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Soundtrack: "La cosa" di Marco Beltrami

12 dicembre 2011 Soundtrack 28 Commenti
La Cosa

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * *

Per il prequel del remake de La “cosa” da un altro mondo, il compositore newyorchese Marco Beltrami torna ai suoi migliori standard con una partitura per lo più orchestrale, debitrice alla musica di John Carpenter ma estremamente sorprendente…


Di tutti i talenti che l’Italia ha esportato recentemente a Hollywood in materia di musica cinematografica, da Giacchino a Marianelli (senza contare un po’ più indietro oriundi come Harry Manfredini o Joseph LoDuca), Marco Beltrami è stato senz’altro l’apripista più efficace e lucido. In realtà il compositore 43enne, newyorkese di nascita ma italiano per parte di padre, deve questa formazione ad aver compiuto i propri studi con due maestri dell’avanguardia – ciascuno nel proprio campo – come Luigi Nono e Jerry Goldsmith. Il grande maestro veneziano, esploratore ai confini (e oltre) del suono elettronico e di ogni possibile radicalismo, fiero e inaccessibile anche nella propria militanza ideologica marxista, inorridirebbe probabilmente oggi nel sentirsi correlare al musicista della serie Scream o Resident Evil; meno probabilmente Goldsmith, il padre di tutte le avanguardie musicali hollywoodiane, che sapeva quanto laboratorio e quanta ricerca si possano fare da quelle parti proprio all’interno dei generi cinematografici più estremi e adrenalinici.

Non v’è dubbio che Beltrami abbia appreso lavorando con Nono quella padronanza stupefacente, diabolica degli apparati elettronici, e di un’ingegneria e architettura del suono anche orchestrale – applicata con meccanismi di precisione implacabile a livello di montaggio e concatenazione – senza la quale ad esempio gli inestricabili puzzle musicali di Scream e seguiti, con il loro labirintico percorso di tensioni spasmodiche ed esplosioni raggelanti, non avrebbero mai visto la luce. Nondimeno senza le lezioni di Goldsmith dal punto di vista degli assemblaggi timbrici e della gestione degli andamenti ritmici Beltrami non sarebbe divenuto il compositore che oggi è in grado di muoversi con maggior disinvoltura e perentorietà tra le insidie di generi come l’horror o il fantasy, ormai parcellizzati fra remake, sequel e prequel, dove spesso la musica è divenuta generico quanto ingombrante rumore di fondo.
Nel caso presente, appunto, Beltrami “rileva” idealmente il compito che fu già di Dimitri Tiomkin nel 1951 con la straordinaria, violentissima partitura per La “cosa” da un altro mondo di Christian Nyby e (non accreditato ma vero autore) Howard Hawks, dal racconto breve di John W. Campbell e, trentun anni dopo, di Ennio Morricone, che nel remake di John Carpenter subentrò (forse anche dietro pressioni della Universal) al regista stesso nel ruolo di compositore – peraltro con uno score molto “carpenteriano” – che, com’è noto, costituisce uno degli aspetti più rilevanti della personalità creativa del regista statunitense. Il nuovo The Thing è il prequel di quel remake (!), collocandosi idealmente pochi giorni prima degli eventi del film di Carpenter: possiamo udire un riferimento nemmeno tanto vago ai moduli compositivi del regista, in particolare al ritmo elettronico scandito con effetto di riverberi, nella coda dell’iniziale “God’s country music”, ma poi Beltrami non delude minimamente le attese dei propri fan.

