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Soundtrack: Hellboy di Benjamin Wallfisch

17 febbraio 2020 Soundtrack 0 Commenti
Hellboy

Tommaso Lega, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½

Benjamin Wallfisch, già coinvolto nella colonna sonora di “Blade Runner 2049” e dei due capitoli di “It”, realizza per il nuovo film dedicato a Hellboy una partitura aggressiva e prorompente, eccessiva e a tratti scanzonata. Una partitura che procede secondo tradizione pur donandole nuova linfa…


Per l’Hellboy di Neil Marshall le musiche originali sono state affidate al compositore britannico Benjamin Wallfisch, che negli ultimi anni ha lasciato il segno su pellicole decisamente importanti a livello di richiamo mediatico, come Blade Runner 2049, Shazam! e i due capitoli di It.

La tracklist si apre con “Big Red” e, a parte il “sottilissimo” richiamo del titolo al protagonista, chiara, anzi limpida, è la direzione musicale e il tono che il compositore ha deciso di affidare allo score: aggressivo, prorompente, eccessivo, forse scanzonato (in fondo la pellicola, pur nella sua violenza gratuita, è dannatamente leggera) e volutamente candido nel genere e nello stile perché, più che musica da film, nel complesso, il CD sembra uno strumentale hard rock, con evidenti influenze elettroniche, in particolare dal dubstep. Si può dire che nello scheletro è insita la volontà di procedere secondo tradizione, ma nei muscoli e, ancor più nella pelle, cioè la parte più visibile, in questo caso udibile, è evidente l’intenzione di dare una nuova linfa vitale attingendo a piene mani nella modernità.

Già dalla seconda traccia, “Psychic Migraine”, la convivenza di queste due anime è ben esposta; quattro note ribattute di piano, pochi secondi melodici di violoncello, una voce femminile e un secondo dopo tutto viene sommerso sotto un’onda di suoni taglienti e pesanti. E così via, il gioco si ripete per l’intero minutaggio del brano, tra momenti di respiro orchestrale e frenesia strumentale. Nella stessa direzione procede anche il brano che segue, “Grugach”. Dopo una prima parte energica e incisiva arrivano a dare ordine, se così si può dire, ottavi ribattuti dai contrabbassi sui quali si inseriscono in concomitanza graffianti sedicesimi degli archi e note piene, lunghe e rotonde degli ottoni in un brevissimo crescendo finale interrotto sul nascere.

“You Call Us Monsters” non ascoltatela mai poco prima di addormentarvi, potreste sobbalzare improvvisamente appena prima di cadere nel sonno. Il primo minuto abbondante ha come centro focale una ritmica base in loop su cui si muove qualcosa di indefinito. Entrano in scena delle bellissime arcate di contrabbasso, morbide e avvolgenti (a tratti sembrano voci umane e infatti, poco più tardi, quando faranno ritorno, il compositore le affiancherà a una voce femminile, in contrapposizione al loro registro grave) che lasceranno il posto a momenti di silenzio interrotti da improvvise esplosioni sonore. “Baba Yaga” è il primo brano con una sua identità ben precisa. E’ reale e tangibile il riferimento al suddetto personaggio, antagonista del nostro “diavoletto”. Il commento musicale sottolinea efficacemente la sua entrata in scena, oscura e sinistra, la vera minaccia del film.

Arrivati esattamente a metà del lavoro di Wallfisch, lo spirito più classico prende il sopravvento. Le chitarre elettriche dure e rigide, l’elettronica e la ritmica pesante lasciano spazio ad ampi momenti orchestrali. Sono solamente due, le sezioni strumentali presenti: gli archi, prevalentemente nel registro grave, e gli ottoni, presenti e incisivi, con le loro sonorità squillanti, ma allo stesso tempo “maledettamente” avvolgenti. Niente legni, nessun senso di morbidezza o di leggerezza. Rigidità e mistero ricoprono, come nebbia fitta, le tracce “A New Eden” e “Destroyer of All Things”. Il finale di quest’ultimo interrompe a tutti gli effetti questa sorta di intermezzo e senza troppi preamboli ci riporta di forza all’interno di uno spirito più “hell” con il pezzo “Cathedral Fight”, esplicito riferimento allo scontro finale del film.

I tre brani che concludono la OST rappresentano anche i tre passaggi fondamentali della vicenda narrata. In particolare viene sottolineato il percorso interiore del protagonista intorno alle domande tradizionalmente esistenziali: Chi siamo? Da dove veniamo? Quale è il nostro posto nel mondo?
“Anung Un Rama” è la natura primordiale del personaggio, le sue origini. “This Isn’t You” rappresenta quella linea sottile su cui il gigante rosso cammina costantemente in bilico: da un lato la perpetua ricerca della verità sulla sua storia e il suo passato, dall’altro l’essere che è diventato, un detective di un’agenzia segreta che difende il mondo dalle forze paranormali del male, cresciuto in un mondo che però non accetta appieno la sua vera natura, in continuo conflitto tra un destino segnato e la ricerca di un vero io. “Hellboy” è l’approdo, la decisione finale, la presa di coscienza, la resa dei conti.

Sconcertante è la scelta di chiudere il CD con la versione in spagnolo di “Rock You Like a Hurricane” degli Scorpions. Se dal punto di vista musicale si riscontra una perfetta continuità, incomprensibile è la scelta dell’adattamento iberico.


La copertina del CDTitolo: Hellboy (Id.)

Compositore: Benjamin Wallfisch

Etichetta: Sony Classical, 2019

Numero dei brani: 12

Durata: 49′


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