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"Hero" di Zhang Yimou

8 ottobre 2004 Recensioni 5 Commenti
Hero

Eagle Pictures, 8 Ottobre 2004 – Soverchiante

III secolo a.C. La Cina è divisa in sette regni in lotta fra loro, uno di questi sta per prendere il sopravvento, ma il suo Re deve fronteggiare il continuo pericolo di attentati da parte dei nemici. È per questo che riceve a palazzo un misterioso guerriero che si fa vanto di aver sconfitto i più agguerriti attentatori…


Jet Li in HeroNonostante siano passati due anni dalla sua realizzazione, si è sempre saputo che prima o poi Hero l’avremmo visto. Il regista Zhang Yimou è un nome importantissimo e ben conosciuto al di fuori della Cina, da cui all’inizio degli anni 90 emerse anche al pubblico occidentale insieme con Chen Kaige. Sue sono infatti opere molto note al pubblico occidentale, Lanterne rosse soprattutto ma anche Non uno di meno e il recente La strada verso casa. Con Hero assistiamo a una svolta. Il regista decide di confrontarsi apertamente con il wuxiapian, e per farlo riunisce un cast composto dalle più grandi (ed esportabili) stelle disponibili: Maggie Cheung, Tony Leung, la rampante Zhang Ziyi e Jet Li. Si tratta della più dispendiosa produzione cinese di sempre, e l’atmosfera da grandeur è ostentata ai massimi livelli.

Zhang Ziyi in HeroZhang Yimou rielabora la più classica ambientazione dell’epos cinese incrociando piani temporali diversi. Il principale è quello che vede il confronto tra il Re e lo Straniero. Nel rievocare lo scontro con gli altri combattenti, i due si sfidano nello scoprire diversi livelli di verità, disposti su vari flashback, che vanno a comporre la successione narrativa del film. È evidente il richiamo al Rashomon di Kurosawa (di cui Zhang ammette senza problemi la fascinazione, e anzi la rivendica).
Una scena di HeroLa stessa storia viene dunque ruotata come un prisma, viene raccontata e ri-raccontata fino a generare un accumulo di segni e significati che vengono sottolineati da quella che è la più precisa scelta stilistica del film: l’uso di colori diversi che vanno a marchiare ogni rievocazione in modo massiccio, e istituiscono quindi legami di senso ben precisi. Non come negli esempi più noti al grande pubblico (il pluricitato Traffic) dove la marchiatura sta nel filtro dell’occhio della cinepresa, qui la caratterizzazione cromatica è dentro, fino a ricoprire essa stessa un ruolo attivo, cercando l’oggetto e non la sua rappresentazione.
Tony Leung e Maggie Cheung in HeroRosso, blu, bianco, verde: sono gli indicatori che segmentano il film e chiudono ogni sequenza in suo universo. Tale scelta è il fulcro del film, sia in positivo sia in negativo, tanto è soverchiante, annichilente nel senso più assoluto. La storia vi è sottomessa, e tale strapotere visivo lascia stupefatti o disgustati. La fotografia è opera di Christopher Doyle, grandissimo collaboratore di Wong Kar-wai, che qui assume il controllo assoluto. Ogni elemento della scena viene trasfigurato e rielaborato nell’ossessione pittorica, che rende i duelli, le cavalcate e i paesaggi parti di un tutto stordente.

Jet Li in una scena di HeroEd è questo il probabile limite di Hero. Le stesse limpide barriere che il film continuamente si pone al suo interno rischiano di riflettersi anche all’esterno, sull’occhio dello spettatore. C’è un solco tra l’occhio che guarda e la materia guardata, che viene scavato dalla stessa magnificenza delle immagini e che rischia di ottundere la percezione, di non accendere il pathos. L’altra impressione è che il voler estremizzare ogni elemento filmico e narrativo abbia anche lo scopo di renderlo al tempo stesso caratteristico e globalizzato. Esasperare le differenze per rendere nette le peculiarità, essere riconoscibile. Del resto, le accuse di aver confezionato un film da esportazione esclusivamente commerciale sono vecchie quanto il film e non sono certo contraddette dall’ampio dispendio di denaro e talento, profusi a larghe mani.