Lo score è prevalentemente orchestrale, con un dispiego di forze quasi nucleare, in particolare sul versante di archi e ottoni: l’elettronica – come spesso nel musicista – è un mero rinforzo perlopiù percussionistico, un “effetto”, un mezzo non un fine. La solennità tumultuante e progressiva di “Road to Antarctica”, con l’imponente ed elementare tema principale a salire – una vera “firma” sulla partitura – degli archi e la risposta ululante dei corni, il tutto mai abbandonato un istante dal pulsare instancabile delle percussioni, è già un elemento-chiave per decifrare la poderosa fisionomia di questo lavoro. Il quale peraltro vive di imprevisti e di sbalzi continui, secondo una scuola compositiva che (vedi il caso Giacchino) sembra accomunare molti di questi giovani maestri di radici italiche: “Eye of the survivor”, con i suoi crescendi spaventosi, gli unisoni pervicacemente inseguiti fra ottoni e archi e i glissandi di questi ultimi, ne è un esempio, così come il moto perpetuo di “Meet and greet” sul quale archi e legni staffilano dei disegni perforanti, assecondati dall’urlo degli ottoni. Si trascura troppo spesso la componente più innovativa del comporre di Beltrami, che – esattamente sulla linea goldsmithiana-– ha ormai da tempo abbandonato gli ancoraggi della tonalità intesa come un referente obbligato e lavora piuttosto su interferenze interne fra nuclei tematici, ed anche melodici, precisi, e contesti sonori di infernale, inestricabile magmaticità. Di qui la fascinazione per un sound mai banale, anche nel consapevole utilizzo degli stereotipi (il pedale in sovracuto prima e in registro grave poi degli archi in “Autopsy”, dove gli allucinati glissandi rimandano ad analoghe soluzioni giacchiniane). “Female persuasion”, che inizia con un pizzicato-percosso e riverberato memore di Goldsmith (e dell’Horner di Aliens) ne è un altro deflagratorio esempio, dove all’inizio di un’idea (un ostinato dei bassi, un terrificante glissando all’unisono di ottoni e archi) ne subentra immediatamente un’altra, e poi un’altra ancora, sempre all’interno di una tensione formale e drammaturgica formidabile e attanagliante: è proprio il succitato brano, la cui seconda parte s’incentra malinconicamente e cupamente intorno all’idea tematica portante, a dimostrarlo, nella sua implacabile costruzione algoritmica e leitmotivica.

Sorprendenti sempre – anche – l’accanimento sui contrasti fra masse strumentali contrapposte (ottoni e archi torturati in “Survivors”) e la capacità di Beltrami di rendere il suono “materia” bruta ma costantemente governata (“Open your mouth”): ancora una volta è l’architettura interna dei brani a svelarcelo, come gli accordi sommessi ma premonitori degli archi in “Antarctic Standoff”, che sembrano quasi attendere al varco il tipico e secco soprassalto in fortissimo (l’espediente-base delle partiture di Scream); è il lato più nettamente horror dello score, rintracciabile anche nei guizzanti arabeschi degli archi e nella martellante scansione degli ottoni di “Meating the minds”, dove vanno notati l’adozione di un ritmo sincopato tipicamente goldsmithiano e la sovrapposizione dei piani sonori spesso condotti, e sempre con la tecnica rabbrividente del glissando, ad un incombente unisono, prima che in coda i violini sussurrino ancora il tema portante. Beltrami non rinuncia mai al suo gioco di contrasti dinamici (“Sander sucks at hiding” e “Can’t stand the heat”) fra pianissimi incorporei ed esplosioni telluriche, ancorandosi armonicamente all’alternanza maggiore-minore (“Following Sander’s lead”) come mattone principale dell’edificio drammaturgico: ne deriva una semplicità inversamente proporzionale alle forze poste in campo, perché gli elementi costitutivi di una partitura simile sono tutto sommato primordiali, quasi liberatori anche esecutivamente. Impressionante, in tal senso, il mix tra effetti elettronici e contributo orchestrale di “In the ship”, così come l’abbrivio del fulmineo “Sander bucks”, incalzato da una percussione ritmicamente soffocante, e con gli ottoni chiamati a sforzi inauditi di registro e agilità.

A mo’ di requiem ecco il paesaggio pacificarsi in “The end”, composto adagio per archi con vibranti apparizioni solistiche del cello e sostegno dell’arpa: uno scampolo di neoclassicismo che Beltrami sa regalarci prima del sigillo di “How did you know?”, dove celestiali violini ripropongono il tema principale, preludiando a una sua grandiosa esposizione a piena orchestra ma soprattutto a un suo delicato sviluppo-conclusione in tonalità minore, reso interrogativo e inquietante solo dall’apparire, proprio sul finire, di quell’effetto “vento polare” con cui del resto si era aperto l’album e lo score. Che – va detto – ci restituisce dopo alcuni lavori forse non all’altezza delle sue capacità, tutto il vulcanico e modernissimo talento di un compositore che, come suol dirsi, ha ancora un grande avvenire dietro alle spalle.


