"Cesare deve morire" dei fratelli Taviani
Sacher, 2 Marzo 2012 – Coraggioso
Nel carcere di Rebibbia viene messo in scena dai detenuti il Giulio Cesare di Shakespeare: seguiamo le prove che portano all’allestimento dello spettacolo. Orso d’oro al Festival di Berlino per i fratelli Taviani…
Omicidio e spaccio di stupefacenti: questi sono i principali motivi per cui i protagonisti di Cesare deve morire sono rinchiusi a Rebibbia. Fine pena mai recita la sovrimpressione accanto a qualcuno dei protagonisti. Queste sono le premesse del film che si dipana veloce sotto gli occhi dello spettatore: in breve vengono conclusi i provini e cominciano le prove dello spettacolo basato sul Giulio Cesare di Shakespeare. E mentre i carcerati-attori provano, il mondo della prigione gira attorno a loro: altri detenuti, secondini, guardie sono presenze reali e intervengono nelle prove, interagiscono con gli attori.
I Taviani decidono di esporre tutto: non solo le prove, non solo lo spettacolo, ma anche la tristezza e l’essenzialità del carcere (luoghi grigi, tristi, malandati), la convivenza forzata, i litigi, le rese dei conti. I carcerati recitano due parti: quella loro assegnata nel Giulio Cesare e loro stessi in carcere (e paradossalmente riescono molto meglio nella prima); e sono filmati durante le prove in un perfetto bianco e nero a tinte forti e fosche che riesce a valorizzare i volti e le espressioni. Ma è la regia il vero capolavoro dei Taviani: nonostante le ristrettezze (siamo pur sempre dentro a un vero carcere, non in un teatro di posa) la macchina da presa non è mai posizionata in modo banale: riescono con semplici espedienti a estrapolare gli attori dallo sfondo e ad immergerveli un attimo dopo, un’inquadratura dall’alto diventa un attimo dopo un modo per vedere le prove da un’altra prospettiva.
La prospettiva è fondamentale, non solo come concetto matematico ed estetico (la scena delle orazioni di Bruto e di Antonio) ma come concetto astratto, come angolo di visione delle cose. Un giudizio assoluto (Omicidio-fine pena mai) diventa relativo davanti a una interpretazione appassionata: è davvero un mostro quella persona? Chi ha ucciso? Perché ha ucciso? Nemmeno questo viene taciuto. La prospettiva di una vita in una squallida cella che diventa più dura e contemporaneamente più morbida grazie all’arte, arte (e cultura) che magari se conosciute prima potevano cambiare la vita di un uomo. Ed eccola l’esca, lanciata praticamente a fine film, che rende universale il discorso fin lì particolare: l’arte e la cultura come modi per migliorare la vita, quegli stessi concetti così ignorati dalla società di oggi che però sono così importanti.
Cesare deve morire è un grande film, che – a luci accese – lascia un’amarezza di fondo. In un paese dove è ancora evidentemente possibile fare del grande cinema lascia perplessi che un progetto di questo genere (difficile, particolare e innovativo) sia portato avanti non da un giovane regista ma da due ultraottantenni.
Titolo: Cesare deve morire
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Sceneggiatura: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Fotografia: Simone Zampagni
Interpreti: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti, Vittorio Parrella, Rosario Majorana, Vincenzo Gallo, Francesco De Masi, Gennaro Solito, Francesco Carusone, Fabio Rizzuto, Maurilio Giaffreda
Nazionalità: Italia, 2012
Durata: 1h. 16′
Il finale è devastante.
Quanto di più claustrofobico si possa provare, ammirando un’opera d’arte costretta a negare sè stessa, la propria potenza, o quantomeno a doverla rinchiudere.
Commovente, struggente, potentissimo.