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"L'illusionista" di Sylvain Chomet

26 maggio 2012 Recensioni 12 Commenti
L'illusionista

Sacher, 29 ottobre 2010 – Malinconico

Francia, 1959. Un anziano illusionista, ormai relegato in locali sempre più di periferia per un pubblico sempre più assente e disinteressato ai suoi trucchi, incontra una ragazzina che gli cambierà la vita…


Una scena di L'illusionistaCome possa un cartone animato, peraltro praticamente privo di dialoghi, riuscire a scavare in modo così profondo nell’animo di chi guarda, risvegliando sentimenti e sensazioni spesso sopite, resta un mistero a meno che quello stesso cartone non porti la firma di un maestro del genere. L’illusionista è una vera opera d’arte, un cammeo in cui si fondono sentimenti di affetto, solidarietà, comprensione verso il prossimo. Sentimenti che accompagnano, senza mai infastidire con risvolti oleografici e scontati, lo spettatore verso una conclusione tanto scontata quanto sorprendente. Meraviglia, in tutto il percorso narrativo, la delicatezza quasi eterea del rapporto tra il vecchio e la ragazza, attraverso il contrasto di due mondi separati non solo dagli anni ma anche e soprattutto dal modo di guardare la vita. Il mondo immaginario della ragazza, che immagina e crede che le illusioni prodotte dal prestigiatore siano realtà e che il magico rappresenti solamente un altro riflesso della vita, si scontra con la disillusione del vecchio artista, che si vede sempre più emarginato ma, nonostante tutto, combatte contro la cattiveria delle persone pur di regalare a quella ragazza qualche momento di serenità di cui non ha mai goduto prima.

Una scena di L'illusionistaIspirato a un soggetto, trasportato in film, di Jacques Tati, L’illusionista trascina lo spettatore in una storia che racconta di come si possa, ognuno nel proprio piccolo, fare del bene a qualcun altro. La ragazza, nell’egoismo della sua età, trascina lentamente il vecchio, già povero di suo, verso la rovina finanziaria, ma quest’ultimo ne è contento, quasi che abbia vissuto, fino ad allora, in attesa di poter avere quell’occasione.

Una scena di L'illusionistaLa scena finale, vero capolavoro, vede il vecchio abbandonare il coniglio, suo fedele compagno di lavoro, lasciato libero e, per un ultimo addio, spegnersi le luci dei negozi, della stanza d’albergo e dei locali che sono stati testimoni di tutta la storia, mentre il treno che porta via l’anziano prestigiatore (con tutto il simbolismo che questa partenza comprende) chiude definitivamente questo bel racconto. Da notare che il film è stato realizzato in larga parte con le vecchie tecniche del disegno manuale, cosa che ne fa, se ancora ce ne fosse bisogno, una vera perla della cinematografia moderna.


La locandina di L'illusionistaTitolo: L’illusionista (L’illusionniste)
Regia: Sylvain Chomet
Sceneggiatura: Sylvain Chomet, Jacques Tati
Fotografia:
Doppiatori originali: Jean-Claude Donda, Eillidh Rankin, Duncan MacNeil, Raymond Mearns, James T. Muir, Tom Urie, Paul Bandey
Nazionalità: Francia 2010
Durata: 1h. 22′


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Attualmente ci sono 12 commenti a questo articolo:

