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"Paycheck" di John Woo

12 febbraio 2004 Recensioni 0 Commenti
Tommaso Tocci, 12 Febbraio 2004: Inadatto
Uip, 13 Febbraio 2004

Michael Jennings è un genio dell’informatica che si occupa di progetti top secret. Alla fine del lavoro la sua mente viene cancellata e gli viene consegnata una busta piena di oggetti qualunque. Con l’intuizione che questi oggetti sono gli indizi del suo passato, Jennings può tentare di ricostruire la sua identità…


Inadatto. Il nuovo film di John Woo, tratto da un racconto di Dick, è inadatto a molte cose, in primis alle potenzialità del regista, lontano dalle sue corde e di scarsa affinità con la sua poetica. Verrebbe da chiedersi perché Woo, insieme a Terence Chang, ancora accetti di dirigere progetti già impacchettati, pronti da scartare senza poter in alcun modo incidere sulla sostanza del film. Ma a porsi questa domanda sono rimasti in pochissimi, dopo che molti della già esigua schiera di ammiratori del regista cinese si sono ricreduti, chi prima chi dopo, nell’arco dei suoi dieci anni hollywoodiani. Paycheck sembra quindi il definitivo addio (che secondo molti va fatto risalire ad almeno un paio di film fa) all’opera e all’ingegno di un regista che ha contribuito a cambiare prima il cinema di Honk Kong e poi un settore di quello americano. Ci resta un ispirato manovratore che mestamente va ad aggiungersi alle fila degli onesti mestieranti, serializzati e intercambiabili, da cui attingere quando non si sa a chi affidare l’ultimo blockbuster miliardario.

La cosa peggiore è l’agonia del simbolismo, la lancinante consapevolezza che sotto le ceneri del fracasso e delle esplosioni si scorgono ancora pulsazioni vitali, che un tempo erano metonimie potenti a corredo di una sostanza narrativa e stilistica di base. Così, mentre Ben Affleck si affanna nelle acrobazie, come in uno stillicidio compaiono la colomba, il mexican stand-off e dei movimenti di macchina caratteristici che ora non sono che vuoti simulacri, sterili significanti dal peso di una bolla che aspettiamo solo di veder scoppiare per tornare alla mediocrità del film.

Non si tratta però solo del declino di un regista. Altre incongruenze sono a monte dell’operazione, nell’ennesima trasposizione delle pagine di Philip K. Dick, dopo Blade Runner, Atto di forza e Minority Report, per citare le più famose. Anche Scott, Verhoeven e Spielberg hanno pesantemente rimaneggiato il materiale di partenza, che però è rimasto funzionale alla narrazione e non è stato snaturato nelle sue linee-guida. In Paycheck il plot è stato divelto e riempito a forza di inserti puramente action. La conseguente perdita di coesione fa annegare il film sotto il peso di tali sequenze, che nascondono le sempre interessanti tematiche dei racconti dickiani. Valga come conferma la prima parte, ingegnosa rappresentazione della vita sconvolta di Micheal Jennings, ingegnere del futuro che lavora a contratto e facendosi cancellare la memoria del lavoro svolto. L’incastro Dickiano si stringe come una morsa (ormai ci siamo abituati, del resto) quando, dopo l’ennesimo lavoro portato a termine, il protagonista scopre che qualcosa è andato storto, ha perso il suo compenso e tutti gli danno la caccia.
Il gioco degli oggetti nella busta, singoli agganci ad un passato-futuro da ricostruire, è intrigante: la memoria si trasfigura nella materia usando il tangibile come rimando mentale, lo stesso principio alla base di Memento. Invece del corpo come appunto Dick si concentra sulla valenza metonimica di ogni singolo elemento, costruendo intorno ad ogni oggetto una tappa di avvicinamento alla verità. Va detto che tale procedimento è amplificato nel film rispetto a com’era su pagina, ciononostante funziona piuttosto bene fino a quando, come detto, il macigno dell’azione-a-tutti-i-costi non crolla sulla vicenda. Magari la scelta dello sceneggiatore Dean Georgaris (Tomb Raider: La culla della vita) andava ponderata meglio.

Non è accanimento indolore, il mio, ma (ennesima) delusione da appassionato tradito. La bassezza del livello a cui precipita Woo nella seconda parte del film è vistosa, a partire dalla pochezza dei personaggi, macchiette con in mano una pistola che, dimentichi di ogni legame narrativo costruito in precedenza, si lanciano nei combattimenti che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere, e non importa che siano ingegneri, biologi o dirigenti d’azienda: ognuno di loro si trasforma in combattente d’assalto nella celebrazione pantomimica e ipercinetica dello scontro. Quanta tristezza ripensando alla dignità tutta orientale dei guerrieri, loro sì tragici e sinceri, del Woo pre-hollywoodiano.

Anche il cast di certo non aiuta: Ben Affleck è quello che è, si sa. Vederlo vestito come Cary Grant in Intrigo internazionale (peccato manchi una citazione esplicita dell’aereo inseguitore nei campi) strappa un sorriso e poco più. Inspiegabile invece come Uma Thurman abbia accettato un ruolo così insignificante per un attrice molto più complessa e ormai assurta al ruolo di musa tarantiniana. Il resto del cast è assolutamente privo di carisma, sminuendo così ulteriormente un sistema dei personaggi già problematico di suo.


Titolo: Paycheck (Id.)
Regia: John Woo
Sceneggiatura: Dean Georgaris
Fotografia: Jeffrey L. Kimball
Interpreti: Ben Affleck, Uma Thurman, Paul Giamatti, Aaron Eckhart, Colm Feore, Joe Morton, Michael C. Hall, Peter Friedman, Kathryn Morris, Ivana Milicevic, Christopher Kennedy, Fulvio Cecere, John Cassini, Callum Keith Rennie
Nazionalità: USA, 2003
Durata: 1h. 50′


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