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Soundtrack: "Lincoln" di John Williams

14 gennaio 2013 Soundtrack 4 Commenti
Dimitri Riccio, 2 Gennaio 2013: * * * * *
In collaborazione con Colonne Sonore

Approfittando della meravigliosa sinfonia composta da John Williams per l’ultimo film di Spielberg, proviamo ad analizzare lo stato in cui versa la musica da film in quel di Hollywood. Oggi ci concentriamo sul lavoro di Williams, per evidenziare il differente approccio che lo caratterizza…


Nel pieno dell’autunno della sua vita, le imponenti foglie che dolcemente si lasciano cadere dall’albero williamsiano sono delicate e mature lezioni di grande musica, che degnamente e vigorosamente celebrano le stagioni andate della sua arte: la briosa, spumeggiante primavera e l’impetuosa, febbrile, indimenticabile estate. La serena pudicizia e il fermo rigore con la quale, nell’arco di un anno appena, Williams ha scritto due delle partiture più inattese e perciò ancor più spiazzanti della sua carriera la dicono lunga sulla caratura artistica di questo compositore sul quale davvero non resta più nulla da dire o da ricordare per certificarne la totale, innegabile grandezza.
E se War Horse è la summa ricapitolativa del Williams più genuinamente romantico, malinconico e spielberghiano, Lincoln è non già, come sarebbe facile pensare, un riassunto magistrale delle sue partiture coplandiane, quanto piuttosto lo zenit di questo stilema: Lincoln è la partitura che fa tabula rasa di quel genere di partiture williamsiane e così Amistad, Rosewood, Nato il 4 di Luglio, Salvate il Soldato Ryan, Il Patriota sembrano ora, alla luce di questo ultimo vero capolavoro, studi e prove varie fatte per potere infine raggiungere la perfezione assoluta di quest’ultima partitura.

Un paio di ascolti frettolosi sono quanto di peggio si possa fare per riuscire a comprendere la grandezza di questo gioiello, e quanto di meglio per poter cassare con un’alzata di sopracciglio questa vera e propria Sinfonia, tale è l’organicità della scrittura (escludendo i tre incidental pieces, corpi estranei prettamente disallineati col resto) che l’ottantenne compositore incastona come un brillante nel già vasto diadema delle sue opere più fulgide. Già, Lincoln è una Sinfonia che travalica i confini della scrittura meramente applicata per approdare a una sfera artistica ben più elevata e pura della musica per film, cosa che Williams è spesso riuscito a ottenere nel corso della sua lunga carriera, ma che qui riesce a portare a vette inesplorate di dedizione per la sintesi tra scrittura commissionata e scrittura concertistica.
Non a caso se si espungono dall’ascolto i tre già citati pieces estranei (“Getting Out The Vote”, “Call To Muster and Battle Cry Of Freedom”, “The Race to The House”) si ottiene un ascolto mai così omogeneo e contemporaneamente sfaccettato e ricolmo delle più fini e sottili sfumature psicologiche.

La Lincoln Symphony entra di diritto nelle grandi Sinfonie della musica colta statunitense, evidenziando con violenza che fare grande, grandissima musica applicata, all’interno di un’industria cinematografica sclerotizzata come quella U.S.A. sarebbe possibilissimo se solo i beoti che dirigono le major non fossero tali. Williams organizza la partitura su un’ossatura a prova di bomba basata su cinque temi primari più una serie di idee rafforzative di secondo piano. Le scelte orchestrali sono rarefatte, cristalline e vedono i formidabili solisti della Chicago Symphony farla da padroni, con il resto della stupefacente (e magnificamente diretta dall’autore) compagine orchestrale a sostenere con grazia e pudore le bellissime frasi musicali scritte dal compositore.

Praticamente tutti i temi principali hanno un incipit basato su tre/quattro note il più delle volte ascendenti, a mo’ di esistenziale punto interrogativo, come a voler simboleggiare le radici comuni di un popolo, quello statunitense, unito nel destino anche se diviso dagli eventi. Dilemma musicale che, come vedremo verrà risolto nel finale dal tema di Lincoln quello chiamato “With Malice Toward None”, un tema di una bellezza unica, rara, ottimista e colmo di pietàs e di gravità, dolcissimo nel suo tentare continuamente di alzarsi in volo senza riuscirci, ma senza recare con sé i contorni malinconici di un fallimento o del rimpianto, quanto piuttosto il rammarico di un uccellino che sta imparando a volare e sa che presto o tardi ci riuscirà.
Il clarinetto che apre “The People’s House” dipinge in pochi secondi un paesaggio nebbioso con una bellissima frase esitante, gli archi lo sostengono con grazia infinita finché un flauto esile e poi l’orchestra tutta raccolgono il tema abbozzato dal clarinetto per farlo divenire un panorama mozzafiato, che si arricchisce man mano di particolari fino a lasciare germogliare un altro tema, nobile e serio contrappuntato in maniera angolare dal suo controtema naturale.
Quasi un minuto di meraviglioso dialogo tra fagotto e clarino dà la luce a un altro dei temi principali della partitura in “The Purpose of the Amendment”, un pezzo che sembra narrare di un genitore che insegna a camminare al suo piccolo bambino, un passo alla volta, con la giusta enfasi su ogni passo orgogliosamente e faticosamente fatto.
“The Blue and The Grey” presenta l’ultimo tema strutturale della partitura, una melodia sempre ed esclusivamente eseguita dal piano, con accenti da spiritual e da canto degli schiavi delle piantagioni di cotone, memore di alcune pagine di William Grant Still, carico di malinconia, ma ottimista e fiero nello sviluppo.