  1. Gaothaire ha detto:

    Recensione un po’ ingenua, soprattutto riguardo la chiusura, fra spoiler del tutto evitabili (soprattutto visto che si parla di un film sussurrato e sospeso, perchè non adeguarsi un po’ anche nello scriverne la recensione) e qualche imperfezione.. Comunque il film resta un capolavoro, di gran lunga superiore a Belleville, vuoi per il soggetto di Tati, vuoi per la Bellezza emanata da ogni singola scena o dettaglio, vuoi per l’esistenzialismo straziante che pian piano si insinua nella tenera malinconia.. Poetico, si va ad incastonare nel cuore sin dalla prima visione.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Ho pensato molto se lasciare o meno il racconto del finale che Raffaello ha fatto, ma trovo che la parabola del film sia talmente perfetta da rendere evidente fin (quasi) dall’inizio che quello raccontato è l’unico finale possibile. Peraltro perfettamente congruo con la filmografia di Tati. Proprio perché si tratta di un film poetico, non è tanto la successione degli eventi che conta, quanto la magia che questi sprigionano. Conoscere l’ultimo verso di una poesia che non si è ancora letta non ha lo stesso peso di conoscere l’ultima pagina di un romanzo giallo; in quest’ultimo caso sì che lo spoiler è dannoso, ma nel primo non vedo come possa rovinare la lettura (“to spoil”, appunto), poiché il cuore del testo va al di là delle semplici parole. Ci sono casi, e questo è uno di quelli, in cui è giusto lasciar da parte ogni appunto tecnico e ogni riflessione narratologica per abbandonarsi completamente alla poesia, anche correndo il rischio di sembrare ingenui.

  3. Bowie '12 ha detto:

    Uno dei più bei film che ho visto negli ultimi anni, e forse in assoluto il più bel cartone animato della mia vita. Un mistero come il sopravvalutato Belleville sia riuscito a vincere tutti quegli Oscar, mentre invece questa perla assoluta, dalla bellezza lancinante (solo a ripensarci, a mesi di distanza, mi tornano i brividi e le lacrime agli occhi) abbia avuto soltanto una nomination. Ingiustizia delle umane cose…

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Veramente “Belleville” ha avuto due nomination all’Oscar ma non ne ha vinto nessuno… Poi, dai: questo gli è nettamente superiore, un vero capolavoro, ma non è che “Belleville” fosse brutto. E’ vero però che “L’illusionista” ha avuto molto meno successo di quanto avrebbe meritato, anche in Francia.

  5. Bowie '12 ha detto:

    No, certo che non era brutto, “Belleville”, era pieno di trovate folgoranti e stordiva con la sua inventiva, però nel complesso quel suo crogiolarsi in un’onirica kafkiana risultava stucchevole, e ti lasciava con un’impressione di disarmonia e discontinuità. Se mi ha ingannato il ricordo è perché ho ancora nell’orecchie il coro degli intellettuali che all’epoca ne parlavano estatici, naturalmente incensandolo a scapito dei vituperati film della Pixar… quegli stessi che non si sono nemmeno degnati di andare a vedere questo, forse perché è classico tanto quanto quello era stravagante a tutti i costi, e “maturo” tanto quanto quello era acerbo. Ma il tempo avrà l’ultima parola e raddrizzerà almeno questo torto, ne sono certo…

  6. Alberto Cassani ha detto:

    Eh, guarda: io ricordo bene di aver parlato di quel film all’epoca della sua uscita con Stefania Carini – che oggi scrive di televisione per il Corriere della Sera ma all’epoca scriveva con me su Fumo di China, io di cinema e lei di cartoni animati – ed eravamo d’accordo nel dire che lo stupore degli intellettuali derivava dal fatto che molte delle cose che Chomet aveva messo in “Belleville” per loro erano assolutamente inedite, mentre nei corti d’animazione erano soluzioni piuttosto note. Di qui i peana a ciclo continuo degli intellettuali incompetenti, che sembravano anche a noi assolutamente esagerati. Però, appunto, il film non era disprezzabile, anche se era – come hai detto – acerbo, quasi incompiuto. Tra l’altro non saprei dire come andò, al botteghino italiano, ma dubito avesse portato a casa cifre stratosferiche.
    Al di là della qualità, comunque, “L’illusionista” ha avuto molta meno eco di quanto si poteva pensare forse anche perché distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti, che non è esattamente uno simpaticissimo e non è a capo di una casa di distribuzione in grado di mobilitare tante sale per i suoi film. In questo la Mikado, che distribuì “Belleville” quando ancora non era di proprietà della DeAgostini, era molto più efficace.

