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Soundtrack: "Le 5 leggende" di Alexandre Desplat

7 febbraio 2013 Soundtrack 0 Commenti
Le 5 leggende

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * *

Autore attivissimo ed eclettico, Desplat dà certamente il meglio nei film d’autore più elaborati e multiforme, ma non disdegna di realizzare anche partiture per i tanti giocattoloni che Hollywood produce a getto continuo. Farebbe però bene a concentrarsi su ciò che gli viene meglio…


Esiste un “caso Alexandre Desplat”? Se questa domanda ci fosse stata posta nel 2006 avremmo probabilmente risposto stupiti con un «no, perché?». Il 2006 era infatti l’anno in cui l’allora 45enne compositore parigino tenne a Cannes, nel corso del Festival, la sua “leçon de musique” (encomiabile abitudine della rassegna francese, da nessuno imitata), proponendosi come musicista molto selettivo, rarefatto, accurato e attentissimo alle sfumature, alle sottigliezze del rapporto immagine-suono. Pure, in quel 2006 Desplat era già un artista richiesto e affermato, ma la sua sfera di attività gravitava ancora prevalentemente nel cinema francofono, con qualche iniziale timido e mirato excursus nella produzione angloamericana (Il velo dipinto, Syriana, Firewall): non a caso Desplat in quella sede si dilungò parecchio illustrando l’indimenticabile esempio dell’incipit ossessivo, pulsante, raffinatissimo da Birth – Io sono Sean, il film che lo rivelò al pubblico internazionale.
Dovevano ancora arrivare – ma poco mancava – gli Harry Potter, i Largo Winch, i Twilight, le Bussole d’oro, Clooney e Polanski, i discorsi del Re, Coco Chanel e Benjamin Button, gli Ang Lee e i Terrence Malick

