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Soundtrack: "The Hateful Eight" di Ennio Morricone

11 gennaio 2016 Soundtrack 1 Commento
The Hateful Eight

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * * *

A quasi 88 anni Ennio Morricone trova la voglia e l’energia per reinventarsi, componendo per l’ottavo film di Quentin Tarantino una partitura di sconvolgente modernità; uno score dai colori cupissimi, apocalittici, infernali che da ora in poi diventa imprescindibile nella storia dei rapporti tra Morricone e il western…


Era ora, dirà qualcuno. Era ora che Quentin Tarantino smettesse di saccheggiare impunemente interi repertori di musica per film italiana “di genere” nei suoi soundtrack (buon ultimo, Django Unchained), secondo un criterio a metà fra la citazione e la compilation di un fan, e seguisse la strada della committenza di una musica originale. E quale occasione migliore per mettere finalmente insieme l’enfant terrible di Hollywood con il compositore in cima alla sua lista di preferenze (già autore di un pezzo originale proprio per Django Unchained)? Un tandem sfiorato in altre occasioni ma qui finalmente realizzatosi grazie all’incredibile disponibilità (psicologica, prima ancora che pratica), del quasi 88enne Maestro: il quale per la bisogna torna ad accostarsi dopo decenni a un genere, il western, che mezzo secolo fa gli ha dato fama e riconoscimenti ma dal quale, nelle fasi successive, ha sempre preferito distaccarsi con determinazione.
Diciamo subito, allora, che è bene scordarsi in The Hateful Eight di tutti gli stereotipi nazionalpopolari della musica da “spaghetti western” (usiamo il termine non a caso nella sua accezione spregiativa) a suo tempo inventati da Morricone e sui quali – per mutuare una celebre metafora di Massimo Mila a proposito di Stravinskij – decine di patetici imitatori si sono schiantati nel corso dei decenni. Questa è una partitura di sconvolgente modernità, di aggressiva, violenta, quasi repellente incandescenza, che ci riporta al Morricone più sperimentale e agguerrito sul fronte dell’innovazione armonica e timbrica: verrebbe da definirla una partitura giovanile, che non ha nulla – ovviamente, visto il contesto filmico – del lirismo delicato e memorialistico della contemporanea En mai fais ce qu’il te plaît, ma testimonia semmai l’incredibile, plasmabile duttilità inventiva di un maestro nel quale la ricerca, il coraggio, la capacità di rinnovarsi continuamente non hanno conosciuto – in quasi sessant’anni di carriera – il minimo cedimento.

The Hateful Eight è uno score dai colori cupissimi, apocalittici, infernali (non è un caso che vi confluiscano frammenti non utilizzati dello score per La Cosa di John Carpenter), che si annoda ossessivamente intorno a un tema formato da un gruppo cromatico di note (si-do-re-re diesis) circolarmente, ipnoticamente ripetute in una serie di variazioni ritmiche. La versione integrale di “L’ultima diligenza di Red Rock”, ad esempio, sceglie il ritmo di marcia su un pedale sovracuto di do contrapposto al borbottio sinistro dei fagotti, in una progressione che ingloba lentamente elementi noti nella ripartizione strumentale morriconiana (i violini agitati, il coro abbaiante) ma in modalità del tutto nuove e inquietanti. L’Ouverture riprende il gruppetto succitato affidandolo allo spettrale disegno dei violini raddoppiato dalla celesta, ripetuto in “Narratore letterario” sempre con il contraltare cavernoso dei fagotti sino a una serie di dissonanti tremoli in crescendo dei violini, creando così un clima di tensione insopportabile; è una visione notturna, inesorabile, senza appello quella che Morricone trasmette, esasperando di proposito i connotati estremi e ultraviolenti dell’universo tarantiniano in una direzione fatalistica, quasi metafisica.
Il maestro insomma coglie pienamente l’aspetto horror del contesto e ne dà una chiave sonora spietata, dark, attraverso un’orchestrazione misteriosa e scelte di scrittura di temeraria avanguardia. La lunghissima (oltre dodici minuti) “Neve”, ad esempio, ne è un manifesto: riprendendo il materiale di “L’ultima diligenza di Red Rock” Morricone da un lato lo alleggerisce dei suoi aspetti più funerei, dall’altro lo rivitalizza con l’utilizzo lampeggiante degli archi e l’orizzontale, gelido decorso della melodia principale. Sembra quasi che il maestro, nel tornare al western, abbia voluto esasperare le componenti anticonvenzionali e grottesche delle sue partiture per Leone in una forma rabbiosamente disumanizzata, quasi astratta, come ad esempio nel disturbante, caotico intreccio dei fiati e degli archi in “Sui cavalli”, tipico manifesto del Morricone più moderno e bellicoso, o nel completo rifiuto della tonalità di “Raggi di sole sulla montagna”, nel quale gli arabeschi fluttuanti dei legni disegnano un orizzonte inquieto e solo apparentemente rasserenato.

