"Buried - Sepolto" di Rodrigo Cortés
Moviemax, 15 Ottobre 2010 – Ripetitivo
Iraq, 2006. Il camionista Paul Conroy si risveglia improvvisamente dentro una cassa di legno sepolta sottoterra senza sapere esattamente come ci sia finito. Per tentare di uscire, ha a disposizione soltanto un accendino, un cellulare e un coltello…
Presentato con sorprendente successo all’ultima edizione del Sundance Film Festival e in seguito pubblicizzato come una sorta di “fenomeno cinematografico”, il secondo lungometraggio dello spagnolo Rodrigo Cortés sembra voler fare il verso ai tanti film indipendenti il cui pronostico, almeno sul fronte commerciale, pare essere già in partenza studiato a tavolino. Di prodotti sulla falsariga di questo Buried ne abbiamo visti fino alla nausea, a cominciare dal curioso Open Water, seguito a ruota dal macabro primo episodio della saga di Saw, anch’essi scoperti dal Sundance. La carta vincente di questi film era rappresentata dalla situazione tanto bizzarra quanto credibile che si trovavano a vivere i protagonisti; e soprattutto si poteva considerare geniale, o quantomeno innovativo, il fatto di ambientare le vicende in luoghi apparentemente insignificanti ma utilizzati con estrema arguzia.
Analogamente, anche in Buried vi è, da parte dello sceneggiatore Chris Sparling e ancor più del regista, un’ostentata e inappagabile ricerca del realismo a tutti costi, come se questa fosse l’unica componente in grado di rendere questo genere di film sufficientemente accattivante da conquistare il pubblico. Non è da considerare necessariamente un difetto, ma sarebbe stato bello vedere, almeno questa volta, qualcosa che fosse in grado di scuotere i nervi degli spettatori non tanto per la messa in scena fine a se stessa quanto per il fattore psicologico, che pur non assente si disperde velocemente tra innocui espedienti sulla politica del lavoro ed espliciti riferimenti alla guerra in Iraq.
Nonostante le evidenti pecche della fotografia di Eduard Grau – d’altronde, in uno spazio così ridotto non si potevano fare miracoli – Cortés, anche montatore e produttore esecutivo, riesce a muovere la macchina da presa con discreta disinvoltura e il buon Ryan Reynolds ce la mette davvero tutta e si adatta piuttosto bene a quelli che sono gli intenti dell’opera. Un finale d’effetto non riscatta tuttavia un film che, pur non detestabile, sa comunque di già visto e non riesce a colpire quanto vorrebbe.
Titolo: Buried – Sepolto (Buried)
Regia: Rodrigo Cortés
Sceneggiatura: Chris Sparling
Fotografia: Eduard Grau
Interpreti: Ryan Reynolds, José Luis García Pérez, Robert Paterson, Stephen Tobolowsky, Samantha Mathis, Ivana Miño, Warner Loughlin, Erik Palladino, Kali Rocha, Chris William Martin, Cade Dundish, Mary Songbird, Kirk Baily
Nazionalità: Spagna, 2010
Durata: 1h. 34′
non sono d’accordo. Grande film ed una grande regia.
recensione troppo severa, il film considerando le limitazioni spaziali regge molto bene. Alcune pecche (la telefonata del licenziamento, ad esempio) non inficiano in modo significativo la qualità dell’opera
Sì, ma le limitazioni spaziali se le sono cercate loro. Non si può usare una precisa scelta artistica per giustificare l’inefficacia dovuta proprio a quella scelta…
sono d’accordo con la critica di Alberto Cassani
….Caro Alberto….io adoro questo sito…..mi trovo sempre in sintonia con i tuoi giudizi.
Bella idea, poca fantasia realizzativa…..sui contenuti nel suo corso………
un film che non decolla…mai.
Io adoro questo sito…è un must per i non addetti ai lavori.
Tiziano
Grazie infinite dei complimenti, Tiziano.
Il film è vero, non decolla mai, ma d’altra parte era impossibile che decollasse viste le premesse. Neanche un regista esperto sarebbe riuscito a mantenere la tensione per un’ora e mezzo. Però devo dire che non è insopportabile che hanno scritto alcuni colleghi. A me, soprattutto, è parsa piuttosto inutile (e paracula) l’idea di fare del protagonista una vittima di guerra: se fosse stata una vendetta mafiosa invece che un rapimento talebano non sarebbe cambiato nulla. Ma magari negli Stati Uniti avrebbe parlato molto meno del film.
Visto.
