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Dietro l'Abbraccio del Serpente - Incontro con Ciro Guerra

25 marzo 2016 Interviste 2 Commenti
El abrazo de la serpiente

Cartagena, 7 Marzo 2016

Con il suo El abrazo de la serpiente, Ciro Guerra è stato il primo regista colombiano nominato a un Oscar per miglior film in lingua straniera, diventando il simbolo dell’acclamata nuova primavera del cinema colombiano. CineFile l’ha incontrato durante il 56mo Festival Internazionale del Cinema di Cartagena….


Presentato al Festival di Cannes nel 2015 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, dove ha vinto il premio Art Cinéma, El abrazo de la serpiente ha fatto da startiacque per il cinema colombiano, che nell’ultimo anno ha ottenuto importanti riconoscimenti internazionali (vedasi su tutti Un mondo fragile di César Augusto Acevedo, vincitore della Caméra d’Or proprio a Cannes 2015). Ecco come il regista Ciro Guerra ne spiega il successo.

Il regista Ciro GuerraQuesto tuo ultimo lavoro racconta una storia che il pubblico colombiano conosce bene: l’incontro tra due civiltà e le violenze subite dalle comunità indigene sopravvissute al colonialismo bianco. Eppure El abrazo de la serpiente ha saputo emozionare tanto il pubblico del tuo paese che quello internazionale. Come ti spieghi questa empatia?
Credo che parte del successo abbia a che vedere con un senso di smarrimento che ha colto la cosiddetta “Società Occidentale”, e con la nostra perdita di spiritualità. La cosmogonia e il senso del Sacro di certe comunità indigene del mio paese non affascinano solo il pubblico colombiano ma tutte quelle persone che, come me, non riescono a identificarsi in un mondo fondato esclusivamente sul materialismo, e devono per forza alimentarsi di storie e situazioni che peschino dall’irrazionale, dallo spirituale. Sento che molta gente sta cercando di ritornare a questa spiritualità, e forse questo ha reso El abrazo de la serpiente un film di così grande successo, capace di parlare a tanta gente così diversa.

Il film è stato girato nel cuore della foresta amazzonica colombiana, scelta che ti ha permesso di approfittare di una scenografia naturale mozzafiato, ma che avrà anche comportato difficoltà d’ogni tipo…
Sì, anche se le difficoltà non erano solo legate all’ambiente impervio nel quale abbiamo girato, ma anche e soprattutto a questioni di budget. Avevamo a disposizione solo sette settimane per filmare e, cosa ancora più preoccupante, i nostri fondi ci permettevano un massimo di due riprese per scena. Perciò ogni ripresa richiedeva un livello di concentrazione assoluto: non potevamo sbagliare assolutamente niente, perché una volta conclusi i lavori era chiaro a tutti che non saremmo mai potuti tornare indietro a filmare di nuovo.

El abrazo de la serpiente ha dei riferimenti cinematografici ben specifici. Penso a Fitzcarraldo, Aguirre, allo stesso Apocalypse Now. Quali sono i film che ti hanno ispirato di più durante la scrittura e realizzazione del tuo ultimo lavoro?
È vero: il film ha dei modelli importanti alle spalle, ma ho cercato di fare in modo che non si adagiasse su scene e situazioni già viste. In generale cerco sempre di fare in modo che i miei film non si rifacciano a modelli o a categorie predefinite, preferisco che cerchino di stabilire un grado di empatia con il pubblico andando al di là dei modelli cinematografici cui la gente si è abituata. Ho come la sensazione che molti dei film che si fanno oggi siano eccessivamente calcolati, tanto da risultare freddi. Ecco, con El abrazo de la serpiente ho cercato di evitare questa tendenza, e sviluppare qualcosa di nuovo senza per forza ripetere uno stile e dei modelli già visti. Per esempio la scena della chiesa e del “profeta” cristiano impazzito non è un omaggio a Conrad, ma qualcosa che volevo brillasse di una luce propria. Il personaggio del profeta si costruì sulla base di un paradosso, come avviene nella maggior parte dei miei film: volevo sviluppare la sua caratterizzazione basandomi sull’ambiguità, e sulla possibile relazione, che esiste tra il cannibalismo e il concetto del “mangiare il corpo di Cristo” che sta alla base della religione cristiana.

