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"La città proibita" di Zhang Yimou

21 maggio 2007 Recensioni 0 Commenti
La città proibita

01 Distribution, 25 Maggio 2007 – Rimbombante

Cina, X secolo. Alla vigilia di una festività, fiori dorati riempiono il palazzo imperiale. L’imperatore ritorna a casa con il secondogenito per celebrare le festività con la famiglia, ma visti i rapporti freddi che intercorrono tra lui e la sofferente imperatrice questa sembra soltanto una scusa…


La storia del pensiero occidentale attribuisce grande rilievo alla dialettica fra potere e pazzia, tematica scespiriana ma di forte interesse filosofico e psicoanalitico. Ne troviamo traccia anche nel nuovo film di Zhang Yimou, autore nel pieno di una seconda vita registica dai ritmi serratissimi: non si fa in tempo a tirare il fiato con il piccolo inciso elegiaco di Mille miglia… lontano che subito La città proibita ci riporta all’orgia cromatico-effettistica di Hero e La foresta dei pugnali volanti. La sopraccitata dialettica tra potere e pazzia costituisce la vera e propria cifra del film, la cui immagine simbolo è una tavolata quadrata inscritta in un cerchio, teatro di una familiarità costretta e illusoria quadratura di un cerchio che non esiste. Come in un Re Lear virato al sadico, si mette in scena il rapporto inscindibile tra la fisicità della corona e il suo concetto. La figura del Re è l’estrema incarnazione del potere che, in quanto stadio terminale della volontà umana, priva dell’identità: la sua controparte è il fool, il giullare, che dal suo stato di subalterna indipendenza è portatore di verità. Nel rapporto tra i protagonisti, questa contrapposizione risuona spesso, e si direbbe quasi che Yimou abbia studiato a fondo Lacan prima di scrivere il film; in realtà La città proibita (piatta riduzione del titolo internazionale Curse of the Golden Flower) è un’ibridazione di tematiche universali.

L’ambientazione negli anni della Tarda Dinastia Tang, dal 923 al 936 D.C., è importante in quanto strettamente legata al percorso cinematografico del regista: oltre mille anni separavano Hero da La foresta dei pugnali volanti, un intervallo che conteneva in sé la differenza di poetica tra i due film. L’algida perfezione cinematografica e morale dell’uno lasciava spazio alla turbolenza frammentata dell’altro, riflettendo i cambiamenti imperiali della storia cinese. Un secolo dopo le vicende dei Pugnali Volanti, la situazione è ancor più critica: i conflitti e le lotte di potere si sono acuiti, e La città proibita li trasferisce dal confine al luogo deputato del potere assoluto, il palazzo imperiale dentro cui si svolge interamente la vicenda.

I protagonisti sono i membri di un turbolento quadretto familiare: l’Imperatore (Chow Yun-Fat), la sua consorte in seconde nozze (Gong Li) e i tre figli, di cui il primo figlio di primo letto e diretto erede al trono. Fuori dalle mura si affastellano le congiure, le ribellioni e le faide, ma al loro interno certo non si ride: l’Imperatrice è costretta ad assumere giornalmente un medicinale che pare conduca lentamente alla pazzia, mentre i tre figli, così come il padre, devono guardarsi dai rispettivi demoni. L’asfittico clima di tensione che si crea nei corridoi imperiali, la cui forza cromatica è pari solo alla gravità dei conflitti che racchiudono, non tarderà a produrre effetti devastanti per la famiglia regnante.

Il film mantiene il gusto dell’eccesso scenico cui ormai Yimou ci ha abituati, e però lo incanala in una rigida struttura teatrale (non solo di facciata, come poteva essere nel recente The Banquet): gli intermezzi in cui i servitori annunciano lo scoccare dell’ora, mentre corrono svelti per i corridoi, sembrano scandire gli atti della vicenda e svolgere funzione di coro. Oltre alla caratterizzazione temporale (che sottolinea l’urgenza vibrante della storia) essi provvedono anche a canalizzare i flussi spaziali delle azioni dei personaggi (si veda la particolare attenzione prestata all’esercito di ragazze e alla loro vorticosa presenza a palazzo), bilanciando la staticità attendista dei protagonisti in attesa di rivelare le proprie mosse.
Tutto ciò rappresenta sicuramente un elemento di novità e di crescita rispetto ai film precedenti, come a dimostrare che un’evoluzione di fondo in effetti c’è, e non si sta solo riproponendo sempre lo stesso film (nonostante tutto il resto sia ampiamente già visto, come la grandiosità delle scene di massa e dei combattimenti). Tuttavia i dubbi rimangono, e arrivati alla terza versione della medesima idea di cinema viene da chiedersi se l’effetto finale non ne risulti svilito. Che forse l’inclinazione del governo cinese a supportare epiche rivisitazioni del passato, piuttosto che scottanti testimonianze del presente, abbia qualcosa a che fare con le scelte recenti di Yimou? Anche rifiutando la malizia, nell’aria fin dai tempi di Hero, il gigantesco impianto del regista comincia a mostrare segni di ruggine dietro le sfolgoranti armature dei suoi protagonisti.

Valori aggiunti per La città proibita sono di certo le prove di Chow Yun-Fat e Gong Li. Quest’ultima fa notizia per il ritorno alla collaborazione con un regista di cui è storica musa, peraltro dopo recenti exploit in terra statunitense che ne esaltano la riconoscibilità internazionale. Le sue tipiche espressioni di controllato furore, di regale ma tormentato fascino, la rendono perfetta per il ruolo di un’Imperatrice che è la prima vittima dell’opprimente bisogno di mantenere lo status quo nella Città proibita. Addirittura migliore ci pare Chow Yun-Fat, mitico interprete di un’era del cinema hongkonghese (all’epoca d’oro di John Woo) poi rimasto a metà del guado tra Oriente e Occidente nell’ultimo decennio. Preludio a nuove ribalte mainstream (è anche nel terzo film piratesco di Johnny Depp e lo vedremo presto di nuovo in coppia con Woo), la sua performance di Imperatore è misurata ma di gran classe, fatta di ghigni sornioni e di foga disperata proprio come ai bei vecchi tempi.


Titolo: La Città Proibita (Man cheng jin dai huang jin jia)
Regia: Zhang Yimou
Sceneggiatura: Zhang Yimou
Fotografia: Zhao Xiaoding
Interpreti: Chow Yun-Fat, Gong Li, Jay Chou, Liu Ye, Ni Dahong, Qin Junjie, Li Man, Chen Jin
Nazionalità: Cina, 2006
Durata: 1h. 51′


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