Soundtrack: "Oldboy"/"Il commissario Torrente" di Roque Baños
Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore – * * * * – * * *
Roque Baños è un compositore formidabile, agguerrito e dotatissimo. La sua musica è ancora tutta da esplorare e la sua carriera internazionale è appena agli inizi, e addentrarsi nella sua produzione costituisce una sorpresa continua, e non solo perché molti suoi lavori sono inediti fuori dalla Spagna…
Per chi ha ancora nelle orecchie l’apocalisse sinfonica da ultima spiaggia di Evil Dead, addentrarsi nella produzione di Roque Baños costituisce una sorpresa continua, anche perché molta della sua produzione cinemusicale è inedita fuori dalla Spagna. A tale proposito segnaliamo almeno l’antologia “Recopilatorio”, edita dall’indipendente madrilena Meliam Music nel 2007, e – per la medesima edichetta – il doppio CD più DVD “Roque Baños en concierto” pubblicato nel 2009 e registrato dal vivo durante l’esibizione del compositore al Gran Teatro di Cordoba il 13 settembre 2008.
Forse nel panorama europeo il 45enne compositore catalano è colui che oggi tiene più di tutti alta la bandiera di una certa tradizione “classica” della musica per film, intesa come rigoroso attaccamento all’orchestra (fatte salve diramazioni elettroniche peraltro molto limitate sempre strettamente funzionali ai contesti) e piena consapevolezza dell’eredità lasciata dai grandi esponenti della Golden Era come Herrmann, Ròzsa, Waxman… Tuttavia non v’è in lui alcun atteggiamento pedissequamente nostalgico o imitatorio. Baños possiede una propria poetica autonoma, multiforme e imprevedibile, allargata a numerosi stili musicali, improntata a un inesauribile fantasismo strumentale, saldamente ancorata all’utilizzo del Leitmotif e dotata di un pathos, di una capacità evocativa ed emozionale raramente riscontrabili nella produzione contemporanea. Baños è il compositore dei sentimenti forti, dei conflitti aperti e insolubili, tragici, e delle esplosioni emotive insostenibili. Ma è anche un musicista spalancato ai più vari generi, e assistito da un eclettismo diabolico, quasi feroce. Lo dimostrano queste sue due recenti fatiche, distanziate da un breve periodo temporale ma da anni luce come tipologia cinematografica.
Il remake che Spike Lee ha tratto dall’Oldboy del coreano Park Chan-wook (avvolto nella partitura sperimentale e disturbante del suo abituale musicista Jo Jeong-wook, pubblicata in CD dalla Emi coreana), segna anche uno scostamento radicale del regista afroamericano dai suoi abituali soundtrack jazzistici e dal sodalizio con Terence Blanchard: l’opzione del sound appare infatti squisitamente europea e decisamente sinfonica, in linea con l’ispirazione prevalente del compositore. Peraltro è ben vero che sonorità “aliene”, incorporee e minacciosamente irreali appaiono sin dall’incipit dei “Titles/One man’s journey”, che sembra quasi rifarsi a certo Badalamenti nell’accostamento fra la ritmica, il tocco della chitarra e gli archi: ma già l’agglomerato di questi ultimi in “Alcohol haze”, il denso fraseggio dei celli, il flautando tenuto dei violini, l’obliqua, presaga melodia principale discendente ci addentrano pienamente nell’universo visionario e allarmante del musicista spagnolo: un universo attraversato da ombre incombenti e presenze oscure, ben evidenti nell’allucinato “Sabotage”, con i flautandi dei violini sul lavorìo strisciante degli archi, in puro climax horror, e nel ripiegato, dolentissimo “Dear daughter”, con il tema principale affidato alla pastosa luttuosità del violoncello solo. Sul pulsare delle percussioni, “I will find you” alza una progressione sontuosa, schiacciante di ottoni e violini fino al registro acuto, quasi in una metamorfosi zimmeriana alla Inception, mentre i registri timbrici si mescolano di nuovo, fra acustico ed elettronico, in “20 years after”, con vigorosissime accentazioni ritmiche, e gli archi alzano frasi strascicate a gruppi di due, dai violini ai celli e bassi, secondo una schema molto prossimo al modello herrmanniano, in “Hello Joseph”, che si sviluppa affidando agli archi il tema conduttore mentre una celesta rintocca spaesata in sottofondo. Tema che, segmentato e tormentato, ritorna in “Closing in” su un lavoro spasmodico di archi e percussione che si scatena infine in un “agitato” puntellato dalle frasi malevole e violente di tromboni e corni.