La copertina del CD di La CosaTitolo: La Cosa (The Thing)

Compositore: Marco Beltrami

Etichetta: Varèse-Colosseum, 2011

Numero dei brani: ???

Durata: 55′ 31”


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Attualmente ci sono 28 commenti a questo articolo:

  1. Plissken ha detto:

    Ho letto sovente sul “Gazzettino” recensioni cinematografiche a firma di “Roberto Pugliese”: omonimia o… ?

    Comunque, anche se non riesco a comprendere appieno alcuni punti della recensione in quanto privo del necessario “bagaglio tecnico” musicale ne ho colto l’essenza di natura positiva: meglio così.

    Sono impaziente di visionare la pellicola e vedere se sarà anche solo in parte all’altezza della colonna sonora, o meglio, di appurare se quest’ultima sarà in grado di apportare benefici al lavoro del regista (temo ne possa aver bisogno…).

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Il film è particolarmente brutto, e secondo me la colonna sonora ne esce male per il modo in cui è utilizzata.

  3. Plissken ha detto:

    Mannaggia me lo sentivo io…

    Pensavo già potesse essere un film mediocre, ma “particolarmente brutto” mi induce davvero a risparmiare i 9 euro del biglietto: certo di questi tempi fanno comodo anche in tasca, ma avrei preferito sperderli per divertirmi un po’.

    Pazienza. 🙁

  4. WarezSan ha detto:

    Il film di Carpenter mi tormanta ancora.
    Ma del resto, con un regista cosi’, con un fotografo cosi’ e con un compositore cosi’, non farne un capolavoro credo fosse impossibile.

    Carpenter ha sfruttato perfettamente i meccanismi mentali raccontati da H.P.L. in “le montagne della follia”.

    Farne un prequel, e’ come buttarsi in un crepacciofacendo bungee con una stringa da scarpe come elastico. 😐

  5. Plissken ha detto:

    Concordo strapienamente sul fatto che “la Cosa” di Carpenter sia di livello eccelso. Mi sarebbe piaciuto riscoprire almeno in parte le emozioni che ebbi quando ne presi visione, ma già guardando i trailer di questo prequel presenti in rete non ho potuto far altro che rassegnarmi al peggio. Il colpo finale l’ha dato Cassani…

    Comunque secondo me il problema è che questi progetti vengono affidati a persone non all’altezza: ad esempio chi avrebbe mai immaginato che dopo “Alien” qualcuno sarebbe riuscito a fare un sequel straordinario come ha fatto Cameron? E’ che egli è stato, al di là del suo indubbio talento, astuto: ha cambiato il “registro” della pellicola, creando così un film diverso dal primo ma al tempo stesso collegato, evitando così un confronto probabilmente perso in partenza.

    In questo caso invece mi sa che siamo di fronte alla classica desolante bruttacopia, un po’ come per “PredatorS”.

  6. Anonimo ha detto:

    Visto il film. Bhe, diciamo che le reazioni sono contrastanti. Dico subito che ovviamente non è all’altezza del primo (ma vabbè me lo aspettavo) e ne esce un po’ come un normale film horror al di sopra degli standard. C’è però da dire che tolta una prima parte sprecata, che poteva (e doveva) essere usata per caratterizzare meglio i personaggi, e la sequenza nell’astronave, non necessaria e troppo fantascientifica, rispetto al contesto horror, ha comunque, secondo me, una parte centrale valida, sufficiente, non eccelsa e sublime come il film dell’82, ma comunque guardabile, con una trovata (quella delle otturazioni) che mi ha piacevolmente sorpreso, dato che mi sarei aspettato più una “scopiazzatura” dell’originale, rispetto al metodo per scovare la Cosa, oltre al fatto di riuscire a ricreare il clima di sospetto e mancanza di sicurezza che caratterizzava l’altro film. E forse proprio in questo sta il limite maggiore del film e la complessiva non sua riuscita: non si capisce mai davvero quanto voglia essere un remake e quanto voglia essere un prequel. Io alla fine opterei più per la seconda opzione, ma allora le varie scene (alcune in carta carbone con il film di Carpenter) sono davvero troppo simili, per essere relegate a semplici omaggi. Sono convinto che se il film avesse rischiato di più, usando più coraggio, ne sarebbe uscito un prodotto decisamente migliore. Tirando le somme, sì, è un mezzo fallimento come avevo prospettato, però ecco credevo di assistere più ad un film ridicolo, mentre invece mi ritrovo a parlare di un film, che secondo la mia opinione, poteva venir fuori come un buon film. Peccato.

