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Soundtrack: "Vita di Pi" di Mychael Danna

15 aprile 2013 Soundtrack 0 Commenti
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Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½

Premiata con l’Oscar, quella del canadese Mychael Danna per il film di Ang Lee è una partitura musicalmente multiculturale, che incrocia sapientemente i suoni, gli strumenti e le melodie di Oriente e Occidente, assicurandosi che le diverse identità restino indipendenti e autonome……


Vi sono solo due argomenti più opinabili dell’assegnazione degli Oscar: la politica e il calcio. Per la prima converrà sperare in tempi migliori, sul secondo non abbiamo competenze. Ma sulla legittimità della statuetta al compositore canadese già fedele, sottile e inquietante collaboratore delle parabole apolidi del cinema di Atom Egoyan, nonché autore di partiture insinuanti e fortemente “psicologiche” come quelle per Cuori in Atlantide o Ragazze interrotte, ovviamente il dibattito è aperto: stante anche il fatto che a concorrere c’erano almeno altri due score ai massimi livelli, il Lincoln di Williams e l’Argo di Desplat.
A favorire il lavoro di Danna è concorso senz’altro l’aspetto multiculturale, multietnico dell’impostazione musicale: un sapiente incrocio fra suoni, strumenti e melodie da Oriente e Occidente in una chiave per nulla contaminatoria bensì associativa, nella quale cioè ognuna delle identità evocate rimane autonoma e indipendente, fondendosi con le altre e creando un “melting pot” sonoro di enorme suggestione. Il tema portante, una melopea ascendente che il flauto bansuri e il sitar evocano in un’atmosfera misteriosa sin da “Meeting Krishna”, è un po’ il manifesto di questa organizzazione dei materiali, e le successive varianti, compresa quella molto occidentalizzata di “Thank you Vishnu for introducing me to Christ”, non fanno che ribadirlo. Come spesso accade nel cinema di Ang Lee i compositori prescelti, ancorché fortemente caratterizzati sul piano del linguaggio personale (Santaolalla in I segreti di Brokeback Mountain, Desplat per Lussuria), sono chiamati a confrontarsi con realtà musicali locali (il country nel primo caso, i suoni della Shanghai anni 40 nel secondo) molto precise e vincolanti, e ad inserirvisi con procedimenti di rilettura e riscrittura assai complessi.

Danna è un compositore severo e rigoroso, a volte serioso (il fratello minore Jeff – Resident Evil: Apocalypse, Silent Hill, Fracture – esibisce maggior disinvoltura ed eclettismo), dalle orchestrazioni fortemente chiaroscurate e dalla tecnica estremamente sorvegliata, a tratti addirittura algida. Qualità che si rivelano qui decisive per tenere sotto controllo i diversi ingredienti di una materia che altrimenti avrebbe rischiato l’assemblaggio caotico. Ad esempio, il côté francese della partitura, motivato dall’ambientazione coloniale dell’inizio del film, è dichiarato apertamente dall’accordeon e dalla citazione per esteso, in “Piscine Molitor Patel”, dell’inconfondibile “Sous le ciel de Paris” scritta nel 1951 da Hubert Giraud su testo di Jean Dréjac per l’omonimo film di Julien Duvivier, e poi resa leggendaria – autentico manifesto di “pariginità” nel mondo – da Edith Piaf: anche se il track si chiude, sintomaticamente, con il sitar e il santoor (strumento a corde tipico della zona del Kashmir) ad anticiparci la figura di Pi. Analoghi echi da “rive gauche” risuonano in “Pondicherry”, dove in una sorta di polistilismo tripartito si affacciano citazioni americane, europee e orientali. Ovviamente, e simbolicamente, sono presenti anche significativi e reciproci scambi strumentali, grazie ai quali udiamo motivi indiani eseguiti da mandolini e accordeon, e motivi francesi esposti da strumenti indiani. Peraltro, l’imprinting autenticamente indiano è declinato in apertura dalla trasognata “Pi’s lullaby” sussurrata in lingua Tamil da Bombay Jayashri, fascinosa voce femminile della tradizione locale, circondata da sitar, flauti bansuri, tabla e percussioni: gli stessi che accompagnano gli archi impegnati nel luminoso Leitmotiv, in “Christ in the mountains”. In una ideale, non rigida bipartizione fra elementi occidentali ed elementi orientali, e nel dualismo onirico che s’instaura fra il ragazzo e la tigre, “Pi and Richard Parker” enuclea ad esempio con evidenza sia un secondo, primordiale tema di due note collegato al rapporto di Pi con le forze della natura, sia le diverse componenti timbriche: con la quiete pianistica contrapposta agli acuti interventi del flauto ney Persiano associato all’animale, all’insegna di un contrappuntismo sofisticato e perturbante, mentre “The deepest spot on Earth” solennizza il tema principale in una breve, imponente esposizione per ottoni e l’impressionante “Tsimtsum”, per archi e coro, si staglia spettacolarmente come una sorta di grandioso requiem spirituale.

Prosciugando l’orchestrazione e delegando agli archi un ruolo estatico, contemplativo e di tesa concentrazione, Danna ottiene atmosfere di sospensione surreale (“First night, first day”, “Tiger vision”), dove anche i suoni etnici si cristallizzano in percorsi orizzontali e senza meta: rarissime le accelerazioni ritmiche, d’azione (flauti archi e percussioni in “Flying fish”), perché la drammatizzazione del climax è piuttosto affidata a manipolazioni del suono, smisurati crescendi, ondate percussive e lamentosi, quasi alieni interventi di una voce sopranile, voci bianche, come in “God Storm”, che sembra volersi esporre coraggiosamente anche sul piano dell’infrazione tonale. “I’m ready now”, pacata e dolorosa meditazione per archi, e l’incantamento cullante di “The island” preannunciano chiaramente da un lato la fine dall’altro l’inizio di un viaggio (fisico e interiore). Ricapitolati al meglio negli oltre otto minuti di “Back to the world”, che sviluppa i due temi principali immergendoli nella quiete accordale degli archi sovrastata da celestiali, ipnotizzanti interventi corali. Peraltro sia qui che nei successivi e finali “The second story” e “Which story do you prefer?” emerge quella sorta di tecnica elusiva, o allusiva, con cui Danna gestisce il proprio materiale tematico a volte sino a dissimularlo, occultarlo in un atteggiamento estatico che rasenta una certa fissità espressiva, anche se non può non catturare il riserbo quasi pudico con cui il compositore, nell’ultimo brano, rimette a contatto i due temi principali, quello di Pi e della tigre, facendo cantare i violoncelli associati ai flauti e accarezzando il tutto con gli archi e con il pianoforte, sino all’apoteosi corale conclusiva.

Appare chiaro che l’intimo, accorato dialogo interculturale evocato dal film trova nella partitura di Danna l’eco forse più forte e psicologicamente coinvolgente. L’opzione di mantenere una struttura “moderna”, in un sinfonismo cosmopolita nel quale siano assenti prevaricazioni di un elemento o di un altro, era evidentemente rischiosa e genera come effetto collaterale una certa freddezza all’ascolto. Ma l’intensità lirica di alcune pagine non è in discussione, e la sapienza con cui i decorsi melodici e gli scambi fra strumenti si sostituiscono all’elemento verbale colloca la partitura su un livello culturale fuori dal consueto.


La copertina del CDTitolo: Vita di Pi (Life of Pi)

Compositore: Mychael Danna

Etichetta: Sony Classical, 2012

Numero dei brani: 28

Durata: 65′ 11”


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