Nel giro di un biennio, e di colpo, Alexandre Desplat è divenuto il musicista più richiesto e più trasversale del cinema internazionale, dal kolossal al film d’autore, dall’opera di nicchia al blockbuster, dagli USA all’Europa, dall’Italia al cinema apolide di Polanski: al punto da meritarsi persino l’attenzione della stampa nazionale a larga diffusione. Tra il 2011 e il 2012 Desplat ha scritto le partiture per diciassette (17!) film (oltre a un corto), tra i quali Le Idi di marzo di George Clooney, Carnage di Polanski, The Tree of life di Malick, la seconda parte di Harry Potter e i doni della morte di Yates, Reality di Garrone, Un sapore di ruggine e ossa di Audiard, Renoir di Gilles Bourdos (biopic sul grande pittore interpretato dall’87enne Michel Bouquet), Moonrise Kingdom di Wes Anderson, Argo di Ben Affleck (con cui è candidato all’Oscar) e buon ultimo Zero Dark Thirty, il rovente film di Kathryn Bigelow sulla cattura e l’uccisione di Osama bin Laden, per il quale il musicista ha realizzato forse la sua migliore partitura degli ultimi tempi.
Come incarichi fra l’anno in corso e il prossimo, in post-produzione Desplat ha attualmente Zulu di Jérôme Salle con Orlando Bloom e Forest Whitaker, dramma politico nel Sudafrica di Nelson Mandela, mentre in lavorazione lo attendono l’ennesima versione de La bella e la bestia con Vincent Cassel e Léa Seydoux, a firma di Christophe Gans, e la nuova surreale commedia di Wes Anderson The Grand Budapest Hotel, con un cast che enumera Edward Norton, Ralph Fiennes, Harvey Keitel, Mathieu Amalric, Saoirse Ronan, Bill Murray, F. Murray Abraham, Owen Wilson, Adrien Brody, Tilda Swinton, Jeff Goldblum e Willem Dafoe… Non bastasse, Desplat è già arruolato come musicista per il nuovo film di e con George Clooney, attualmente in pre-produzione, The Monuments Men (Matt Damon, Cate Blanchett, Daniel Craig, Bill Murray, John Goodman e Jean Dujardin nel cast), storia – ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale – della corsa contro il tempo di un gruppo di storici dell’arte per salvare alcuni capolavori prima che Hitler li distrugga. Infine (per il momento) Desplat tornerà a lavorare con il compatriota Daniel Auteuil (dopo La fille du puisatier del 2011, debutto registico dell’attore franco-algerino), ancora dietro e davanti la macchina da presa in Marius, prima parte della Trilogie marseillaise ricavata dal testo del commediografo e scrittore Marcel Pagnol.
Ora, anche se – come suol dirsi – “le dimensioni contano”, i numeri di per sé non significherebbero molto. Ricordiamo che il tasso di produttività di alcuni compositori nella storia della musica per film è andato ben oltre: si pensi al Morricone a cavallo tra gli anni 60 e 70 o al leggendario Max Steiner, che nella Hollywood a cavallo fra il 1938 e il 1939 compose le partiture per ventitré pellicole, una delle quali si intitolava Via col vento… Il punto però è che, ad esempio in questi casi ed altri, ciascuno dei compositori manteneva a tal punto le proprie caratteristiche di stile, di forma, di linguaggio in ognuna delle partiture assegnate (pur modulandoli secondo le diverse esigenze drammatiche) da divenire egli stesso una “firma”, un marchio, un elemento preciso di riconoscibilità in generi, contesti e titoli diversissimi (vale soprattutto per il nostro Morricone). Nel caso di Desplat proprio la varietà tipologica dei titoli firmati ci suggerisce che siamo al percorso opposto, ed è qui che riteniamo sorgano non pochi problemi sul fronte della qualità. La domanda, in altri termini, è semplicemente la seguente: quale prezzo si paga, in termini qualitativi, per un così sfrenato e diversificato iperattivismo?
Un prezzo, se possiamo azzardare una risposta, direttamente proporzionale alla distanza che Desplat pone tra le committenze accettate e la propria fonte d’ispirazione originaria. In un articolo per D de la Repubblica, Ilaria Urbani parla di «atmosfere oniriche e minimal» e, anche se il secondo termine risuona ormai in tutta la propria estesa ambiguità (oggi tutti si dichiarano minimalisti, senza saper bene che significa), non v’è dubbio che in questi due aggettivi si possa sintetizzare il nucleo della poetica desplatiana: che, nelle partiture iniziali, francesi e non (Birth, appunto…) si caratterizzava per uno stile compresso, assottigliato, uno strumentale ridotto e una predilezione per la ripetizione differenziata di cellule melodiche semplici, iterate spesso a intervalli e con ritmo irregolari, così da creare un effetto di ipnosi e di ossessione non tramite il ricorso ad effetti sonori speciali ma con mezzi relativamente semplici quanto sofisticati. Nell’allontanarsi da questa strada, soprattutto a causa degli impegni in prodotti made in Hollywood ad alto tasso di spettacolarità e quindi con un apparato musicale nel quale bisogna difendersi dalla concorrenza dei ben più agguerriti colleghi d’oltreoceano, Desplat si avventura in un campo minato del quale non conosce bene le coordinate e che rischia dunque di rivelarsi per lui assai insidioso. Se operazioni come New Moon lo trovano ancora convincente in virtù proprio della sua capacità di semplificare i percorsi in direzione di una soffusa, penetrante ossessività, e un certo filone storico-politico-cronachistico (Argo, Zero Dark Thirty) ne sollecita la vena più sinistra, ombrosa, insieme al talento nell’evocazione di suoni locali”, sul fronte fantasy (Harry Potter, La Bussola d’oro…), cioè quando si tratta di fare i fuochi d’artificio a ogni sequenza e di tener desta l’attenzione e l’ascolto con ogni mezzo disponibile, Desplat è in chiara difficoltà.

