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“Playing the Victim” di Kirill Serebrennikov

19 ottobre 2006 Recensioni 1 Commento
Playing the Victim

Inedito in Italia – Farneticante

Valya è uno studente che per si guadagnare interpreta la vittima nelle ricostruzioni degli omicidi da parte della polizia. Dopo che il criminale è stato catturato, infatti, uno speciale gruppo ricostruisce la scena del crimine. Valya vive così in maniera assurda, e improvvisamente ha una visione…


Una scena di Playing the VictimIn Russia è considerato il film dell’anno. Da noi, alla prima edizione della Festa di Roma, in molti hanno storto il naso come di fronte ad un oggetto misterioso da maneggiare a debita distanza. I ruoli si sono capovolti: da un lato una critica che non si spinge a fondo, liquida frettolosamente ciò che non comprende ad una prima lettura, snobba un testo spigoloso e di non facile assimilazione; dall’altro una giuria popolare che accusa il peso del suo ruolo e premia con il titolo più prestigioso (Marco Aurelio per il miglior film) quello che sembrava il meno probabile alla vittoria, con quell’irriverenza disarmante e quella sensazione di inutilità che domina gli spazi ovattati e stratiformi, che serpeggia tra gli sguardi assenti, spiritati, rassegnati, lucidi e annoiati dei personaggi che giocano al cinema guardando al teatro, che ricostruiscono scene del delitto scomodando Amleto, compensando le riprese digitali e traballanti che la polizia appronta sulla scena del crimine con il tocco fulmineo del fumetto nero che insegue le distorsioni mentali di Valya (interpretato dall’attore Yuri Chursin), la cui prima e più importante anomalia è il suo legame con la morte.

Una scena di Playing the VictimEntità subdola e sottile, essa si introduce di notte dallo spioncino della porta assumendo la forma allucinatoria della figura paterna e autoritaria che lo immobilizza in un gioco perverso da cui il ragazzo non esce più, neppure quando si fa giorno e gli incubi notoriamente si ritirano a dormire. La vita e la morte compiutamente si stringono ancora in una dolorosa simbiosi in cui l’una è salvezza e condanna dell’altra, in cui le scelte di Valya continuano a sovrapporsi in un gioco perverso dettato dalla necessità di aggiungere sempre un po’ di dolore al piacere (delirante la sequenza del rapporto sessuale) o un po’ di morte alla propria vita.

Una scena di Playing the VictimPlaying the Victim, recitare/giocare la parte della vittima nelle ricostruzioni filmate della polizia russa, è il lavoro che Valya ha scelto per pagarsi gli studi. Ricostruzioni di delitti peraltro già confessati e che, dunque, non servono a svelare nessuna nuova pista investigativa. Tutto viene inutilmente ripetuto all’infinito, sotto la direzione di uno strepitoso e a tratti demenziale Vitaly Khaev, in un vorticoso gioco metalinguistico che odora di palcoscenico, di accurata anticipazione di ogni azione, meticolosa preparazione della scena madre, l’omicidio, e raffinata predisposizione di tutti i dettagli di contorno, dall’arma del delitto alle ultime parole pronunciate dalla vittima. Tutto è teatro, la casualità della vita e l’inutilità di una tragedia che è morte ma è anche vita quando non ha più nulla da dire, quando gli affetti sono scomparsi, perduti chissà dove, lontani da un tempo in cui si intravedeva quella minima possibilità lasciata all’intuizione e la vita si poteva guardare negli occhi e riconoscervi quell’attimo di felicità rubato alla distrazione della morte. L’una recava il segno di una drammaticità dura ma onesta, l’altra si poteva aggirare ridendoci su.

Una scena di Playing the VictimPlaying the Victim è una black comedy di difficile impatto, detestabile e adorabile per gli stessi identici motivi, per quella sua capacità di portare la visione ad un livello che spesso si avvicina al grande cinema surrealista che attingeva dal linguaggio onirico la sua cifra stilistica dominante. Perché quando la follia prende il sopravvento, le allucinazioni sostituiscono la percezione della natura, gli incubi e i fantasmi si materializzano portando la ragione in apnea, tutto si fa soggettivo e personale, ognuno può cogliere la propria parte di irrazionalità, sviluppata o tarpata che sia, ed ascoltarne il messaggio che suona sottovoce.

Il regista di Playing the Victim Kirill SerebrennikovDa apprezzato regista teatrale qual è, Kirill Serebrennikov prova a cimentarsi in un progetto molto ambizioso come quello di consegnare al grande schermo la straordinaria pièce teatrale dei fratelli Presnyakov, una delle più scandalose, perseguitate e censurate di tutta la Russia. Assolutamente non convenzionale, questo piccolo gioiello dark confezionato da uno dei registi più brillanti del panorama europeo attuale regala momenti che saranno indubbiamente apprezzati dai cinefili incalliti, e trova in Yuri Chursin e Vitaly Khaev due interpretazioni eccezionali e stralunate.

I momenti che rimangono maggiormente fotografati nella memoria, crescendo persino di intensità man mano che i giorni gettano distanza dal film, sono quelli in cui si avverte pressante la spinta ad abbandonare la presa del ragionamento per lasciarsi andare ad un “non capire”, ad un buco nero che fornisce paradossalmente molte più risposte di qualsiasi spiegazione didascalica. Come il bellissimo monologo finale che spiazza tutti, dal colpevole alla vittima, fino ad anticiparne il tragico ed inevitabile rovesciamento dei ruoli.


La locandina russa di Playing the VictimTitolo: Playing the Victim (Izobrajaya Zhertvy)
Regia: Kirill Serebrennikov
Sceneggiatura: Vladimir Presnyakov, Oleg Presnyakov
Fotografia: Sergey Mokrizky
Interpreti:
Yuri Chursin, Anna Mikhalkova, Vitaly Khaev, Liya Akhedzhakova, Marat Basharov, Aleksandr Ilin, Olga Demidova, Marina Golub, Fyodor Dobronravov, Andrei Fomin, Yelena Morozova, Natalya Mokritskaya, Igor Gasparyan
Nazionalità: Russia, 2006
Durata: 1h. 36′


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Attualmente c'è 1 commento a questo articolo:

  1. Plissken ha detto:

    Me lo sono perso ma, leggendo la recensione, me ne pento. E’ buona cosa quando un articolo stimola a visionare un film… complimenti alla Perozzi.

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