Una scena di El abrazo de la serpienteNel film la figura della donna è quasi completamente assente. Perché?
Il fatto è che nei racconti degli esploratori e antropologi su cui ci siamo basati per la scrittura de El abrazo… la presenza femminile è quasi inesistente. Personalmente mi sembra che a volte certi film includano figure femminili solo per fare in modo che il protagonista maschile abbia qualcuno da sedurre e conquistare. Non volevo che El abrazo… cadesse nella stessa trappola,ì e introducesse una o più donne solo per rispettare i modelli patriarcali di altre pellicole. Con tutto che secondo la cosmogonia delle comunità indigene con le quali abbiamo lavorato, la Foresta e la Terra sono entità femminili, dal momento che lavorare la terra è un lavoro che spetta alle donne. Così ho cercato di trasformare la giungla in un personaggio, e tratteggiarlo come una presenza femminile, anche per cercare così di rendere giustizia all’universo indigeno.

Parlando di giustizia e della relazione con le comunità indigene, com’è stata la relazione tra la troupe e le popolazioni con le quali avete lavorato?
Non è stata un’impresa facile. Per girare il film nel cuore dell’Amazzonia abbiamo dovuto ottenere il permesso del Governo e delle comunità indigene locali. E ottenere il beneplacito degli indigeni è difficilissimo. Molti altri registi hanno cercato di girare nelle regioni che hanno fatto da cornice a El Abrazo…, ma a nessuno prima di noi era stato concesso il permesso. Per le comunità indigene l’onestà è fondamentale, così una volta arrivati sul posto ci hanno chiesto perché volevamo fare questo tipo di film, dicendoci di prenderci del tempo per riflettere sulla nostra risposta. Quando abbiamo spiegato cosa volevamo fare e perché, ci hanno pensato a lungo e alla fine hanno accettato. Solo allora mi sono reso conto che il film avrebbe potuto funzionare, perché aveva saputo conquistare una certa legittimità tra coloro che ne sarebbero diventati i protagonisti. Una delle cose più importanti, per me, era fare in modo che il progetto non recasse danno alle popolazioni locali. All’inizio avevamo identificato una tribù che non aveva avuto grandi contatti con la nostra cultura, ma ci fu subito chiaro che la nostra presenza avrebbe potuto esserle deleteria. Era una comunità che non capiva il concetto di gerarchia, di lavoro, e non aveva mai usato denaro, così abbiamo deciso di lavorare con una comunità più abituata alla presenza di stranieri, la comunità indigena di Santa Marta. Ricordo che fin dall’inizio ci fu un grande clamore attorno al film e alla troupe, ma c’era un giovane che non voleva assolutamente che gli facessimo foto. Dopo un po’ siamo riusciti a parlargli e gli abbiamo spiegato l’idea alla base del nostro progetto, e alla fine della chiacchierata mi sono reso conto che avevamo trovato il nostro protagonista. Gli abbiamo chiesto se volesse unirsi al progetto, e ha accettato. E’ diventato Karamakate, il giovane indio che ai primi del Novecento guiderà un esploratore tedesco alla ricerca di una pianta proibita e di un popolo scomparso.

