"28 giorni dopo" di Danny Boyle

20th Century Fox, 6 Giugno 2003 – Sottovalutato
Al risveglio dal coma in un letto d’ospedale, Jim scopre una Londra deserta e devastata da un virus rabbioso. Insieme a Selena e ad altri sopravvissuti, si mette in viaggio verso nord in cerca di salvezza, alla ricerca di altri nuclei di resistenza all’epidemia letale…
Quando si affacciò agli anni duemila, il cinema mainstream occidentale non era ancora stato segnato dal ritorno del fantastico come essenza del blockbuster. La riscoperta tra gli altri del genere zombi era di là da venire, e 28 giorni dopo trovava nel 2002 un punto d’incontro tra vecchio e nuovo, tra Europa e America, tra canone e trasgressione.
Molto criticata per la sua rielaborazione di vari momenti romeriani, la seconda collaborazione tra Danny Boyle e Alex Garland dopo The Beach sembra piuttosto correre oltre i suoi predecessori, sfiorandoli di tanto in tanto in uno sprint indemoniato. L’intero film è, per certi versi, un distillato della trilogia di Romero: impatto (La notte dei morti viventi), adattamento (Zombi), degenerazione (Il giorno degli zombi). Ma l’elemento nuovo è il disarmante nichilismo che percorre tutta la storia, riducendo gli elementi horror in favore di uno stato di sospensione perpetuo.
La fotografia di Anthony Dod Mantle, inglese prestato al Dogma, fa un ottimo uso di un digitale sporco, a tratti quasi slavato, ed è perfetta per sottolineare i laceranti strappi che il film si concede con parsimonia – gli “infetti” sono una minaccia astratta, una furia spesso sopita ma sempre pronta alla devastazione. Le riprese sono anche concettualmente digitali, frammentate, estemporanee – girate “in fuga” da una troupe che aveva la sua orda personale alle calcagna: quella stessa città che da caotica doveva essere resa deserta.
Garland torna da sceneggiatore ai suoi studi sul delirio umano, stavolta libero dai vincoli che rendevano pretenzioso The Beach; l’ultimo atto con i militari rimane però il più debole, troppo staccato dal corpo del film e inferiore nel suo clamore alla semplicità delle prime scene.
In un genere che da decenni vive nel mito della “critica sociale” dei supermercati di Romero, una manciata di inquadrature su ciò che resta di Londra è sufficiente ad aggiornare il discorso alla contemporaneità, e a suggerire nuove sfumature. A Boyle basta far muovere il protagonista davanti a un cartellone pubblicitario, alzare il ritmo con l’allarme di un’auto, o lavorare con musica e montaggio per rendere palpabile il sapore di una Pepsi calda e schiumosa. Il tutto senza parole che non siano gli strazianti “hello” di Cillian Murphy, suggello di una sequenza rimasta giustamente famosa.
Sostenuto da una colonna sonora poliedrica e di grande spessore, 28 giorni dopo apre alle suggestioni del decennio che comincia mantenendo però un’anima vecchia: nella sua realizzazione pre-9/11 c’è un’iconografia che si rifà alle paure di contagi lontani, in cui il “what if” era ancora lontano dalla realtà, e questo non fa che aumentarne la disperata rilevanza a posteriori.
Titolo: 28 giorni dopo (28 Days Later)
Regia: Danny Boyle
Sceneggiatura: Alex Garland
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Interpreti: Cillian Murphy, Brendan Gleeson, Naomie Harris, Toby Sedwick, Noah Huntley, Christopher Dunne, Alexander Delamere, Emma Hitching, Kim McGarrity, Megan Burns, Justin Hackney, Luke Mably, Stuart McQuarrie, Ricci Hartnett, Leo Bill
Nazionalità: Regno Unito – USA – Olanda, 2002
Durata: 1h. 52′
Cavolo trovo questa recensione troppo “cerebrale” ma comunque è un’altro modo per dire che questo film è un autentica perla della cinematografia britannica.
Un horror con intenti sociali che ci fa riflettere e ci pone una domanda: gli esseri umani diventano rabbiosi solo per il fatto che siano stati contagiati, oppure il veleno fa esternare quello che da sempre ci portiamo dentro?
Grandioso la premessa con le spaventose immagini dell’Homo Homini Lupus e le geniali citazioni romeriane.
Reparto tecnico eccepibile (come già enunciato nella recensione) e ottime interpretazioni.
L’impronta di Boyle lo si nota sempre nel finale convulso caratterizzato sempre da primi piani come lo erano i suoi precedenti lavori (Trainspotting) e quelli che saranno i suoi futuri (Sunshine).
Il duo Boyle-Garland fa centro.
Mi sono sempre chiesto come abbiano fatto a far sembrare Londra deserta, effetti ok ma cavoli sono stati superbi!
“Eccepibile” o “ineccepibile”?
Hai ragione Albe XD ineccepibile!
Credo che sia il miglior film di Boyle.
le prove degli attori sono magnifiche e per di più c’è tensione. è evocato l’orrore senza neanche mostrarlo.
magnifico.
Giravano all’alba per brevi intervalli di tempo con una troupe molto agile.
La critica è cerebrale per definizione.
Perché questo film è un ottimo horror?
Perché oltre ad essere magistrale la prova degli attori, sono bravissimi quelli che interpretano gli zombie perché raggiungono veramente vette di grande realismo. sembrano veramente affetti da rabbia con i loro occhi iniettati di rosso e il viso grondante scarlatto sangue, fanno veramete paura, altro che gli zombie di Romero.