Il versante horror della partitura si accentua in “Neve (#2)”, che spezzetta il tema iniziale e portante in frammenti decontestualizzati, mentre “I quattro passeggeri” riprende la struttura del brano d’apertura, col ritmo di marcia scandito sommessamente dalla percussione e dai pizzicati. Anche la presenza di elementi strumentali ben noti nella tavolozza morriconiana (vibrafono, xilofono, percussioni varie), soprattutto nei suoi western, vengono qui sospesi e distorti in una dimensione antinaturalistica esasperata, come accade in “La musica prima del massacro” o in “Sangue neve”, che sembrano versioni fantasmatiche e da incubo di Per qualche dollaro in più. Altra pagina di sbalorditiva novità strutturale è “L’inferno bianco” nelle sue due versioni, dove pulsa incessantemente un disegno fratturato dei legni la cui scompostezza rimanda ai tempi delle improvvisazioni di Nuova Consonanza (un’esperienza che non ha mai mancato di lasciare traccia nella poetica cinematografica di Morricone). I violini riprendono poi il tema conduttore in “Sangue e neve” ma solo per dilatarne ulteriormente la valenza tragica, che riaffiora prepotente anche in “Neve (#3)”, stavolta però senza scossoni ritmici ma con una pacatezza luttuosa, dove sul pedale in do dei bassi il clarinetto leva la sua nenia basata sul tema ma molto rallentata.
Tira aria di famiglia anche in “La lettera di Lincoln” (come non evocare la musica militare de Il buono, il brutto, il cattivo?), che rappresenta forse l’unica oasi romantico-sentimentale dello score: una tromba lontana, strumento tante volte evocativo nelle partiture del maestro, alza un lamento solenne e sconsolato, quasi un epicedio; anche se lo sberleffo finale è “La puntura della morte”, meno di mezzo minuto su un do tenuto dagli archi in crescendo a terminare con un tremolo bruscamente interrotto.

Rimane naturalmente qualcosa, in questo soundtrack, del gusto di Tarantino per il patchwork: lo testimoniano nell’album (che contiene anche, fastidiosamente, parti di dialogo) presenze come quella degli White Stripes (“Apple blossom”) o di Roy Orbison (“There won’t be many coming home”), e persino di quel David Hess, con la sua dolce “Now you’re all alone”, attore-cantautore che qualcuno ricorderà nel ruolo dell’allucinante capobanda Krug Stillo nel cult maledetto d’esordio di Wes Craven L’ultima casa a sinistra di cui scrisse anche le musiche. Ma il ruolo centrale rimane quello di Morricone, anche e soprattutto per aver saputo e voluto – quando qualunque altro compositore avrebbe legittimamente potuto vivere di rendita e rifugiarsi nel proprio altissimo mestiere – ancora una volta rinnovarsi, introducendo in canoni stilistici consolidati elementi di fortissima, perentoria avanguardia che non sono soltanto utili al film ma fanno di questa partitura un capitolo da qui in avanti imprescindibile nella pur lunga storia dei rapporti fra il musicista e un genere nel quale ha dato il meglio di sé.


La copertina del CD di The Hateful EightTitolo: The Hateful Eight (Id.)

Compositore: Ennio Morrione

Etichetta: Decca, 2015

Numero dei brani: 28

Durata: 72′ 14”


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Attualmente c'è 1 commento a questo articolo:

  1. […] proprio di Morricone (da Kill Bill a Django). C’è chi ha criticato i collage tarantiniani, a metà fra una citazione e la compilation di un fan, ma sarebbe come non riconoscere il suo tratto distintivo: la folle passione per la cultura […]

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