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Soundtrack: "Dark Shadows" di Danny Elfman

11 giugno 2012 Soundtrack 0 Commenti

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ** * *

In quasi trent’anni di carriera, Tim Burton e Danny Elfman hanno collaborato in una quindicina di pellicole. In questa affettuosa rivisitazione per fan, Elfman è smagatamente e diabolicamente tornato in pieno possesso della propria capientissima valigetta di incubi sonori…


Con una quindicina di titoli nell’arco di quasi un trentennio (dal 1985 di Pee Wee’s Big Adventure a Frankenweenie, la cui uscita è prevista nel 2013, comprendendo Nightmare Before Christmas), si può ben dire che il sodalizio – anche personale – fra Tim Burton e Danny Elfman rappresenti uno dei grandi capitoli contemporanei nella storia dei rapporti regista-compositore nella musica per film: interrottosi solo in due circostanze, Ed Wood (in cui subentrò, non senza polemiche con la produzione e momenti di nervosismo, Howard Shore), e Sweeney Todd, vincolato ovviamente alla partitura originale del musical di Stephen Sondheim. D’altronde è noto che il visionario e “nerofiabesco” regista di Burbank ama gli alter ego sino a trasformarli in altrettanti feticci: Johnny Depp come attore, Elfman appunto (ma non solo) sul fronte musicale.

All’interno di quel neogotico che per Burton è ormai una categoria dello spirito, un’autentica Weltanschauung, il ruolo svolto da Elfman in questi anni si è rivelato essenziale, nonostante il compositore lo consideri solo uno degli aspetti del proprio lavoro, consegnandosi con non inferiore entusiasmo e dedizione a partiture anche “minori” (in senso strutturale e strumentale, non qualitativo) come per i film di Paul Haggis o Gus van Sant. E la trasposizione su grande schermo della serie-cult creata da Dan Curtis e trasmessa dalla ABC tra la seconda metà degli anni 60 e l’inizio dei 70, una sorta di soap-horror-opera in bilico perfetto fra humour nero e filologia gotica, si è rivelata anche per il musicista un’occasione metatestuale preziosa, oltre che una fonte ispirativa copiosa e fresca come da tempo – anche accanto a Burton, si vedano i mediocri e ripetitivi score per La fabbrica di cioccolato o Alice in Wonderland – non gli accadeva. Questo perché Elfman è, oltre che un compositore, anche un attento e accanito ascoltatore e perlustratore, e nell’accingersi a questa fatica non ha potuto non tenere presente il climax particolare che, nella vecchia serie Tv, era creato dalla partitura originale di Robert Cobert, onesto e non celeberrimo artigiano di seconda fila della musica hollywoodiana, soprattutto televisiva, i cui materiali per Dark Shadows furono raccolti e pubblicati integralmente sei anni fa dalla MPI Records in una poderosa library di otto CD!
Si trattava di una musica per l’appunto… alla Ed Wood, nell’utilizzo evocativo così smaccatamente vintage del teremin, immerso (si riascolti l'”Opening theme” della vecchia serie) in un diluvio di arpeggi e vocalizzi, secondo un’enunciazione di stereotipi horror-gotici palesemente, e autoironicamente, da B-movies: nulla a che spartire con il caricaturismo colto per spinetta e schiocchi di dita che Vic Mizzy aveva inventato per La famiglia Addams, ma piuttosto un omaggio sentito e intenerito a un repertorio cinemusicale di genere, povero di mezzi ma fantasioso all’estremo, di grande comunicatività ed efficacia identificativa.

I mezzi di cui dispone Elfman, ovviamente, sono ben più cospicui, a cominciare da tre orchestratori (l’inseparabile Steve Bartek, fondamentale per la scelta dei colori affilati e scintillanti, in collaborazione con Edgardo Simone e David Slonaker), poi la supervisione di Marc Mann per la parte elettronica, un’orchestra di proporzioni enormi affiancata dal coro Metro Voices e dal Cardinal Vaughan School Choir di voci bianche, il tutto registrato ai leggendari Abbey Road Studios londinesi sotto la direzione sontuosa e sfavillante di Rick Wentworth. Ciò che ne risulta è una gigantesca, lussuosa, operazione-nostalgia all’interno della quale Elfman può agevolmente ripercorrere le proprie passioni musicali rivolte al passato e a quel cinema “popolare”, di genere, delle cui immagini e dei cui suoni egli si è nutrito, riuscendo però a reimmergerle in una freschezza e un’immediatezza, un fantasismo di colori orchestrali quali da tempo non era più riuscito a raggiungere.
Basterebbe il “Prologue (Uncut)” a confermarlo, con la ripetuta, pregustata e lentamente assaporata esposizione dello splendido, disarmante tema principale, una frase in due sezioni (archi e corni protagonisti), la seconda delle quali a salire, intrisa di cromatismi, ripetuta e presto assunta a cellula di richiamo, un autentico “motto” (particolarmente da brividi quando a esporlo è una voce bianca) con particolare evidenza drammatica anche nelle tappe più agitate di un percorso variativo dagli sviluppi praticamente inesauribili. Si nota subito che, oltre alla maestosa imponenza dell’assetto formale, la pagina – e l’intero score – vive di una molteplicità di timbri e soluzioni dall’estro vulcanico, che in parte recupera repertori e stereotipi caratteristici dell’horror music “d’antan” (glissandi o strappi di violini, voci “soprannaturali”, lunghi minacciosi pedali d’attesa, effetti elettronici da anni ’50 e ‘70: “Vicky Enters Collinwood” e specialmente “Shadows/Reprise”, con tanto di recupero del caro vecchio moog) ma dall’altro fa anche larghissimo uso di dissonanze e di polverizzazioni tonali o di scultoree ricapitolazioni sinfoniche: riservandosi per di più in almeno un paio di frangenti (il vitreo “Deadly Handshake” per vibrafono, fiati, arpa e tastiere; il citazionistico “Hypno Music” per organo Hammond, vibrafono, effetti, riverberi) di riferirsi direttamente, quasi parafrasandole, alle vecchie musiche di Bob Cobert.