    Albe, a te cosa non ha convinto, soprattutto? 😀

    Dopo la prima parte più “seriosa”, però devo dire che la mia parte più “ultras”, più da semplice spettatore acritico, ha proprio esultato per i vari particolari che vanno ad incastrarsi con l’altro film!

    Poi Mary Elizabeth Winstead: ok, forse vale lo stesso discorso per il film, forse sono io che mi aspettavo di assistere al disastro, ma… non ha fatto proprio proprio schifo, o no? Bah, forse dipende dal fatto che mi sono sciolto, sentendola canticchiare “Who can’t it be now?” all’inizio e ho perso tutto il senso critico ogni volta che appariva in una scena…

  7. Mirko ha detto:

    Ho dimenticato di mettere il nome nel commento precedente >.< pardon!

  8. Alberto Cassani ha detto:

    Mirko, sono d’accordissimo nel dire che la trovata che citi è una cosa geniale (l’ho anche scritto nella recensione, ma tu ovviamente non puoi saperlo), il problema è che è l’unica. Non sono invece d’accordo sul fatto che il film metta angoscia riguardo l’identità della Cosa, secondo me i personaggi sono talmente poco delineati che non ti importa davvero del loro destino. Tra l’altro gli effetti speciali sono tutti digitali e fatti male, con punte davvero ridicole e con un’insistenza esagerata nel voler mostrare che stona davvero col tipo di storia che avrebbe avuto senso raccontare. Vero che in più di un momento si ricalca perfettamente il film di Carpenter (che è il secondo, non il primo: c’è prima Hawks), ma l’insieme l’ho trovato assolutamente mediocre e a ben guardare spesso risibile. In questo senso ho davvero riso di gusto quando la protagonista dopo la storia delle otturazioni disarma l’uomo col fucile e li mette tutti al muro, e l’uomo dice una cosa del tipo “questa è tosta, adesso è lei che comanda”: neanche cinque secondi dopo si scatena l’inferno e va tutto in vacca. La Winstead è un paio di film (l’altro è “Scott Pilgrim”) in cui è molto meno insopportabile del solito, ma di certo non la si può definire brava…

  9. Mirko ha detto:

    Ecco, mi serviva un’altra opinione, perché in effetti riguardo la portata emotiva (l’angoscia in questo caso) ero in dubbio se si trattase di qualcosa legato più al personale, dato che al film dell’82 sono molto legato e il coinvolgimento forse è stato per i “reflussi” legati a quella pellicola (che come dici giustamente non è la prima, ma non so perché il film di Hawks mi viene sempre da considerarlo, erroneamente, come se fosse un’altra… Cosa).

    Riguardo gli effetti speciali, avevo pensato di parlarne, ma poi ho dimenticato! Sì, non sono granché e, nonostante i trent’anni di vantaggio, sembrano più “falsi” e di sicuro non sono strabilianti, come lo furono quelli precedenti, nel contesto degli anni ottanta (ancora oggi reggono alla grande gli anni!). E poi sì, forse si è mostrato troppo l’alieno. L’apetto che mi aveva più affascinato del film di Carpenter era proprio l’aura sfuggente che lo circondava, come un’ombra senza forma, per intenderci, qui invece appare un po’ troppo, come dire, “definita” come creatura (anche per questo motivo, non ho apprezzato la scena dell’astronave che sembra mostrare troppo dell’alieno.

    Riguardo la Winstead, sì, non intendevo definirla brava, quanto proteggerla da critiche troppo forti 😀 magari passa di qui, legge, apprezza e trovo il modo di fissare un appuntamento… xD

    Ah, poi chiedo scusa per il commento e la discussione “fuori posto”, dato che qui si parla della colonna sonora di Beltrami!

