario.
A mio personale avviso inoltre, il fatto che un film sia indipendente ed a basso costo non è sinonimo di “serie B”, anzi in questo caso il tutto non può che fare onore a Carpenter: sono convinto che non tutti sarebbero riusciti ad ottenere un simile risultato, viste anche le problematiche che hai evidenziato da sommare a molte altre descritte nei contenuti speciali del DVD.
Onestamente non ravviso in questa pellicola elementi che possano inficiarne la validità a causa del basso budget, anzi per anni sono stato convinto che il film fosse costato oltre i 10 milioni di dollari. Venuto a conoscenza della travagliata lavorazione e di alcuni espedienti utilizzati (ad esempio la New York computerizzata: scatole di cartone con righe dipinte in verde, una trovata geniale e soprattutto un risultato eccelso anche per gli standard odierni) non ho potuto che incrementare l’ammirazione per queste persone che hanno realizzato un tale prodotto con così poche risorse.
Siamo sempre alla questione di dare una definizione al cinema di serie b. Se distinguiamo in maniera netta la serie B dal trash, credo che questo (come molti altri film di Carpenter) possa ricadere tranquillamente nel genere. L’importante è comunque sempre considerare che è una definizione relativa agli intenti degli autori e non alla qualità vera e propria del film.
Non senza un certo disappunto, ho notato che ultimamente taluni Critici tendono a sottovalutare questo film adducendo motivazioni inerenti una presunta e parziale natura non-carpenteriana, in quanto lo stesso scevro da talune (benedette) “rozzezze” proprie del regista d’oltreoceano.
Ciò che quindi un tempo assurgeva ad onori in virtù di una maggior cura (per gli standard carpenteriani) che conferisce tuttora alla pellicola un ottimo equilibrio formale, oggi trova giovani censori pronti a relegare all’oblio “1997” confinandolo alla categoria “cult figlio del proprio tempo”.
Tutte balle… anche se la carica innovativa è per forza di cose scemata (sono passati trentatré anni…) se non siete tra coloro che necessitano di una sparatoria ogni due minuti, compratelo, noleggiatelo, rubatelo ma… guardatelo, meglio (molto) se di notte.
Francamente non vedo dove il film sia invecchiato male. L’unica è la sequenza elettronica dei titoli di testa, superata già dai computer di due anni dopo. Il discorso sulla non rozzezza mi sembra campato in aria, primo perché Carpenter non è mai stato un regista rozzo, secondo perché questo è comunque un film indipendente a costo medio-basso (6 milioni di dollari, meno della metà de La Cosa), terzo perché uno dei pregi di Carpenter è sempre stato proprio il saper inventare con pochi mezzi a disposizione. Poi la sceneggiatura, a parte un paio di cose, mi sembra proprio il manifesto dei temi più cari a John Carpenter. Mah…
La penso allo stesso modo of course!
Vorrei a scanso di equivoci approfondire un attimo il discorso sulla “rozzezza”: a mio avviso in alcune opere di Carpenter emergono degli aspetti piuttosto, mi si passi il termine, “tamarri”, riscontrabili sempre a mio personale parere soprattutto in quei film a basso budget tipo “Fantasmi da Marte”, “Essi vivono”, “Vampires” o lo stesso “Body Bugs” di cui recentemente si è parlato.
Non mi riferisco con ciò ad aspetti legati nello specifico alla regia di Carpenter (ci mancherebbe…) ma all’esposizione generale, sovente “sovraesposta”; dette caratteristiche tuttavia sono soggettivamente una peculiarità di queste pellicole che paradossalmente possono, in effetti, elevarne le qualità intrinseche.
Estendere però tali presupposti a film come quello in oggetto o tanti altri di Carpenter mi sembra una immane corbelleria, frutto di analisi spicce e, conseguentemente, insoddisfacenti.
Mah… E’ un dato di fatto che i protagonisti dei film di Carpenter siano sempre personaggi appartenenti alla classe popolare, e quindi più facilmente associabili all’immagine di rozzi tamarroidi. E non c’è dubbio che spesso i suoi machi siano effettivamente rozzi, ma se consideriamo il suo amore per il western mi sembra ovvio che siano il corrispettivo moderno di certi cowboy avvinazzati e/o puttanieri che popolavano il cinema di Howard Hawks, John Ford, Raoul Walsh e John Huston. Non mi sembra che il protagonista di “Essi vivono” sia molto più rozzo del Dean Martin di “Un dollaro d’onore”, ad esempio. Se vuoi fare un western ambientato nel mondo moderno non puoi certo farlo con personaggi laureati a Oxford…
Non è propriamente a questo che mi riferivo, anche se fa parte del discorso. Al di là dei personaggi di bassa estrazione sociale, è il contesto filmico nel quale sono inseriti che mi appare piuttosto “rozzo”, ma solo negli esempi di cui sopra.
Plissken o Wilson sono magari equiparabili al Tom Doniphon di Ford, ma secondo me il John Nada di “Essi vivono” ricorda di più protagonisti di film un po’ meno “nobili”, per così dire.
Ciò non implica necessariamente una nota in negativo soprattutto per il fatto che appaiono più realistici ed anche tutto ciò che li “circonda” appare schietto, diretto, oserei dire “senza filtro”. La cosa importante è che, secondo me, non si tratta di un caso ma della precisa volontà del regista: i protagonisti di “Starman” ad esempio, sono a mio avviso più “cinematografici” e ben inseriti nel contesto più “poetico”.
Ovviamente ciò fa parte di una chiave di lettura personale… si fa per due chiacchiere.
Be’, Starman è un’opera su commissione quindi conta fino a un certo punto. Ma non credo ci siano dubbi sulla volontarietà di una certa rappresentazione di mondo e personaggi, altrimenti i critici che criticano la mancanza di questa visione in 1997 si lamenterebbero della mancanza di una cosa casuale…
Il fatto che Starman sia un progetto attuato su commissione secondo me non è del tutto influente, la mano di Carpenter si vede molto, a mio avviso più che nel Villaggio dei Dannati ad esempio.
Riguardo i Critici, sì, credo abbiano criticato la mancanza di certi elementi “naif” del cinema di Carpenter come se avesse voluto fare un film più “serioso” senza riuscirci. Al di là dell’opinione espressa, sicuramente legittima per carità anche se non condivisa, mi urta il fatto che potrebbero dissuadere qualche giovine a prenderne visione, cosa che mi spiacerebbe.
Per Starman intendevo dire che Carpenter si è trovato personaggi e ambientazione già fatti, quindi non avrebbe potuto “inrozzirli” anche volendo. E’ chiaro che la sua mano si vede molto, perché evidentemente non ha sottovalutato il progetto e aveva le idee ben chiare su cosa fare.