I Festival, le nazioni e le nazionali
Una delle domande più frequenti che si sente nella conferenza stampa di conclusione del Festival di Venezia è “Come mai non avete dato più premi al cinema italiano?” Una delle risposte più frequenti è “Non abbiamo pensato alla nazionalità dei singoli film”. Ma è proprio così? Analizzare i risultati delle ultime 31 edizioni di Venezia, Cannes e Berlino aiuta a capire quanto realmente le giurie tendano a premiare film provenienti dai loro paesi…
«Non credi di poter essere criticato perché tu che vieni dall’America latina hai presieduto una giuria che ha assegnato i due premi più importanti a due film latinoamericani?» è stata la prima domanda posta ad Alfonso Cuarón nella conferenza stampa che ha fatto seguito alla premiazione del Festival di Venezia più freddo dell’ultimo decennio. «Sì, immagino succederà – ha risposto sorridendo il regista di Gravity – ma per convincermi a farlo mi hanno dato un sacco di soldi!»
Il giorno dopo i sorrisi di giurati e giornalisti alla battuta di Cuarón, però, quasi tutti i quotidiani italiani hanno fatto notare questa “coincidenza”. Non poteva quindi non tornare alla memoria l’intervista che il direttore della mostra Alberto Barbera aveva rilasciato al quotidiano La stampa dopo il verdetto di Cannes, pochi mesi prima. Parlando di quanto l’assenza di un giurato italiano potesse aver influito sul verdetto contrario ai tre film italiani in concorso, Barbera aveva infatti dichiarato che «un personaggio di peso e di prestigio di solito riesce a strappare qualcosa. Non facciamo finta che questo elemento non serva.»
Quindi, senza neanche rendersene conto, Barbera aveva ufficializzato ciò che molti sostengono da tempo, ossia che i compromessi tra i vari membri di una giuria portano a verdetti con basi spesso geopolitiche invece che squisitamente cinematografiche, come invece vorrebbe il concetto stesso di Festival di Cinema. Vale allora la pena di analizzare i risultati degli ultimi trent’anni nei tre Festival cinematografici più importanti d’Europa per capire se questi sospetti trovino conferma nei fatti oppure se si tratti solamente di una delle tante “teorie del complotto” che si fanno sempre più numerose ogni anno che passa. Come avete già avuto modo di leggere, fino al 1984 a Venezia c’è stata una giuria quasi esclusivamente italiana e sempre presieduta da un italiano, quindi si può prendere il 1985 come anno di partenza per poter paragonare i tre risultati. Trentuno edizioni offrono certamente una statistica sufficientemente credibile.
Ma diciamo prima due parole sui regolamenti dei tre Festival. Negli anni le regole dei concorsi ufficiali sono ovviamente cambiate molto, e gli stessi premi si sono evoluti e avvicendati. Se infatti a Cannes, in questi trent’anni, l’unica modifica è stata l’introduzione del premio per la sceneggiatura nel 1994 – che ha portato il totale dei premi da 6 a 7 – a Venezia sono esistiti 16 premi ufficiali diversi e a Berlino 17.
Attualmente il regolamento delle tre manifestazioni è però molto simile: il premio principale è affiancato da un Gran Premio e da un altro premio più o meno particolare (Premio Speciale della Giuria a Venezia, Premio della Giuria a Cannes e Premio Alfred Bauer per i contenuti innovativi a Berlino), oltre ai premi per regia, sceneggiatura, attore e attrice. A Venezia c’è poi anche il Premio Marcello Mastroianni («a un giovane attore o attrice emergente») mentre a Berlino c’è l’Orso d’Argento per l’Eccezionale Contributo Artistico («per le categorie fotografia, montaggio, colonna sonora, costumi o scenografie»). L’importanza dei vari premi è diversa da Festival a Festival, ma a conti fatti si premiano le stesse professionalità in tutte e tre le manifestazioni.
Anche le restrizioni date alle giurie nello scegliere i vincitori sono molto simili. In nessuno dei tre Festival, infatti, è possibile assegnare più di un premio allo stesso film, a meno che uno dei premi non sia dato agli attori e l’altro sia diverso da quello più importante. Mentre però a Venezia non possono essere assegnati ex æquo, a Cannes e Berlino se ne può dare al massimo uno (ma a Cannes questo non può essere la Palma d’Oro).
Ma è tutto qui? Nella conferenza stampa di chiusura del Festival di Cannes 2015, Rossy De Palma ha risposto alla domanda di una giornalista italiana dicendo che la giuria era rimasta molto impressionata da Giulia Lazzarini, che interpreta la madre di Nanni Moretti e Margherita Buy nel film del regista romano, ma di non averla presa in considerazione per un premio perché ha un ruolo di supporto invece che da protagonista. Le giurie hanno quindi altre indicazioni, oltre alle poche righe scritte nel regolamento ufficiale? A Venezia hanno ad esempio una definizione più precisa del Premio Mastroianni? E come sono organizzate le votazioni per assegnare i premi?
E’ bastato mandare una mail ai tre uffici stampa per avere maggiori informazioni sulla questione. Christian Jeune, Vice Delegato Generale e Direttore del Dipartimento Film del Festival di Cannes, ha risposto spiegando che
«non c’è alcun documento riguardo al lavoro della giuria. Il giorno prima dell’inaugurazione avviene un incontro in cui spieghiamo loro come funzionerà il loro lavoro e in cui rispondiamo alle loro domande. Per quanto riguarda il fatto che il voto del Presidente di Giuria varrebbe doppio… è una leggenda. Un giurato, un voto (compreso il Presidente). Riguardo ai premi, non esiste alcuna regola.»