  10. Alberto Cassani ha detto:

    Ma in attesa della pubblicazione della recensione va bene anche qui… Tra l’altro qualche settimana fa riflettevo insieme ad un collega su quanto il pubblico di oggi sia in grado di ricordare e quindi paragonare “La Cosa” di Carpenter con questa nuova e siamo dell’idea che, pur essendo sicuramente più visto rispetto a “Fog”, il film originale l’hanno visto relativamente pochi adolescenti. Che quindi non è escluso che caschino nel giochino dell’identità dell’alieno.

  11. Mirko ha detto:

    Sì sì, ma infatti per carità, l’alieno rimane comunque affascinante, dato il “background” che ha e l’intero film, se lo mettiamo nella categoria degli horror odierni, in quanto a livello si colloca in alto, soprattutto grazie alle basi che appartengono ad un maestro del cinema… in un certo senso, avrei comunque voluto vederlo, senza conoscere il film di Carpenter, per vedere se mi sarebbe piaciuto oppure no… magari non avendo apprezzato quello, non avrei neanche considerato questo odierno… chissà…

    Tra l’altro devo ancora leggere il racconto fantascientifico da cui è tratta la storia! Non so se MacReady fosse presente già lì o è stata un’invenzione della sceneggiatura di Carpenter (o forse del film di Hawks?). Cavolo che personaggio! 😀 Un vero duro, l’unico che poteva fronteggiare la Cosa…

  12. Alberto Cassani ha detto:

    Sì, MacReady era già presente nel racconto di Campbell (manca invece nel film di Hawks, che non ha tenuto quasi nulla del racconto). Anzi, Kurt Russell è anche molto somigliante all'”uomo di bronzo” descritto da Campbell, riesce anche ad avere la stessa presenza fisica imponente pur essendo più basso del personaggio. Carpenter ha soprattutto limitato il numero di personaggi dalla quarantina originali alla decina scarsa del film e ha potuto sfruttare l’aspetto visivo del cinema per spiegare meglio alcuni passaggi (l’esame del sangue, ad esempo) ma è rimasto piuttosto fedele allo scritto originale,. Che è tutt’altro che un capolavoro, ma estremamente visionario e molto avanti rispetto ai tempi, come molte cose di Campbell.
    Anzi, mi hai fatto venire in mente che io un un articolo sul racconto ancora inedito, magari lo pubblico.

  13. Mirko ha detto:

    Sì, infatti Russell mi è piaciuto molto nel film, nonostante l’interpretazione possa sembrare sottotono, quasi fissa, ma invece finisce per caratterizzare bene il personaggio. E poi la prima scena in cui compare, la partita a scacchi con Mac… mi strappa un sorriso ogni volta.

    Ma guarda Albe, se lo pubblichi non potresti che farmi piacere! Sarei molto curioso di leggerlo!

  14. Alberto Cassani ha detto:

    Domani lo leggo e vediamo se ha senso anche a sé stante, essendo stato concepito all’interno di un progetto ppiù impegnativo a proposito de “La cosa”.

  15. Mirko ha detto:

    Dato che ho inserito la mia mail in ogni commento, Albe potrei chiederti se puoi inviarmi privatamente l’intero progetto? Mi interesserebbe parecchio sapere più particolari possibili sull’argomento 😀 se però è qualcosa di personale, lascia stare, non fa niente eh! 😀