Ciò che ci sembra vada costantemente tenuto presente nell’ascolto di questa partitura è che Dark Shadows sostanzialmente è un’affettuosa, fedele e puntigliosa horror-comedy confezionata da un regista-fan, da un Peter Pan del lato oscuro che ha ormai deciso di non diventare mai grande e di rinchiudersi nel proprio Luna Park; in questa chiave che guarda contemporaneamente all’aspetto buffo, addirittura comico e a quello orrorifico-romantico, Elfman muove la propria ispirazione dentro i confini di una felicissima ambiguità, che spazia dal lirismo toccante e malinconico con cui è riproposto il Leitmotiv in “Is it her?” all’austero fraseggio degli archi divisi, alternato a brividi tremolanti e misteriosi e a impennate improvvise, sempre pedinate dalle voci bianche, di “Barnabus comes home”. In questa atmosfera sospesa, dove non mancano momenti di stasi e di puro mestiere (“Vicky’s Nightmare” o “Killing Dr.Hoffman”), Elfman fa circolare nelle proprie complesse costruzioni musicali un respiro “dark” e insieme sognante che rimanda ad alcune delle sue più grandi e indimenticabili pagine per Dick Tracy o il secondo Batman, al netto di una certa irrisolta enfasi che qua e là inficiava quelle partiture. Anche se in alcune circostanze, come “Burn baby burn/In-Tombed” o “Lava lamp”, sembra di trovarsi quasi dinanzi ad una library (l’ostinato dei celli e bassi, il tremolo degli archi sul ponticello, il rintocco delle campane, l’accanimento del tema principale, i riverberi, i puri effetti sonori), il genio elfmaniano (e bartekiano…) nell’ottimizzazione dei materiali trova pieno riscontro in “The angry mob”, con la parcellizzazione del Leitmotiv in forme imprevedibili e frammentate, dentro una tavolozza orchestrale splendente e livida, che concilia il vecchio e il nuovo, il rimpianto e l’umorismo macabro con impagabile sagacia stilistica. L’assemblaggio di furori orchestrali (ottoni feroci, percussioni telluriche, archi impazziti) ed escogitazioni hi-tech provoca un felice, salutare corto circuito stilistico (dalle punte virtuosistiche anche sbalorditive, come nel caleidoscopico “House of blood”, che vibra e ribolle intorno a infinite elucubrazioni sul tema del prologo) nel quale si riassume poi l’intero senso dell’operazione e della poetica burtoniane, continuamente indecise tra fascinazione e disincanto.
Il ruolo quasi luttuoso degli archi gravi nella riesposizione del Leitmotiv in “Final confrontation” ci ripropone l’Elfman più accigliato e meditativo, che ha ben studiato sui capolavori di maestri come Herrmann e Waxman, mentre le esplosioni corali di “Widow Hill/Finale” e l’architettura celestiale delle armonie, per gruppi accordali, interrotta dalla ripresa degli archi e delle voci bianche, palesano senza infingimenti i principali tòpoi compositivi di Elfman, che oscillano instancabilmente, anche nell’”attrezzatura” utilizzata, tra Paradiso e Inferno, tra visioni angelico-sentimentali e sberleffi da tunnel degli orrori.

L’album dello score, che si chiude con “We will end you!”, breve versione accentatissima, corrusca e molto “batmaniana” del Leitmotiv per archi, corni e ottoni martellanti, è stato seguito dopo poco da una “OST”- compilation (consuetudine nota ai frequentatori dei soundtrack burtoniani, visti i gusti del regista), che costituisce un’occasione ghiotta per chi, con i capelli magari un po’ grigi, vuole tuffarsi nel pop-funky-disco-hard rock del tempo che fu. Vi si compulsano infatti gli amori musicali di Burton, tutti contestuali al film, dalle “Nights in white satin” dei Moody Blues al doveroso, ormai 64enne ma incorreggibile Alice “Shock” Cooper, che compare as himself nel film (e nell’album) cantando “No more Mr. Nice Guy” e “Ballad of Dwight Fry” durante un horror-party nel castello del vampiro Barnabas Collins (Johnny Depp), dal compianto Barry White di “You’re the first, my last, my everything” all’Iggy Pop di “I’m sick of you”, dal tenero Donovan di “Season of the witch” ai T Rex di “Get it on” sino al “Top of the world” dei Carpenters. Questo secondo CD ingloba due brani dello score elfmaniano, il “Prologue” e il furibondo “The End?” (ma in versione compulsata) e si chiude con una breve, sorniona battuta di dialogo di Depp (“The Joker”): è quasi un gadget di accompagnamento allo score, l’altra faccia di un’operazione testuale e musicale sostanzialmente molto divertente e culturalmente stimolantissima, che ha il non piccolo merito di restituirci un Danny Elfman smagatamente e diabolicamente tornato in pieno possesso della propria capientissima valigetta di incubi sonori.


La copertina del CDTitolo: Dark Shadows Original score (Id.)

Compositore: Danny Elfman

Etichetta: WaterTower Music, 2012

Numero dei brani: 21

Durata: 52′ 45”


La copertina del CDTitolo: Dark Shadows Original Motion Picture Soundtrack (Id.)
Compositore: Aa.Vv.

Etichetta: WaterTower Music, 2012

Numero dei brani: 11 (2 di commento + 9 canzoni)

Durata: 44′ 21”


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