Nilbio Torres in El abrazo de la serpienteCom’è stato lavorare con una comunità così lontana dalla nostra?
Ovviamente si trattava di attori non professionisti, e la cosa ha implicato una serie di rischi che forse con un altro cast avremmo potuto evitare. Ma volevo assolutamente che gli attori fossero persone delle comunità delle quali El abrazo… avrebbe parlato. Va detto che le comunità indigene ci hanno fatto filmare solo quello che ritenevano giusto fosse documentato in una pellicola. Per esempio ci hanno proibito tassativamente di usare i nomi reali delle piante che menzioniamo nel film. In quanto alla sceneggiatura, dal momento che era scritta in spagnolo, l’abbiamo presentata alla comunità di modo che ci aiutasse a tradurla nella loro lingua, cosa che ha finito per cambiare sensibilmente il testo di partenza. Nella lingua nativa con cui interagiscono i due esploratori tedeschi e Karamakate la parola “amico” non esiste e ci si riferisce invece a “il mio altro braccio”, così come non esiste la parola “risveglio”, che si indica con lo stesso nome che si usa per l’organo riproduttivo femminile. Mi sembrava imprescindibile fare in modo che la cosmogonia delle popolazioni con cui stavamo lavorando non soffrisse per il nostro film.

Come hanno reagito queste comunità una volta che hai mostrato loro il film?
Conclusi i lavori abbiamo mostrato El Abrazo… alle comunità con le quali avevamo lavorato. Ricordo di una volta in cui abbiamo organizzato una proiezione per 600 persone, e ne sono arrivate più di 1.000. Alcuni di loro avevano camminato per chilometri pur di partecipare all’evento. E quando la pellicola è terminata tra le grida di giubilo della gente, ci hanno chiesto di mostrarla di nuovo. E così abbiamo fatto: l’abbiamo mostrata due volte di fila. Ricordo che alla fine di una proiezione nel dipartimento del Guainía alcune persone delle comunità indigene locali ci hanno ringraziato per aver parlato delle violenze che avevano sofferto nella regione per mano dei missionari. Il tema degli abusi inflitti dal cristianesimo era un vero e proprio tabù, e mi piace pensare che il film abbia risvegliato le coscienze delle vittime e aperto nuovi spazi di discussione per superare i traumi subiti.

El abrazo de la serpiente è stato un grandissimo successo, sia per il cinema colombiano che per la tua carriera di regista…
È vero, ma una volta che la tua pellicola finisce, una volta che è pronta per uscire nelle sale, smette di essere una cosa solo tua, e devi imparare a lasciare che cresca da sola. El abrazo de la serpiente è stato il film più difficile che abbia mai fatto, e averlo concluso è stato il premio più grande di tutti. Poi, con o senza nomination agli Oscar, una pellicola non cambia. Quello che invece sento che sta cambiando profondamente è il panorama del cinema colombiano. Viviamo un momento storico incredibile, nel quale possiamo fare cose che quindici anni fa erano impensabili. Ma nessun cambio potrà concretizzarsi senza l’appoggio del pubblico del nostro Paese. Adesso che la Colombia si sta conquistando un posto importante nella scena cinematografica mondiale, sento che la vera sfida per noi registi sarà raccontare storie che sappiano emozionare tanto il pubblico straniero quanto quello di casa nostra. Parlare della Colombia, insomma. Senza dimenticarsi mai della gente che anima le nostre storie.


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. […] Ma quali sono i motivi reconditi della fascinazione estrema che El abrazo de la serpiente film ha liberato nel pubblico internazionale? Lo spiega forse definitivamente Ciro Guerra in una intervista: […]

  2. Vito ha detto:

    Sono stupito da tutta questa bellezza incontaminata,la storia invece mi insegna a credere alle tradizioni che si tramandano,la conoscenza attraverso il vivere e sperimentare il vero contatto con la natura e amare tutto quello che ci circonda,e non questo che vogliono farvi credere che sia lo sviluppo e l’emancipazione.In questa pellicola praticamente sarebbe il mio ideale di vita quello che ho sentito mentre vedevo questa forza che mi si rivoltava,bellissima mi sono immedesimato nell’ultimo esemplare di rispetto e amante della terra nel vero senso della parola,sono sconvolto e piacevolmente soddisfatto da quest’area di mistero che è la vera vita da vivere.Grazie per tutto questo.

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