  16. Alberto Cassani ha detto:

    Più che una cosa personale, è una cosa incompleta (altrimenti non sarebbe inedita). Le cose leggibili e pubblicabili (forse, devo appunto rileggerle) sono un articolo sul racconto e uno sul film di Hawks, il resto sono solo cose abbozzate. Se questi due brani sono validi li pubblico qui, visto che all’uscita dell’ultimo film mancano ancora più di tre mesi, però ti faccio l’omaggio della mia traduzione della presentazione di McReady nel racconto:
    “Staccandosi dall’azzurro fumo delle pareti, la figura di McReady sembrava uscita da uno di quei miti ormai dimenticati, una massiccia statua di bronzo dotata di vita, e capace di camminare. Fece sentire tutto il suo metro e novantatré mentre si avvicinava al tavolo e, con quella sua caratteristica occhiata verso l’alto come per assicurarsi di aver sufficiente spazio sotto le travi del soffitto, si rialzò completamente. La rozza, vistosa, giacca a vento arancione che ancora aveva indosso, sulla sua figura massiccia in qualche modo non sembrava fuori posto. Anche qui, oltre un metro al di sotto dei trascinanti venti che fischiavano sulle distese antartiche sopra il soffitto, il freddo del continente di ghiaccio riusciva ad arrivare, e dava un significato all’asprezza di quell’uomo. Era un uomo di bronzo – con quella sua folta barba rossiccia e i capelli dello stesso colore. Anche quelle sue mani nodose che afferravano e rilasciavano, afferravano e rilasciavano il tavolo, erano di bronzo. Persino i suoi profondi occhi, incassati sotto le folte sopracciglia, erano di bronzo. La resistenza al tempo tipica del metallo era evidente nei rocciosi lineamenti del suo viso, e nel tono caldo della sua potente voce.”

  17. Mirko ha detto:

    Wow! 😀 Beh, hai ragione, anche se nel racconto sembra più un golem… 😀 però forse l’essere rude in superficie, nel film son riusciti a portarlo nel carattere e nel comportamento… stavo giusto ripensando a quando cominciano a fare delle supposizioni su ciò che è avvenuto al campo norvegese. “Magari quella cosa si è svegliata, pure di malumore… io non lo so… ma che volete da me?!” 😀

  18. Plissken ha detto:

    Mannaggia, che bel dibattito mi sono perso.

    Anche io ho visto il film in lingua originale (mi riferisco a quello nuovo) ma aspettavo la recensione per immettere dei commenti. Visto che the Director dice che questa sede è adatta, mi unisco anche io alla discussione giusto per due chiacchiere.

    Anzitutto complimenti a Mirko per l’analisi della pellicola che tutto sommato mi sentirei nel mio piccolo di avallare. Dopo aver visto i trailer (che come sempre si rivelano fuorvianti) ed il lapidario commento del Cassani, pensavo di assistere ad un film veramente insulso ma tutto sommato qualcosa di positivo c’è, nonostante appunto le giuste critiche mosse in questa sede.
    Va specificato che al pari di Mirko anch’io subisco quella sorta di “reflusso” carpenteriano di bei tempi andati, e che scorgendo nella pellicola i già descritti “copia-incolla” dal film dell’82, forse tendo ad essere ben meno obiettivo di quanto lo possa essere l’Alberto.

    Ho trovato anch’io assai valida l’idea delle otturazioni e tutto sommato anche dell’orecchino nella scena finale ed ho ravvisato nella pellicola un certo sforzo da parte del regista di ricreare l’atmosfera carpenteriana anche se in effetti credo fosse impossibile o quasi riuscirci appieno.

    Ciò che manca rispetto al sublime predecessore è secondo me una giusta scelta dei “tempi”: nel suo film Carpenter è riuscito a dare ai personaggi la giusta valenza mediante un ritmo sincopato, che dopo la frenesia dei momenti in cui “la cosa” si manifesta lascia spazio ad uno svolgimento più lento, atto a mettere in risalto le peculiarità dei membri della base. Questo film forse tende (come molte pellicole attuali) a correre un po’ troppo, a dare troppo risalto all’azione sortendo così un effetto opposto, di generale “appiattimento”.

    Vi sono comunque alcuni punti che, presi a sé, ho trovato ben svolti. Prendiamo la scena descritta dal Cassani: giuro che ho riso anche io, c’è davvero un effetto comico non voluto. Ma riuscendo a scindere “l’inferno” dalla scena precedente ed analizzandolo a sé, mi sembra che il regista abbia fatto un buon lavoro: è davvero un “inferno”, mi è sembrato “girato” con una certa perizia e competenza. Così altre scene, che prese da sole denotano una certa abilità del regista che non mi sarei aspettato. Peccato che all’atto del montaggio vengano vanificati la maggior parte degli sforzi in tal senso.