Maggie Cheung in HeroVolendo ignorare (o superare) tutto questo, però, si può godere di un’opera che cattura senza compromessi. La poetica del film è del tutto esplicita ed è nella forma e nel significato un inno all’Arte. È l’Arte che si pone in continuo raffronto con il “mestiere delle armi”, che ne costituisce bilanciamento e controparte, fino a generare una fusione mitica. Arte in diverse forme: «Bella calligrafia» dice il “senzanome” ammirato dall’opera pittorica del suo avversario. «Bel gioco di spade» gli risponde l’altro, e la distanza tra i loro sguardi è riempita dalla visione del prodigio artistico, in diverse sue manifestazioni. Altrove è la musica: come l’arte della spada, essa diventa pura espressione di sé, di un moto interiore che priva il combattimento della sua componente realistica e violenta, fino a giungere al momento più alto in cui si combatte nella mente, senza muoversi.


La locandina di HeroTitolo: Hero (Yin Xiong)
Regia: Zhang Yimou
Sceneggiatura: Li Feng, Wang Bing, Zhang Yimou
Fotografia: Christopher Doyle
Interpreti: Jet Li, Tony Leung Chiu Wai, Maggie Cheung, Zhang Ziyi, Daoming Chen, Donnie Yen, Liu Zhong Yuan, Zheng Tia Yong, Yan Qin, Chang Xiao Yang, Zhan Ya Kun, Ma Wen Hua, Jin Ming, Xu Kuang Hua, Wang Shou Xin, Hei Zi, Cao Hua, Li Lei
Nazionalità: Cina, 2002
Durata: 1h. 36′


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Attualmente ci sono 5 commenti a questo articolo:

  1. Mickey Rourke ha detto:

    Lo trovo abbastanza monotono, noioso anche se la ricostruzione storica della scenografia è perfetta. Solo il primo combattimento lo trovo interessante e la musica abbastanza bella.
    Comunque non è un bel film, forse è diventato un film celebre perché è Quentin Tarantino ad averlo prodotto.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Non è prodotto da Questin Tarantino, questo film. Tarantino ha solo fatto da tramite tra i produttori cinesi e il distributore statunitense, non ha avuto nulla a che fare con la realizzazione del film.

  3. Mickey Rourke ha detto:

    Ah, allora si che è un altro paio di maniche…

  4. Riccardo ( ex Mickey Rourke ) ha detto:

    Oggi ho rivisto Hero e devo dire che non è un brutto film.
    Va soltanto ascoltato con attenzione.
    La prima volta può sembrare noioso ma se lo guardi la seconda già capisci quali ruoli hanno i tre flashback.
    Il primo è la menzogna di Senza Nome per inganare il re.
    Il secondo è il punto di vista del re sulla storia.
    Il terzo è la storia reale.
    è un bellissimo film d’azione.
    Credo che non mi sia piaciuto la prima volta perché c’è molta filosofia cinese in questo film ed essa e sconosciuta al mondo occidentale, ma già dopo due o tre volte che lo rivedi, lo apprezzi meglio.
    Bisogna solo guardarlo con gli occhi di un cinese, ma in senso figurato.
    Credo che abbia fatto così anche Tarantino prima di sponsorizzarlo e anche la critica prima di assegnargli la candidatura all’oscar per miglior film straniero.

  5. Plissken ha detto:

    Ri-passato in TV ieri sera. Anzitutto vorrei complimentarmi con il Tocci per la recensione, molto bella.

    Il film l’ho guardato tre-quattro volte, ed ogni volta vi scorgo qualche “valore aggiunto”. E’ verissimo che sovente le “limpide barriere” e le “estremizzazioni” possono recar disturbo allo spettatore (forse di più a noi occidentali?) ma come specificato in recensione, una volta entrati nel meccanismo si intuisce come non siano inserite a titolo gratuito o con sola valenza estetica ma come siano struttura portante e rendano comprensibli molte sfaccettature.

    Volendo essere pignoli, l’unica nota dolente potrEBBE essere l’ipotetica ricerca della “magnificenza cinese”, presente in più pellicole negli ultimi anni, ma il condizionale in tal caso credo sia d’obbligo.

    E’ un film “poetico”, da guardare sicuramente, anche senza amici (peggio per loro). Una sentita nota di merito anche alle splendide musiche del Sig. Tan Dun che amplificano lo struggente altruismo dei protagonisti.

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