Con questo materiale in tavola John Williams procede nella scrittura della sua Lincoln Symphony variando i suoi temi, aggiungendo episodi corruschi tipo “The Southern Delegation and The Dream” il cui struggente finale spazza quasi via in un soffio l'”Arlington” di JFK, o la grandezza di “Equality Under the Law” dove Williams fa dialogare con una perizia strabiliante il tema di “The American Process” con quello di “The Purpose of the Amendment” sino a sbocciare in un crescendo che chiude il brano con una frase appassionata colma di amore, come una rosa poggiata delicatamente su un cuscino di seta.
“Freedom’s Call” inizia con dei magnifici rintocchi di campana dal vago sapore goldsmithiano che lasciano il posto a una esposizione estasiata per violino e chitarra del tema “With Malice Toward None”, gli archi espandono il panorama illuminando a giorno il brano e lasciando poi spazio, dopo una breve esposizione del tema di “The American Process”, al Leitmotiv di “The Purpose of the Amendment” a cui nel finale gli archi sottovoce regalano un tremolio uscito dritto dritto da E.T. che fa quasi salire le lacrime agli occhi.

Spendiamo ancora volentieri qualche parola sul finale “The Peterson House and Finale”, perché è qui che tutto il genio williamsiano si rivela nel suo totale splendore. Per il primo minuto e mezzo oboe, clarino, flauto e corno si scambiano opinioni malinconiche su alcuni dei temi principali e sembrano cercare un punto fermo, scoraggiati, senza speranza, poi a 1’49”, dopo un breve fiato preso da un oboe ormai senza meta, entrano gli archi più dolci che si possano immaginare e succede un miracolo: nell’esporre il tema di “With Malice Toward None” Williams scambia di posto le prime due note della melodia e… il mondo va a posto. Solo ora ci accorgiamo che il tema è finalmente risolto e che fino ad ora lo avevamo ascoltato in forma interrogativa, non finita. Come a volerci dire che il più delle volte la soluzione, la pace tanto caparbiamente ricercate ai dilemmi, ai problemi, alle contraddizioni di ognuno sono a portata di mano: proprio lì dentro di noi e lo sono sempre state. Williams ci prende per mano e ci fa vedere un nuovo paesaggio oltre l’orizzonte: il sole è caldo, rassicurante e quel tema ci dice che tutto è a posto perché ora tutto è compiuto. Due sole note scambiate di posizione, hanno così tanto da dire. E quindi si può guardare con ottimismo al Finale, dove tutti i temi rispondono all’appello con entusiasmo e sguardo verso il cielo a scrutare un orizzonte dove infine anche gli ultimi, i dimenticati (e il loro tema è l’ultimo a comparire) possono alzare finalmente la testa sempre china e dire: ci sono anch’io, fratello.

Uscendo migliorati e spiritualmente accresciuti dall’ascolto di questo inarrivabile capolavoro ci sentiamo in dovere di ringraziare John Williams per ciò che la sua instancabile vena poetica ci ricorda ogni volta: che se abbiamo avuto una primavera e un’estate belle, piene e operose potremo avere un autunno tiepido carico di maturi frutti profumati. E spingere l’inverno più in là.


Titolo: Lincoln (Id.)

Compositore: John Williams

Etichetta: Sony Classical, 2012

Numero dei brani: 17

Durata: 58′ 33”


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Attualmente ci sono 4 commenti a questo articolo:

  1. perso ha detto:

    Ma vorrei proprio sapere dov’è la musica in questo film.. Voglio essere serio: scommetto 1000 euro che a parte un paio di momenti in cui sono abbozzate due note, in questo film non c’è una sola scena con la musica. Sono sicuro di vincere. Tutta la composizione Williams l’ha lasciata sul cd, e allora cosa stiamo a giudicare? Aria.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Stiamo a giudicare la musica sul CD, infatti. Non il modo in cui questa musica è usata nel film.

  3. perso ha detto:

    Ma se nel film non è presente, quella sul cd è solo una formalità commerciale. E Williams si è beccato anche una nomination all’Oscar.. È un imbroglio, perchè se della musica è stata composta, va messa nel film e giudicata in questo modo. La gran parte delle soundtrack di John Williams, poi, non sono di certo prettamente indipendenti dalle immagini.

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Capisco il tuo punto di vista, ma è giusto distinguere la musica com’è utilizzata in un film da come invece è presentata nel disco. Del primo caso ne parliamo nella recensione del film, mentre il secondo è quello su cui si concentra la sezione “soundtrack” del sito. In questo caso specifico sono d’accordo con te, tant’è che nella mia recensione non ho minimamente citato il lavoro di Williams, ma questo nulla toglie alla validità di quanto da lui composto. Tanto per dire, nella nostra recensione di “Tintin” (http://www.cinefile.biz/le-avventure-di-tintin-il-segreto-dellunicorno-di-steven-spielberg) Andrea Chirichelli ha definito la musica non perfetta, mentre invece Maurizio Caschetto ha dato al disco 5 stelle (http://www.cinefile.biz/soundtrack-le-avventure-di-tintin-il-segreto-dellunicorno-di-john-williams).
    Le recensioni che pubblichiamo in collaborazione con Colonne Sonore si riferiscono all’ascolto dei dischi, non sono recensioni del modo in cui una musica è utilizzata in un film, quindi sono relative a un ascolto slegato dal film e dipendono dalla qualità del disco e della musica in sé, a prescindere dall’efficacia della sua funzione di “supporto” alle immagini. Per provare a farmi capire, sarebbe come scrivere un articolo su una mostra fotografica dedicata a una città: la recensione si riferirebbe alle fotografie e al modo in cui la città è presentata in queste fotografie, non alla città vera e propria.

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