    Riguardo gli effetti speciali, li ho trovati nella norma: né mediocri né ottimi. Colgo l’occasione per dire che parecchi cinefili e Critici danno enorme rilevanza agli aspetti legati all’eccelso lavoro di Bottin e Winston (che ha fatto la sua parte…) nel film di Carpenter: se da un lato ritengo sia giusto dare il giusto merito a questi due maghi degli effetti speciali, da un altro sono contrariato dal fatto che per molti la valenza del film vada ricercata principalmente negli SFX. Ad esempio io non ebbi la fortuna di vedere “La Cosa” al cinema, ma in TV, trasmesso in seconda serata. Nonostante l’orario, il film subì numerosi e pesanti tagli sulle scene più forti: ebbene, io non ne ebbi percezione alcuna, il film mi colpì moltissimo e ne rimasi estasiato. La costruzione del clima “paranoico” e di tensione attuata dal regista è straordinaria, e funziona perfino senza le scene più violente: è questo a mio avviso il grande merito di Carpenter.

    Vabbè, comunque in my opinion questo prequel nel complesso è guardabile, sicuramente meglio del “PredatorS” di Antal a cui avevo fatto riferimento in un ipotetico confronto: non che ci voglia molto per carità, ma è già qualcosa, di questi tempi…

  19. Alberto Cassani ha detto:

    A dir la verità credo sia giusto riconoscere agli effetti speciali un buon merito nella riuscita del film di Carpenter. E non credo che l’esempio della versione mutilata regga perché una cosa è non vedere il mostro (come per buona parte del film di Hawks), un’altra è vedere un pezzo di gomma colorata. E un’altra ancora un cartone animato disegnato con MS Paint. Se le creature di Rob Bottin (che sul set non convincevano neppure Carpenter) non fossero state efficaci, Carpenter si sarebbe potuto impegnare finché voleva per creare l’atmosfera giusta ma la risposta dello spettatore sarebbe stata una risata invece che un brivido.

  20. Plissken ha detto:

    Certo, sarebbe stata una risata perché in presenza di effetti speciali scadenti: in assenza di essi, ci sarebbe stato ben poco da ridere vista l’angosciante atmosfera magistralmente attuata da Carpenter: a questo mi riferivo.

    Attenzione poi: con mutilata non intendevo in toto: il mostro si vedeva eccome, ma sono state eliminate alcune scene: la testa nell’atto di staccarsi, le braccia del dottore all’atto dell’amputazione e così via, ovvero i dettagli più “gore”.

    Ribadisco: sinceramente, tanto di cappello a Bottin e Winston, ma -e non per loro demerito- la parte inerente gli effetti speciali in “la Cosa” è per forza di cose quella oggigiorno più debole: quello che rende il film degno della “stellina” è ben altro, secondo me.

  21. Mirko ha detto:

    Eh, beh, uno che si chiama Plissken deve per forza partecipare ad un dibattito del genere! 😀 benvenuto nel dialogo!

    Oggi, in biblioteca ho rimediato il Castoro riguardante Carpenter e dando una letta alla sezione riguardante La Cosa, ho avuto modo di leggere quello che mi è sembrato il soggetto del film, un riassunto della pellicola, e sono rimasto a bocca aperta, dopo aver letto del finale, come viene descritto in quelle righe: infatti sul manuale è citata la scena finale, con MacReady e Childs, e a tal riguardo, nonostante ammetta che il dubbio c’è, sottolinea come il sospetto che Childs fosse la cosa è molto forte, dato che il suo respiro non è più visibile, come vapore acqueo. Un respiro quindi poco umano e molto alieno! Tornato a casa, ho messo per l’appunto la scena e me farebbe piacere che la guardaste pure voi, dato che sembra proprio confermare il particolare sottointeso in quel soggetto, che però non sono sicuro fosse proprio di Carpenter stesso, o scritto da Liberti, il curatore del manuale. Albe, se sai qualcosa, illuminami, perché sarebbe un particolare che non avevo mai considerato!