L’ufficio stampa della Berlinale, nella persona di Margit Doerner, ha invece segnalato il passo del regolamento in cui si precisa che
«Il Direttore del Festival (o un suo rappresentante autorizzato) assiste alla decisione della Giuria ma non partecipa al voto. Le decisioni della Giuria sono basate sulla maggioranza assoluta, o mancando questa sulla maggioranza relativa nella seconda votazione.»
Precisazione, questa, presente anche nel regolamento di Cannes (in cui però la maggioranza relativa scatta alla terza votazione), e che conferma come non sia necessaria l’unanimità per raggiungere un verdetto. Il regolamento di Venezia, invece, non dà assolutamente alcuna indicazione sul modo in cui dev’essere organizzato il lavoro della giuria. E proprio da Venezia non c’è stata alcuna risposta alla nostra mail…
E quindi, vediamo come queste regole sono state messe in pratica negli ultimi trentun anni.
Alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dal 1985 al 2015 per 7 volte il Leone d’Oro è stato assegnato a un film della stessa nazionalità del Presidente di Giuria (compreso quest’anno, visto che Ti guardo – Desde allá è una coproduzione tra Messico e Venezuela), e per altre 8 a un film il cui paese era rappresentato da un altro membro della giuria, arrivando quindi a poco meno della metà delle edizioni prese in considerazione.
Estendendo poi la ricerca all’intero palmarès, in trentun edizioni sono stati assegnati un totale di 251 premi ufficiali. Di questi, 144 provenivano almeno a livello di coproduzione da una nazione che aveva un rappresentante tra i giurati. In più, nel 2005 i membri della giuria presieduta da Dante Ferretti hanno assegnato tutti e 8 i premi ufficiali a loro connazionali. In totale, il 57,37% dei premi consegnati in questi 31 anni è stato assegnato a connazionali dei giurati.
Se guardiamo invece a cos’è successo nello stesso periodo nell’assolata Costa Azzurra, troviamo cifre ancor più pronunciate, perché per 19 volte i giurati hanno assegnato la Palma d’oro a film provenienti da paesi rappresentati da almeno uno di loro (volendo dar retta ai complottisti, contiamo nel novero anche il premio che Isabelle Huppert ha dato al “suo” Michael Haneke per Il Nastro Bianco nel 2009, una delle 7 volte in cui è successo con il Presidente di Giuria). Considerando invece l’intero palmarès ufficiale, il totale diventa di 140 premi a connazionali su 228 assegnati (addirittura il 61,4%), con in più le edizioni 1986 e 1991 in cui tutti i 6 premi furono assegnati a connazionali dei giurati.
A Berlino, invece, in queste 31 edizioni sono stati assegnati 305 premi, decisamente di più che negli altri due festival. Di questi, 166 sono stati assegnati a film connazionali di almeno un giurato – ossia il 54,4% – quindi una percentuale sensibilmente più bassa rispetto a Cannes e Venezia. Inoltre non è mai successo che tutti i premi fossero assegnai a connazionali dei giurati (ci si andò vicini nel 1990, quando solo il cecoslovacco Allodole sul filo – vincitore dell’Orso d’Oro ex aqueo con Music Box – non aveva connazionali in giuria). Questo ovviamente potrebbe anche dipendere solo dal fatto che avendo più premi da assegnare e non potendoli accumulare sugli stessi titoli, i giurati sono costretti a premiare più film.
Se comunque ci concentriamo solo sull’Orso d’Oro, una sola volta è stato vinto da un connazionale del Presidente di Giuria: nel 1994, quando il produttore inglese Jeremy Thomas lo assegnò a Nel nome del Padre di Jim Sheridan, una coproduzione tra Regno Unito e Repubblica d’Irlanda. Per altre 17 volte, poi, il premio più importante della Berlinale è andato a film provenienti da nazioni rappresentate in giuria.
Ma quindi, possiamo dire che effettivamente i giurati dei Festival del Cinema tengono in considerazione soprattutto la nazionalità di un film invece che la sua riuscita? In realtà no, perché a ben guardare la maggior parte dei giurati che si sono alternati nei tre grandi Festival europei proviene da paesi che o sono quelli ospitanti – e che quindi sono rappresentati in gran numero nel programma ufficiale – o sono tra le industrie cinematografiche più importanti del mondo, quindi ugualmente rappresentate in buon numero.
Dal 1985 al 2015, infatti, a Venezia sono stati presentati 647 film in concorso. Di questi, 359 provenivano da paesi che avevano almeno un rappresentante nazionale in giuria: il 55,59%. A Cannes, su 630 film in concorso 378 avevano connazionali tra i giurati (il 60% tondo). A Berlino invece, 359 film su 673 erano rappresentati in giuria (il 53,34%). Il che vuol dire che lo scarto tra rappresentatività e scelte della giuria è in tutti e tre i casi inferiore al 2%, una differenza davvero minima.
E dunque, quali conclusioni generali si possono tirare? Semplicemente che – singoli casi e invettive degli sconfitti a parte – le giurie tendono sì a premiare propri connazionali, ma soprattutto perché queste sono le nazioni che in larga parte si trovano a dover giudicare. Per avere verdetti meno “appiattiti” geograficamente ci vorrebbe molto più coraggio da parte degli organizzatori nel comporre il programma ufficiale e nel mettere insieme la giuria. È quello che pare stiano provando a fare a Berlino, dove nel 2003 hanno ridotto il numero di giurati a un massimo di 8, dando così maggior peso alla presenza di rappresentanti di nazioni cinematograficamente “piccole” come quelle africane o del nord Europa, la Palestina o la Grecia. Ma siamo sinceri: ve l’immaginate un festival di Venezia con un presidente di giuria guatemalteco che si trova a valutare 5 film africani, tre del Kurdistan, uno islandese e quattro indiani?
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