Baños ricorre anche, se è il caso, all’attrezzatura della horror music a lui ben nota, come ad esempio in “Mano a mano”, dove peraltro occhieggiano anche movenze rock-metal su un’inestricabile matassa di archi. “Fight” è adrenalina percussiva pura, chiusa da sospiri immobili degli archi, mentre in “Don’t hurt her” è il pianoforte, solitario e lirico, a esporre il Leitmotif severamente accompagnato dagli archi in una veste concertistica di toccante mestizia, anche questa tipica del lato più melodrammatico e “patetico” del compositore. Nuovi chiaroscuri degli archi, con i bassi ad accennare il tema e i violini a ipnotizzare il registro acuto, in “Proposition” che poi sfocia in un ostinato ritmico contrappuntato da sinistri e aggressivi ottoni.
““Past unraveled” e “Showdown” occupano da soli venti minuti di partitura quasi equamente suddivisi, e costituiscono uno spaccato illuminante dello spirito di questo score: i violini iniziano soavemente il primo porgendo il tema principale in una veste dapprima luminosamente limpida, poi più tesa. Piano e archi si allungano poi in un effluvio romantico dispiegato a piena voce, bruscamente interrotto da un pianissimo che prelude a furiose dissonanze ed effetti acustici rabbrividenti e a un sommesso, irrequieto disegno dei violini che termina in un “la” tenuto da cui si diparte nuovamente, trasognato, il tema principale prima di spegnersi nell’eco degli archi e su un riverbero elettronico. “Showdown” parte con lunghi accordi degli archi sul picchettare della percussione, per lasciare rapidamente il passo all’imponenza degli ottoni, drammaticamente stagliati sul moto perpetuo dei violini e il violento ribattere dell’orchestra; una spettrale, filiforme frase dei violini sugli armonici brilla lividamente sul mormorio degli archi per trasformarsi in una lunare tessitura melodica e dirottarsi prima in lugubri, informi accordi semoventi poi ancora in quelle tetre, lunghe frasi a coppie così memori dello Herrmann di Psyco, spegnendosi in un minaccioso tremolo in crescendo. Quasi una marcia funebre scandita con pacata inesorabilità appare “Bitter sweet revenge”, che nella progressione soffocante degli archi esprime tutta la febbrile concitazione e la travolgente potenza del comporre di Baños, capace di elevare la temperatura drammatica a livelli incandescenti: si ascolti qui la disperata, straziante perorazione finale dell’orchestra d’archi, repentinamente troncata per lasciare spazio a timidi, spauriti tocchi pianistici. E infine “Destiny”, nuovo, faticoso percorso a salire degli archi che sbocca in una pagina più ritmicamente definita e squadrata, ma lasciata egualmente ambigua e spiazzante sul piano tonale.
Da un fronte così cupamente drammatico come quello richiesto dal film di Spike Lee alla forsennata parodia “trash” di Torrente 4 il passo, come accennavamo, è molto lungo. Va precisato in premessa che la serie cinematografica, scritta diretta e interpretata dall’attore comico-demenziale madrileno Santiago Segura e dedicata a questo ex poliziotto lercio e osceno, imbecille e alcolista, razzista e sessista, corrotto, sboccato e petomane, ha polverizzato tutti i record d’incassi in patria ed è già oggetto di culto per tutti coloro che venerano la categoria culturale del “trash”, ossia il trionfo simbolico e vendicatore di una volgarità oltraggiosa, conclamata e autoreferenziale, quindi di per se stessa demistificata. Baños è il compositore di elezione della serie sin dal suo primo capitolo del ’98, inedito – come i due seguenti – in Italia, e il problema principale che si è trovato dinanzi è stato quello di rimanere dentro l’alveo della musica “di genere”, o meglio dei numerosi generi vetrioleggiati dal film (poliziesco, spionistico, azione, commedia), facendone esplodere le connotazioni musicali in chiave beffarda ed “eccessiva”. Come, in altre parole, non prendersi sul serio ma facendo molto sul serio. “Un desastre de boda” è in questo emblematico: un virtuosistico assolo di violino, poi uno scatto da banda di strapaese, un movimento convulso dei violini e infine un’apertura rock di chitarre e ottoni non immemore delle musiche alla 007.
