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"La vita di Adele" di Abdellatif Kechiche

23 ottobre 2013 Recensioni 6 Commenti
La vita di Adele

Lucky Red, 24 Ottobre 2013 – Lancinante

Adèle ha 15 anni, vive nel nord della Francia e studia al liceo classico. Un pomeriggio, per strada, scatta in lei un colpo di fulmine. Non però per un ragazzo suo coetaneo, bensì per una ragazza coi capelli tinti di blu, che passeggia abbracciata a un’altra. E’ un incontro che la travolgerà e le cambierà la vita, nel bene e nel male…


Adèle Exarchopoulos e Léa SeydouxNell’anno in cui sull’erba di Wimbledon torna a vincere un britannico dopo 77 stagioni, il Festival di Cannes assegna la Palma d’Oro a un film francese e quello di Venezia assegna il Leone d’Oro a un film italiano. Se però la decisione della giuria veneziana presieduta da Bernardo Bertolucci è stata accolta con più di un mugugno dalla stampa internazionale, quella di Steven Spielberg e soci è stata acclamata unanimemente.

Léa Seydoux e Adèle ExarchopoulosTratto dal fumetto di Julie Maroh Il blu è un colore caldo (Lizard), La vita di Adele non è tanto un dramma sulle difficoltà che una giovane omosessuale può trovare nella vita quanto un vero e proprio melodramma sentimentale dedicato ai dolori che la prima vera grande storia d’amore può riservare. Per raccontarcelo, Kechiche si concentra sui volti delle sue protagoniste e sui particolari dei loro corpi, quasi a volerle estraniare dal mondo che le circonda, quasi a volerci dire che l’unica cosa che conta veramente sono loro due e i loro sentimenti.

Léa SeydouxLa durezza emotiva non è certo una novità nel cinema del regista nizzardo, e non è difficile capire perché sia stato interessato dall’opera della Maroh. Stavolta decide però di mostrarci anche delle scene di sesso esplicite particolarmente lunghe, col risultato di dare realmente peso alla passione – non solo all’amore – che travolge le sue protagoniste e quindi di giustificare agli occhi degli spettatori l’angoscia di Adèle nel “secondo capitolo” del film. Secondo capitolo, simboleggiato dal diverso colore dei capelli di Emma, che prende una strada totalmente diversa rispetto al fumetto di origine, permettendo a Kechiche di immaginare un’Adèle adulta ma ancora innamorata come all’inizio.

Adèle ExarchopoulosCome già aveva fatto ne La schivata, Kechiche incrocia le vicende dei protagonisti con le lezioni di letteratura che questi seguono a scuola, cosa che gli permette di far capire immediatamente determinate sfumature ma che lo porta a qualche ridondanza di troppo. La precisione di scrittura sarebbe comunque stata vana se non avesse trovato sponda su due attrici meravigliose, non a caso premiate anch’esse con la Palma d’Oro insieme al loro regista e che probabilmente rivedremo alla prossima notte degli Oscar. La vita di Adele è un film duro per lo spettatore quanto dev’esserlo stato per loro, ma è di certo un film che lascia un segno potente nel cuore, dello spettatore come di chi l’ha realizzato.


La locandina internazionaleTitolo: La vita di Adele (La vie d’Adèle)
Regia: Abdellatif Kechiche
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalya Lacroix
Fotografia: Sofian El Fani
Interpreti: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jérémie Laheurte, Alma Jodorowski, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Fanny Maurin, Benjamin Siksou, Sandor Funtek, Anne Loiret, Benoît Pilot, Fanny Maurin, Maelys Cabezon, Samir Bella
Nazionalità: Francia – Belgio – Spagna, 2013
Durata: 2h. 59′


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Attualmente ci sono 6 commenti a questo articolo:

  1. Fabio ha detto:

    Potenzialmente bello, ma praticamente noioso!
    UN film che sarebbe potuto essere bello, viene rovinato da 2 fattori ben precisi:
    1) una prolissità insopportabile. Tutte le scene sono più lunghe del necessario. Molte sono completamente inutili (il dettato a scuola, i lunghissimi primi piani su mandibole che masticano, la scena della spiaggia, etc.).
    2) la telecamera in costante movimento. Tre ore (dico 3) di telecamera tremolante mette a dura prova anche il mio stomaco, che è forte. Ci sono, credo, una trentina di secondi di telecamera ferma. Per il resto 3 ore di cinetosi.
    Aggiungerei anche
    3) dialoghi elementari.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    I primi due punti sono veri, ma fanno parte dello stile del regista. Tutti i suoi film sono così, e c’è poco da lamentarsi: o lo si prende in toto o non lo si accetta per nulla. Bisogna essere predisposti a un certo tipo di cinema, poi se non lo si è non c’è niente di male. Però non è vero che il dettato è inutile: serve per far capire che la carriera di Adèle è cambiata, che è davvero diventata insegnante, e quindi che il tempo è passato (3 anni da quando Adèle ed Emma si sono lasciate, no?. Poi lo si poteva fare diversamente, certo…

    Sul terzo punto invece non sono d’accordo. Non dimentichiamo che all’inizio del film Adèle è una ragazzina ed Emma non è poi molto più grande. E’ perfettamente normale che i discorsi che si fanno a quell’età siano “elementari”, superficiali anche quando si accennano argomenti seri e profondi (vedi la discussione sulla letteratura col fidanzato). Se poi invece sono banali anche quelli che fanno gli artistoidi amici di Emma nella seconda parte è perché – per come ho interpretato io la cosa – Kechiche vuole darci l’idea che quelli si danno un tono e basta, che sono personaggi in qualche modo finti. Tant’è che nel loro mondo Adèle si sente fuori posto, resta ai margini: serve la cena e dialoga solo con quello che se la vuole portare a letto.