  7. Plissken ha detto:

    Curioso che due dei film di animazione più belli che abbia mai visto, questo e “il gigante di ferro”, abbiano avuto scarsa risonanza per problemi legati alla distribuzione.
    Concordo con il recensore e con tutti i commenti fino ad ora espressi che giustamente enfatizzano i tratti salienti di una pellicola di rara intensità, il cui poetico soggetto è coadiuvato da una tecnica incredibile, di livello eccelso.
    Anche secondo me è superiore al comunque ottimo “appuntamento a Belleville”, ma fatico a paragonare i due film nonostante la comune “paternità” in quanto troppo diversi tra loro sin dai presupposti.

  8. Alberto Cassani ha detto:

    Il fatto è che i cartoni animati in Italia vanno sempre piuttosto male, salvo eccezioni natalizie. “Il gigante di ferro” era distribuito dalla Warner, quindi le possibilità le aveva, ma evidentemente l’hanno fatto uscire in poche sale.

  9. Gaothaire ha detto:

    I maghi non esistono.
    Spaccacuori.

  10. Alberto Cassani ha detto:

    Ero indeciso se mettere quell’inquadratura tra le immagini a corredo della recensione, ma non mi sembrava giusto.

  11. Michele ha detto:

    Mi trovo in leggero disaccordo con i commenti qui sopra. Per quanto questo film mi abbia fatto impazzire, veramente un gioiello, non trovo giusto etichettarlo nettamente superiore a Belleville. Anzi la prima opera di Chomet mi è piaciuta di più. E’ sbagliato secondo me definire “L’illusionista” più maturo di “Belleville”, in primis perchè se parliamo di “maturità” del messaggio intrinseco nel film, il merito va più al compianto Tati che a Chomet. In secundis, come diceva giustamente Plissken, perchè troppo diversi tra loro. Per carità, “L’illusionista” mi ha lasciato a bocca aperta dall’inizio alla fine, ma “Belleville” brillava ancor di più a mio parere per le scelte stilistiche, per i riferimenti, per l’impatto emotivo, per l’ingegno dimostrato dal regista nel rappresentare caricature, clichè e stereotipi spinti sino all’inverosimile (assolutamente geniale) e per l’incredibile soggetto.

  12. Plissken ha detto:

    E’ un parere senz’altro condivisibile credo.

    Secondo la mia personale opinione “L’illusionista” fa più leva sull’aspetto emotivo, è di fattura più “classica” e come giustamente fai notare si avvale di un soggetto di nobile matrice.
    “Belleville” invece brilla per doti ironiche e peculiarità legate all’arte cinematografica, con soluzioni stilistiche di grande pregio. E’ una continua sorpresa sia per ciò che concerne il soggetto che la tecnica, tecnica che emerge mediante una regia scoppiettante come una padella di pop-corn: non dà tregua allo spettatore, che rimane stordito piacevolmente dal susseguirsi degli eventi anche per merito del “come” il tutto viene esplicato.

    “L’illusionista” invece si avvale una atmosfera che sarebbe stata cara ai “chansonniers” con tutto ciò che ne consegue, nello svolgimento risulta più delicato e la tecnica, per quanto eccelsa, si mette al servizio del soggetto. Credo abbia però il vantaggio di trasmettere, in maniera più immediata, un messaggio di natura più “intima”, esistenziale, e quindi risulti più efficace (soprattutto alla fine) nel colpire lo spettatore nella sfera emotiva.

    Belleville gioca (assai bene) su fattori diversi, sicuramente geniali per molti aspetti (rimasi incantato quando lo vidi) ma risulta forse (o meglio secondo la mia personale lettura) di natura più “leggera”.
    Comunque sia, il registro delle due pellicole mi è apparso totalmente differente sia nelle tematiche che nella tecnica, ed è per questo che stento ad attuare un valido paragone.

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