A me il film è piaciuto. Pur con qualche difetto e qualche luogo comune, e nonostante non ci fosse bisogno di un dito mozzato poco prima del finale, ho trovato intelligente le sceneggiatura e abile la regia, che oltretutto gestiscono molto bene un finale “a sorpresa” che coglie nel segno, rendendo vivida e pressante una sensazione di irreparabilità davvero ben resa.
Forse, come si è detto, il film non decolla mai davvero (e ci sarebbe da discuterne), ma d’altro canto non cala mai, per 90 minuti filati, riprendendo un uomo imprigionato in una cassa di legno .
Ricollegandomi alla recensione, è vero che di esperimenti di questo tipo (diciamo ricollegabili in qualche modo, vista la particolare messinscena di Buried) ne erano già stati fatti, ma questo è decisamente il migliore. Un film che non piacerà a tanti ma che secondo me è molto ben realizzato. Un film furbo, ma che si guadagna pagnotta più che onestamente.
Anch’io mi trovo molto d’accordo con il modo di ragionare di Alberto Cassani.
Se l’idea di partenza è “difettosa” di suo e non consente oggettivamente al regista e allo sceneggiatore di tirar fuori un film riuscito al 100%, allora vuol dire che non è una buona idea di partenza, o perlomeno abbstanza buona da diventare un buon film. Punto.
Nessuno ha imposto al regista di girare una certa storia, e allo sceneggiatore di scriverla, se la sono scelti loro.
Dato che non si può cavare sangue da una rapa, se il regista ci tiene ad essere applaudito, probabilmente l’unica cosa che gli resta da fare è buttare nel cestino quella sceneggiatura e idearne un’altra migliore. Altrimenti non si può lamentare.
So di sembrare troppo rigido, ma spero si sia capito il succo del discorso.
Andrea, il tuo discorso è giusto… ma questo è un buon film girato pure piuttosto bene.
Poi sul fatto che non sia un filmone e che presenti vari difetti, siamo, penso, tutti d’accordo. Ma non è una ciofeca, è un buon film, migliore dei vari Saw, Hostel o Open Water che dir si voglia.
Be, non è che “Saw” e “Hostel” abbiano molto a che fare con “Buried”… “Open Water” sì, gli si avvicina come idea di fondo, e secondo me quello riusciva a creare più tensione. Secondo me, al di là della “sfida” narrativa, Cortés ha anche pensato all’impatto mediatico che un film simile avrebbe potuto generare, però dopo la buona accoglienza al Sundance la pellicola non è ancora riuscita a trovare una distribuzione ad ampio raggio, negli Stati Uniti, segno che alla fine questo aspetto non gli è riuscito molto.
Beh, nel primo Saw c’era la segregazione e la maggior parte della scena si svolgeva in un ambiente ristretto. E c’erano la comunicazione con il sequestratore esterno, cellulari e via dicendo. E come lì un personaggio finiva col tagliarsi una parte del corpo, così avviene anche in Buried, anche se questo è un aspetto secondario. Fra l’altro, in entrambi i casi il personaggio mutila se stesso in prossimità del finale, un finale che è costruito in maniera tale da far pensare allo spettatore che il protagonista ce la farà ad uscire – anche se magari lo faranno secco un secondo dopo – dal luogo in cui è segregato, cosa che invece – in entrambi i casi, appunto – non succede. Io vedo molte similitudini a livello di mood filmico, anche se è chiaro che non parliamo esattamente della stessa cosa. Ma senza Saw non sarebbe mai esistito Buried.
Hostel in effetti differisce abbastanza a livello complessivo, ma anche lì qualche punto di contatto lo possiamo rintracciare. Non è esattamente lo stesso film ma si tratta di due vie non distanti fra loro. Diciamo che sia Hostel che Saw vogliono inquietare – e in seconda battuta disgustare – lo spettatore mostrando il senso di costrizione e di angoscia (e poi la sofferenza) che attanagliano i malcapitati protagonisti. Buried fa più o meno la stessa cosa, anche se ci va giù meno pesante e non sconfina mai nell’horror.
Poi certamente, come dici tu, Cortes ha pensato che un film con quel dato presupposto di base avrebbe potuto destare parecchia curiosità nel pubblico e generare un successo.
No, Fabrizio. In “Saw” c’è tutta la storia del detective della polizia (Danny Glover) e della famiglia di non mi ricordo chi che spezza il racconto di quello che succede ai due prigionieri. Nella stanza della tortura ci si passa sì e no metà film, non è un racconto costruito sull’unità di tempo e luogo come questo e com’era la seconda parte di “Open Water”. Che poi ci siano scene che si somigliano e risultati emotivamente simili può anche essere, ma dire che senza “Saw” non sarebbe esistito “Buried” è davvero troppo, anche perché di film costruiti attorno a un tentativo di fuga ce ne sono stati millemila anche al di fuori del filone del torture-porn. Per fare due titoli banali: “Prigionieri dell’Oceano” e “Nodo alla gola” di Hitchcock hanno senz’altro più cose in comune con “Buried” che non “Saw” e “Hostel”.
