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"Nebraska" di Alexander Payne

31 marzo 2015 Recensioni 1 Commento
Nebraska

Lucky Red, 16 Gennaio 2014 – Morbido

Un uomo anziano è convinto di aver vinto un milione di dollari alla lotteria. Dopo aver tentato di fargli capire che si tratta di una truffa, il figlio minore acconsente ad accompagnarlo in Nebraska per ritirare la vincita. Lungo la strada faranno parecchie soste e incontreranno diverse persone, e il loro rapporto ne uscirà fortificato…


Bruce Dern e Will Forte in NebraskaC’è “l’altra” America, nel film di Alexander Payne. L’America degli anziani e delle campagne, delle fattorie e delle strade poco trafficate in mezzo al nulla. A metà tra il road movie e il romanzo di formazione, Nebraska si dipana lieve sotto i nostri occhi raccontando una storia esile in un bianco e nero poco contrastato che ha un sapore un po’ rétro ma non dà mai la sensazione di essere vecchio o stantio.

Bruce Dern in una scena di NebraskaPayne, pur all’interno del circuito hollywoodiano (fu nominato a sei premi Oscar, senza vincerne nessuno), gira infrangendo tutti i canoni dell’attuale cinema statunitense. Evita il colore, certo, ma non inserisce nessuna scena d’azione; gira con un ritmo lento e riflessivo e scarnifica i dialoghi rendendoli brevi, a volte senza senso e a volte basati solo su suoni gutturali, senza costrutto. Ma l’insieme non è per niente banale o privo di senso, tutt’altro. Nebraska è un film descrittivo, non solo nelle inquadrature ma anche nelle singole situazioni: mostra e spiega la provincia statunitense delle piccole vite ordinarie di migliaia di persone. Si interessa di personaggi anziani con storie che arrivano da un’altra epoca e sono prepotentemente legate al presente, riportate alla luce dopo aver covato sotto le ceneri della distanza per anni. Anche se apparentemente tutti sembrano sul viale del tramonto, adatti a una casa di riposo per anziani, in realtà ricordano tutto (perfino il modello e la marca di un’automobile venduta anni prima) e sembra che non vogliano lasciare nulla in sospeso.

Bruce Dern e June Squibb in NebraskaLa sceneggiatura di Bob Nelson è in realtà un gioiellino pieno di personaggi ottimamente costruiti su cui svetta la Kate di June Squibb che in (relativamente) poche scene si impone come mattatrice della situazione, prendendo le decisioni come solo le donne sanno fare e scavalcando sia il marito sia il figlio. Ma nessun personaggio è lasciato a se stesso: tutte le storie sono ben raccontate e tutte hanno la loro importanza nell’economia del racconto.

Bruce Dern in NebraskaIl regista di Sideways ci regala una commedia in cui si ride poco, ma si sorride parecchio e ci si intenerisce davanti alla decadenza di Woody; ci regala una storia dal sapore dolceamaro, dove il passato (e forse il presente) degli uomini è scandito dall’alcol («non che ci fosse molto altro da fare, in paese») e la salvezza non è legata ai soldi ma alla solidità dei rapporti personali troppo spesso lasciati andare alla deriva; una storia ambientata tra il Montana e il Nebraska, due stati poco frequentati dal cinema che però vengono lasciati spesso sullo sfondo per non personalizzare troppo la storia ma universalizzarla quando più possibile.

Vicino al Lynch di Una storia vera, Nebraska è un film quasi europeo per ritmo e stile. Non un film da classificare tra gli imperdibili, ma comunque un ottimo prodotto che riesce a non annoiare nonostante il ritmo placido, e a rendersi interessante nonostante la storia semplice.


La locandina di NebraskaTitolo: Nebraska (Id.)
Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: Bob Nelson
Fotografia: Phedon Papamichael
Interpreti: Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacy Keach, Mary Louise Wilson, Rance Howard, Tim Driscoll, Devin Ratray, Angela McEwan, Glendora Stitt, Elizabeth Moore, Kevin Kunkel, Dennis McCoig, Ronald Vosta
Nazionalità: USA, 2013
Durata: 2h. 01′


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Attualmente c'è 1 commento a questo articolo:

  1. skumkyman ha detto:

    Il mio preferito tra i nominati dello scorso anno per un semplice motivo: la discrasia tra il tono della narrazione e la forza dei messaggi che trasmette. Sicuramente morbido, ma anche profondamente fiero nella forza espressiva.
    È un invito a tornare nelle periferie delle nostre vite scontate , dell nostre città affollate e dei nostri ideali rassicuranti per recuperare quei gesti, quelle persone, quei paesaggi e quelle illusioni che hanno permesso di arrivare lí dove ci troviamo ora. Come un ideale passaggio di testimone tra ciò che credevamo di essere e ciò che siamo, tra l’America della Ford e quella della Microsoft: qualcuno la chiama evoluzione, altri memoria storica… forse tutto ciò di cui abbiamo bisogno è ancora lì, sepolto sotto la polvere del Nebraska.

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