Il cartoon della Dreamworks diretto da Peter Ramsey basato sui libri di William Joyce è una riprova di quanto appena scritto, perché il maestro parigino, nella legittima convinzione che ormai le soundtrack per cartoon vadano trattate e proposte in tutto e per tutto come partiture per film “live” e adulti, non riesce sempre a sottrarsi a un luna-park sonoro generico e dai rari momenti di originalità, nel quale molti tratti della sua indubbia personalità si smarriscono completamente.
Passi per “Still dream”, la floreale song di cartello del film offerta con vocalità ibrida dal soprano statunitense Renée Fleming e ripresa assai più efficacemente dal piano in “Jamie Believes”: ma sin da “Calling the Guardians” e da quel temone degli ottoni (il tema di Jack), un po’ Goldsmith un po’ Ritorno al futuro, che galoppa sul furioso disegno (tipicamente desplatiano) di archi e legni, si capisce che gli input della partitura guardano a modelli di sontuosità sonora piuttosto irraggiungibili. Vale anche per “Fanfare of the Elves” mentre assai più convincente è il secondo, raccolto e lirico tema, esposto dal flauto in “Alone in the world” sul tappeto degli archi, e destinato a un ruolo maggioritario nella partitura anche in vesti assai più movimentate, brillanti e irregolari (“Snowballs”): così come colpisce la bella, ampia, toccante frase degli archi (il tema di Sandy) sostenuta da altri disegni mossi e staccati dei legni in “Dreamsand”. Si comprende abbastanza rapidamente che Desplat, impegnato in prima persona sul podio della fantastica London Symphony Orchestra, punta molto (tutto?) su un’orchestrazione sfavillante, “russa” (un modello tra i tanti è Prokofiev), imprevedibile, alla ricerca di un “meraviglioso sonoro” in linea con l’immaginario adrenalinico e multicolore del film. Ecco allora che il tema iniziale per ottoni trova, in “Sleigh Launch”, un trattamento ad alta velocità negli archi che ne disinnesca la banalità un po’ tronfia e lo trasforma in un divertente moto perpetuo; o addirittura viene virato in tonalità malinconiche e fosche, sempre dagli archi, nel lungo “Nightmares attack”, che è una tipica, dimostrativa “virtuoso pièce” per orchestra sintetizzante un po’ di tutto il materiale leitmotivico dello score e indubitabilmente debitrice, nella sua frenetica mobilità, alle leggi del “mickeymousing”. Idem per “Tooth collection”, comprensivo di bagliori dalla Marsigliese e di un’impronta quasi caricaturale nei confronti di taluni stilemi (i timpani in chiusura).
In generale, il lavoro di Desplat appare saldamente agganciato al decorso particolareggiato delle immagini, interpretando la musica per cartoon come una sorta di dialogo non verbale: di qui l’interazione stretta, quasi confusiva, fra i temi in track come “Jack & Sandman” o “Pitch at North Pole”, secondo una procedura che potremmo quasi definire disneyana. In realtà questo metodo raggiunge la massima efficacia in “Jack betrays” e “Kids stop believing”, con l’ostinato martellante delle percussioni nel primo contrapposto all’evanescenza lirica di archi e legni del secondo. Pagina particolarmente elaborata, pur nella sua brevità, si rivela anche “Jack’s memories” che esplica al pieno negli ottoni il tema del personaggio ma esibisce anche una nobiltà di fraseggio che ci riporta al Desplat più ispirato e concentrato, così come l’assolo di tromba che apre “Jack’s center”, fra staccati degli archi e dell’ottavino, preludendo a un’esibizione stratosferica delle potenzialità della LSO, in una luccicanza abbagliante di timbri e nella celebrazione di un climax minaccioso e incombente.
“Sandman returns” e “Dreamsand miracles” s’incaricano diligentemente e fantasiosamente di un riassunto tematico generale, tra squilli, fanfare e altri bagliori percussivi, ricordandoci che probabilmente su istanza della produzione Desplat ha concepito una partitura sì “adulta” nei mezzi impiegati ma sempre tenendo ben presente anche il target infantile, soprattutto nella riconoscibilità del materiale leitmotivico e nella conciliazione tra atmosfere aggressive e (il secondo dei due brani appena citati) un lirismo arioso e rassicurante.
A quest’ultimo aspetto appartiene il brano di chiusura, “Oath of the Guardians”, scritto nel tipico linguaggio fluente, luminoso (coro compreso) e sollevato di tanti happy end indirizzati a rispedire a casa i bimbi felici e contenti, e nondimeno ancora ben ancorato alla rievocazione contrappuntistica dei Leitmotiv principali.

Torniamo al punto di partenza. Pur consapevoli che è difficile scendere da un cavallo vincente, sarebbe augurabile che il musicista francese resistesse a qualche sirena in più e si concentrasse laddove il suo enorme talento dà frutti migliori (citiamo ancora il film della Bigelow, soprattutto per l’uso genialmente sotterraneo, con alcuni picchi significativamente emozionanti, della musica), ovvero il cinema d’autore più elaborato e multiforme, anche all’interno dei diversi generi. Giacché sul terreno del fantasy-kolossal “mainstream” la competizione è affollata, e la mediocrità anche.


La copertina del CDTitolo: Le 5 leggende (Rise of the Guardians)

Compositore: Alexander Desplat

Etichetta: Varèse Sarabande, 2012

Numero dei brani: 27 (26 di commento + 1 canzone)

Durata: 67′ 47”


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