Sì, ma infatti non ho detto che vi sia identità fra Buried e Saw, però le analogie sono molte, anche, per l’appunto e soprattutto, dal lato emotivo. E se le analogie sono tante qualcosa vorrà pur dire, no?
Poi, un momento: non intendevo dire che Saw abbia inventato una tipologia di storia, dico solo che l’ha marchiata. Saw, a mio modo di vedere, ha chiaramente ispirato, anche indirettamente, film come questo che in qualche modo ne acquisiscono alcuni elementi rielaborandone al contempo degli altri. In questo senso “senza Saw non ci sarebbe stato Buried”. Perchè può darsi che, come dici tu, Buried abbia più punti in comune con Nodo alla gola, ma quando lo guardo mi viene in mente Saw, non Hitchcock.
No, ma neanch’io avevo pensato a “Nodo alla gola”, a caldo. Anzi, prima della proiezione parlavo con Francesco di “Open Water” come del film recente che si potesse avvicinare di più a questo (in realtà proprio adesso mi viene in mente anche l’interessante “Five Fingers”). A Hitchcock ho pensato in seguito, riflettendoci il giorno dopo, ma come atmosfera generale “Buried” ricorda sicuramente di più “I prigionieri dell’oceano” (http://www.cinefile.biz/?p=13890) che “Nodo alla gola”. Ma a “Saw” non avevo proprio mai pensato…
Allora chissà, forse i distributori del film hanno avuto davvero un input dalla visione, quando hanno messo sulla locandina il commento di qualche giornalista che aveva citato Hitchcock, anche se sarebbe ora di smetterla con questi trucchetti (lo so, è chiedere troppo…).
Fra l’altro, ricordo un episodio della serie “Hitchcock presenta” (uno delle prime serie, in bianco e nero) in cui c’è un tizio che resta chiuso in una cassa. Non lo ricordo benissimo, ma era sicuramente efficace.
Ah, è vero: non avevo fatto caso alla locandina. Diciamo però che se citano Access Hollywood vuol dire che i critici seri non hanno dato spunti…
Molto buona la regia e la prestazione di Reynolds, le uniche due cose a parer mio che tirano il film (a fatica) per tutti i 90 minuti.
Lo spunto è senz’altro efficace (non originale sia ben chiaro), purtroppo però lo script a volte fa scemare la tensione e la sopresa creatasi all’inizio, personalmente da metà film mi sono cominciato ad annoiare abbastanza.
Cortès esegue degli efficaci soluzioni registiche all’interno dell’unico spazio angusto, dove a volte mi sono chiesto come faccia, scoprendo poi che sono state usate ben 7 tipi di bare!
La musica è molto bella però lo trovata fuori parte rispetto alle tematiche e al film stesso, anzi io l’avrei tolta proprio la colonna sonora…
Interessanti tutte le chiamate che il protagonista fa, è grazie a queste che intuiamo dove lo sceneggiatore e regista vogliono andare a parare, anche se, una volta scoperte le carte, non ci sorprendiamo più di tanto.
Nella scena del serpente è molto palpabile la tensione.
La telefonata del direttore personale trasmette un senso di rabbia a chi come me magari, è dipendente di aziende multinazionali che mangiano sulle spalle della gente, ecco li mi sono immedesimato, ma solo li però…
Lungaggini di troppo e scene evitabili e cadute di tensione (nenache un regista esperto poteva tenere la tensione alta per tutti i 90 minuti) sono i difetti del film in questione.
Da vedere ma non da rivedere, concludiamo così.
Ho visto ieri il film, e nel complesso lo salverei. Considerando la “location” ed il fatto che vi è un unico attore mi sembra che il risultato sia più che dignitoso, e che lo spettatore alla fine possa rimanere appagato dallo sviluppo della vicenda. Qualche escamotage a titolo gratuito per arrivare all’ora e mezza magari c’è, (ho trovato di troppo soprattutto la scena del serpente e la telefonata-licenziamento) ma il film fila via liscio, senza è vero troppi sussulti ma nemmeno (contrariamente a quanto pensavo) senso di pesantezza alle palpebre.
Il finale in effetti m’è parso più che riuscito, e nel mio personale caso ha contribuito non poco a spostare la valutazione oltre la sufficienza piena.