    Sempre su quel libricino (ma non potevano sprecarsi a scrivere di più?!) ho letto di come esista una versione con inclusa una voce fuori campo, che descrive alcuni passaggi, oltre a commentare lo stesso finale, dicendo cheMacReady ha poi effettivamente sconfitto la Cosa. E lo stesso Liberti sottolinea di come quelle poche parole siano una mazzata per l’intero film e il suo significato, dato che lo svuota in un sol colpo del messaggio pessimista carpenteriano… certi produttori andrebbero processati sulla pubblica piazza, come nel medioevo!

  22. Alberto Cassani ha detto:

    Innanzi tutto Fabrizio Liberti ha sempre ragione. Va comunque detto che anche il respiro di Keith David in realtà è visibile, solo lo è in misura molto minore rispetto a quello di Russell, ma la cosa potrebbe dipendere semplicemente dal fatto che MacReady ha appena avuto un incontro ravvicinato con la Cosa mentre Blair è sicuramente meno agitato e provato. Poi c’è da sottolineare come la versione con la voce fuori campo sia opera di Sid Sheinberg, che era a capo della Universal ma non aveva partecipato realmente alla realizzazione del film e che ha lavorato senza l’autorizzazione di Carpenter. Io questa versione non l’ho vista, ma da quello che avevo capito è in qualche modo paragonabile ai commenti dei DVD fatti dai critici, anche se in questo caso il commento è presentato come facente parte del film. E a proposito di commento, Carpenter e Russell nel DVD spiegano come in realtà loro stessi hanno discusso fino alla fine delle riprese su quale fosse realmente il finale (oltre che quale fosse il modo migliore per chiudere il film). Russell dice “l’unica cosa che sappiamo, a questo punto del film, è che MacReady non è la Cosa”, e Carpenter risponde “be’, in realtà potrebbe esserlo…”

  23. Mirko ha detto:

    Beh, guarda Albe, lo sto rivedendo anche in questo momento e posso assicurarti che il respiro di Keith David è visibile fino alla sua penultima inquadratura, in misura minore, perché più riposato come dici giustamente tu. Ma guarda bene quando lui prende la bottiglia dalle mani di MacReady… l’ultima sua inquadratura, per intenderci… lui espira, prima di bere e non esce niente! Non che mi faccia piacere attaccarmi ai particolari e fare il puntiglioso, però se ciò consolidasse quello che ho letto, sarebbe una piccola rivoluzione personale! xD

    Cavolo, ora che lo leggo, vorrei davvero sentire il commento audio di quei due! E comunque sì, alla fin fine uno dei due può benissimo essere la Cosa… in fondo Carpenter ci aveva già provato durante il film a farci dubitare di MacReady… 😀 io non ci ero cascato, però il dubbio era fatto bene! E lo spettatore in quella parte della storia si sente proprio come uno della spedizione antartica! 😀

  24. Alberto Cassani ha detto:

    Il commento è molto interessante, ma meno riuscito di quello spettacolare di “Grosso guaio a Chinatown”, dove probabilmente erano ubriachi già prima di iniziare.

  25. Mirko ha detto:

    Aahahahaah addirittura? xD Ma perché il commento è spiritoso o del tutto strampalato?

  26. Alberto Cassani ha detto:

    Perche passano il tempo a prendersi per il culo e ogni tanto si ricordano di guardare il film.

  27. Plissken ha detto:

    Grazie Mirko per il “benvenuto”, mi ha fatto molto piacere intromettermi nella discussione 😀

    In verità ho cominciato a frequentare detto sito proprio perché in una recensione Cassani esternò come “la Cosa” sia uno dei suoi film preferiti… cribbio pensai, un sito diretto da un Critico che stava per fare la tesi su Carpenter deve essere per forza massiccio. 😀

    Noto che anche tu la sai lunga in tema… complimenti per la preparazione.

    Debbo dire che nonostante le ripetute visioni de “La Cosa” (come già dissi, una volta all’anno in religioso silenzio) non ho mai analizzato in dettaglio il particolare inerente il respiro: in verità il finale mi piace talmente che nemmeno mi è mai sorto il dubbio potesse essere diverso da come è “comunemente” inteso, e mi piace appunto pensare che la Cosa potrebbe essere l’uno o l’altro, nessuno o addirittura inconsapevolmente entrambi, chissà….

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