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Soundtrack: "Il ponte delle spie" di Thomas Newman

9 maggio 2016 Soundtrack 0 Commenti
Il ponte delle spie

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * *

Per la prima volta dopo trent’anni si interrompe la collaborazione tra Steven Spielberg e John Williams, ma con Il ponte delle spie Thomas Newman si conferma un compositore pienamente in linea con una tradizione che viene da lontano, dimostrandosi in grado di tramandarla, innovandola con accenti del tutto personali…


A prescindere dai suoi meriti oggettivi, la partitura di Il ponte delle spie è già un “caso”. La vicenda è nota. Per la seconda volta in assoluto e la prima dopo trent’anni, si è interrotta la più storica delle collaborazioni contemporanee fra regista e compositore, Steven Spielberg e John Williams. L’esordio di Duel, un Tv-movie, si avvaleva dello score di Billy Goldenberg; Il colore viola, tenendo fede alla propria struttura “all-black”, spinse Spielberg a rivolgersi al geniale jazzista afroamericano Quincy Jones. Le motivazioni ufficiali di questo terzo “divorzio” sono più articolate. Il combinato disposto della veneranda età del maestro, più alcuni acciacchi (fortunatamente superati), uniti al gravosissimo impegno per l’Episodio VII di Star Wars, gli hanno impedito di porre il sigillo sul ventisettesimo capitolo del loro sodalizio: i fan tuttavia possono stare tranquilli, perché Williams è già stato prenotato per i prossimi Il gigante gentile, un fanta-avventuroso tratto dal romanzo di Roald Dahl, e Indiana Jones 5.
Sin qui, si diceva, l’ufficialità, ampiamente documentata da dichiarazioni pubbliche. Tuttavia, senza volersi arrampicare in inutili dietrologie, a film visto e partitura ascoltata, sorgono alcune perplessità. Innanzitutto dell’intera filmografia spielberghiana questo è uno dei titoli dove la musica sembra avere il ruolo più ancillare, secondario, quasi di sottofondo, sia per quantità che per strategie d’intervento. Una coincidenza? Una scelta? Una costrizione, essendo venuto a mancare il compositore di riferimento? Difficile stabilirlo. Di sicuro c’è che la sobrietà, la discrezione, si direbbe quasi la timidezza che caratterizzano questo score sembrano palesare una certa riluttanza di Newman nel sostituirsi a Williams, come a voler occultare – piuttosto che rimarcare – eventuali differenze. Ciò non significa assolutamente che il compositore tenti nemmeno lontanamente di “imitare” quel modello, ma solo che l’opzione prescelta è quella di un costante “understatement”, un tenersi in disparte come a non voler disturbare troppo. In realtà, oltre a quello ricostruito nel film, c’è un “ponte” ideale anche tra il sessantenne figlio del patriarca Alfred e Williams; questi ultimi due erano infatti amici e Alfred Newman aveva tenuto a battesimo gli inizi del maestro newyorchese. Un debito che Williams ripagò simbolicamente affidando al giovanissimo Thomas parte delle orchestrazioni per Il ritorno dello Jedi. In altre parole, Newman Jr è perfettamente inserito in quella grande tradizione della musica per film hollywoodiana della quale è a suo modo un riformatore e un continuatore, sia pure in modalità e con strumenti del tutto moderni.
Dunque si trattava di un’alternativa ideale a “Big John”, stante le caratteristiche molto vintage di Il ponte delle spie, in cui il clima di guerra fredda degli anni 50 è permeato da una crepuscolare malinconia di fondo, e la stessa vicenda spionistica – attraverso la sceneggiatura dei fratelli Coen – si carica di una valenza intimista ben diversa dal rutilante dinamismo zerozerosettesco di Spectre, giusto per citare l’altra partitura principale di Newman nel 2015.

L’arco dinamico dello score oltrepassa raramente il “piano”, la strumentazione è prevalentemente per archi e pianoforte, con un parco uso di percussioni elettroniche usate più che altro come solenni rintocchi di fondo. In più si affaccia un coro di bassi, di evidente ispirazione slava (“Hall of Trade Unions, Moscow”), ieratico e solenne, che non può non ricordare lo Zimmer di Allarme rosso e in un passaggio armonico anche il tema dell’Arca del primo Indiana Jones (ma è l’unico, eventuale tributo williamsiano della partitura). La fanfara militare di ottoni di “Sunlit silence” si lascia ben presto andare a un Leitmotiv molto “Americana”-style (è il tema connesso al protagonista interpretato da Tom Hanks), dall’eloquio nobile e misurato, lontanissimo da qualsivoglia marzialità. Le acque sembrano agitarsi nella ritmica ostinata degli archi di “Ejection protocol” e “Rain”, dove tuttavia è la tensione a prevalere sull’azione, in tessiture orchestrali astratte, fantasmatiche, lattiginose. Esemplare in tal senso “Lt. Francis Gary Powers”, pagina immobile, spettrale, di quieta minaccia, con il coro sul fondale sonoro e le percussioni a irrompere per spezzarne l’orizzontalità. Più funebri che militareschi, gli ottoni che introducono “The article” rilucono di enigmatica grandiosità, affidando poi ancora una volta a ritmi ossessivi il generarsi della suspense musicale; un lamentoso inciso degli archi prelude in “The Wall” a una pagina accorata dei violini e a un successivo, drammatico sviluppo corale, mentre un pianoforte sognante vaga sul sostegno degli archi in “Private citizen” e una certa ansia, contenuta ma incombente, trapela dal movimento incessante degli archi e dagli accordi in crescendo degli ottoni in “West Berlin” e “Friedrichstraße Station”.
Ma è solo nei tre lunghi brani finali che il metodo compositivo di Newman in questa circostanza trova piena applicazione sfociando in una sorta di catarsi liberatoria. “Glienicke bridge” è una sorta di manifesto di “contromusica d’azione”: vi dominano il silenzio, le pause, l’attesa, la musica tende a un sussurro carico di apprensione, in una significativa bipartizione di ruoli, pianoforte e archi per il fronte statunitense; balalaike, coro e dulcimer per i sovietici. Gli archi fraseggiano tranquilli e severi, aprendosi in coda a uno dei rarissimi momenti di imponenza sonora dello score, scandito dal tamburo militare e dagli scultorei accordi degli ottoni. In “Homecoming” tromba prima e oboe poi preparano liricamente il terreno al tema principale per pianoforte in forma di ballata domestica e colloquiale sviluppata con partecipazione e asciutta commozione dagli archi. Gli “End title” iniziano energicamente, con accentazioni ritmiche della percussione e imperiose sillabazioni del coro, ma nella seconda parte è proprio il coro ad assumere intonazioni quasi religiose, da canto ortodosso, prima che gli archi si concedano a una ricapitolazione finale del tema conduttore.

Dall’insieme dello score si evince insomma che pur senza inseguire impossibili “eredità” (anche perché Williams è artista ancora bene in sella e attivissimo), Thomas Newman si conferma oggi come un compositore pienamente in linea con una tradizione che viene da lontano, e che egli si dimostra in grado di tramandare, innovandola, con accenti del tutto personali non meno che con encomiabile pudore stilistico.


La copertina del CD di Il ponte delle spieTitolo: Il ponte delle spie (Bridge of Spies)

Compositore: Thomas Newman

Etichetta: Hollywood Records, 2015

Numero dei brani: 15

Durata: 48′ 31”


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