Il compositore morde e fugge, tocca ogni stilema e lo abbandona immediatamente alla deriva, come un detrito inutilizzabile, operando così un lavoro molto sofisticato di smascheramento all’interno di un prodotto filmico sicuramente assai meno raffinato. Ma il corto circuito che si crea è devastante, e linguisticamente poderoso, “Torrente preso” è ancora action music scatenata, dalla strumentazione effervescente e pirotecnica, mentre “El lugar del crimen” esibisce connotati da mickeymousing nelle silhouette dei legni sull’arpa, e nel picchettare dei violini sulla percussione: un umorismo acre e contestualizzato, di acido virtuosismo, come si evince anche dalla solenne pomposità marziale di “El tunel del colibri”, che Baños scolpisce fra tamburi militari e ottoni wagneriani, concludendolo con una smagliante citazione del tema di Elmer Bernstein per La grande fuga: una delle molte “ospitate” del soundtrack, che include anche l’Allegretto dal Quintetto op. 163 di Schubert e diverse canzoni pop spagnole, tra cui un paio composte dallo stesso Segura. E proprio Bernstein ritorna, ovviamente, in “La fallida evasion”, variato grottescamente da due flauti su un ritmo di marcia militare, mentre risuona il tronfio tema di Torrente negli ottoni; “La gran escapada”, fra influssi rock e orchestrazione jazzata, sembra quasi rifare il verso a certe partiture anni 70 di Lalo Schifrin o Henry Mancini, laddove evidentemente anche il citazionismo rappresenta per Baños una modalità per sbeffeggiare musicalmente la situazione.
Quasi musica da cartoon della Warner è poi “La Caida de Rin Rin”, dai ritmi incalzanti e tambureggianti e dall’orchestrazione massiccia, rutilante, ribadita in “Casa de Ramirez”, con la riproposta del tema di Torrente dagli ottoni con sordina e la ripetizione del “presto” solistico del violino. Una partitura che – come dire? – non si ferma un secondo, quella di Torrente 4, in una serie continua di invenzioni e di sberleffi compiaciuti, qua e là perfino in modo eccessivo. Le variazioni sul tema del protagonista si fanno saettanti, inafferrabili e adrenaliniche in “La entrega”, con largo uso di ottoni, glissandi di archi, accelerazioni improvvise e dilagante mickeymousing, esplodendo in una sfavillante esposizione del tema principale negli ottoni, quasi “à la manière” di Williams… L’eroica asserzione del tema di Torrente nell’ultimo, omonimo cut, è un biglietto da visita finale molto eloquente: brano chiaramente parodistico, buffamente enfatico nel ritmo e nel sound, quasi il compositore volesse dire “guardate cosa potrei fare se mi ci mettessi sul serio”.
Ma come dicevamo, Roque Baños fa sul serio sempre, anche quando irride gli stereotipi nel momento stesso in cui li porta al massimo sviluppo. La sua produzione è ancora tutta da esplorare, e la sua carriera internazionale appena agli inizi: ovvie dunque le aspettative nei confronti di un compositore formidabile, agguerrito e dotatissimo.
Titolo: OldBoy (Id.)
Compositore: Roque Baños
Etichetta: Varese Sarabande, 2013
Numero dei brani: 17
Durata: 71′ 44”
Titolo: Il commissario Torrente – Il braccio idiota della legge (Torrente 4: Lethal Crisis)
Compositore: Roque Baños
Etichetta: Saimel Ediciones, 2011
Numero dei brani: 14
Durata: 42′ 47”
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