  3. sumkyman ha detto:

    Kechiche a firmato un film eccezionale. Credo che si dettino in queste intense 3 ore, stemperate dall’ammissione finale che si tratta in realtà di una vita/opera in 2 atti (colpo da maestro), le direttrici per un nuovo cinema non solo francese ma universale.
    Forse è un azzardo ma credo che si senta anche un po’ l’influenza di Von Trier sui dogma del cinema contemporaneo.

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Non penso che Kechiche si rifaccia a Von Trier, visivamente il suo cinema è sempre stato questo (con l’eccezione di “Venere nera”), però delle cose in comune con Dogma ci sono senz’altro. Però pare che lui sia odiatissimo dagli addetti ai lavori, per cui mi sa che se possono mettergli i bastoni tra le ruote lo fanno ben volentieri. Temo fortemente che l’influenza di questo film nel cinema futuro sarà minima.

  5. Plissken ha detto:

    Non sarebbe un film da guardare in un piovoso e malinconico pomeriggio di Domenica, ma ormai…

    Serio:

    La recensione (anche) in questo caso mi è parsa particolarmente felice in quanto condensa quelli che effettivamente appaiono come i punti salienti del film.
    Per (mia) fortuna per quanto la vicenda sia incentrata sul rapporto tra due donne, non è un film inerente l’omosessualità (niente contro la categoria ma dei problemi annessi proprio non mi frega) ma sull’evolversi dei sentimenti in chiave più “universale”.
    Forse è un peccato che non sia stato mantenuto il titolo della graphic novel a cui Kechiche si è ispirato, a mio avviso più intenso, ma sicuramente è un dettaglio che va a perdersi nel numerosissimo numero di piccole finezze a cui è stata posta molta attenzione da parte del regista; sfumature che non appaiono fini a se stesse ma che nel complesso delineano, con impietosa oggettività, al tempo stesso le due protagoniste e il sentimento che le accomuna, nel bene e nel male: un sentimento reso con autenticità, “vero”, per nulla contaminato da espedienti cinematografici volti al melodramma e che quindi nei suoi sviluppi arriva a far risultare il tutto, appunto, “lancinante”.

    Faceto:

    a) proporrei l’introduzione di un organo di Stato a scopo didattico atto ad insegnare ai Francesi come si mangiano gli spaghetti, sarebbe anche ora;
    b) E’ da un po’ che non presenzio al alcuna Vernice di Pittura, ma spero che oggigiorno non sia necessaria la tessera dell’Arcigay…

    Tornando al “serio”, veramente impressionanti le due attrici, era da molto che non assistevo ad interpretazioni tanto eccelse. Il film a me è piaciuto e le tre ore sono volate.

  6. Re del Popcorn ha detto:

    Confesso di averlo apprezzato molto.
    E’ un film intensissimo, fotografato magnificamente e interpretato meglio.

    Ci sono, però, almeno due fattori (peraltro già evidenziati nei precedenti commenti) che, personalmente, mi hanno un po’ rovinato la visione.

    Il primo è la – per quanto mi riguarda davvero eccessiva – lunghezza di alcune scene.
    Non è un problema di lentezza o di “pesantezza”, ma proprio di “minutaggio” ingiustificatamente dedicato a singole scene, tra tutte quella della spaghettata in giardino, che in pratica dura il tempo necessario per cucinare un buon ragù.

    Il secondo è la superficialità con cui tante, troppe figure vengono liquidate.
    Soprattutto nella seconda parte.
    I ragazzi della prima porzione di film mi sono sembrati sfuggenti e un po’ naif in maniera genuina: il gruppo dei compagni di scuola di Adele è descritto con pochi, semplici, tratti, eppure funzionano.
    Gli adulti della seconda, invece, sono quasi tutte macchiette.
    I genitori di Emma ovviamente sono borghesucci intellettuali che pasteggiano ad ostriche comprate da una nota pescheria, quelli di Adele – altrettanto ovviamente – sono bestie che fanno bene la pasta e che dell’arte vedono solo la precarietà economica.
    Emma e i suoi amici – da veri intellettuali de noartri – dissertano di Klimt e Schiele tra una macchia di sugo sulla canotta e un bicchiere di champagnino, mentre l’unico che dà ad Adele qualche sincera attenzione è un tipo terra terra, aspirante attore di film d’azione, che se la vuole portare a letto.

    In estrema sintesi: non puoi dedicare a tutti questi personaggi così tanto tempo e poi sprecarlo per abbozzare figure stereotipate o macchiette straviste fino alla nausea, come quella del gallerista.
    E il peggio è che in questo meccanismo quella che finisce per essere più banalizzata è proprio Emma!

    Davvero un peccato.
    Essenzialmente perchè non ce n’era alcun bisogno.

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